Trentino, la perla e lo scrigno

Sul lago di Molveno, circondato da picchi fra i più noti e spettacolari delle Dolomiti, windsurf e canoe convivono felicemente con ramponi e piccozze, e ogni giorno si può scegliere fra i sentieri e la riviera: una lunga spiaggia di ghiaia e d'erba e l'ampia offerta di passeggiate, escursioni e panorami fanno di quest'angolo estremo del parco Adamello Brenta una meta ideale per il pleinair sportivo e in famiglia.

Indice dell'itinerario

Sulle sponde di uno dei laghi più profondi del Trentino si allunga una piccola valle, stretta fra i possenti torrioni del Brenta e il massiccio della Paganella. Sospeso tra acqua e cielo, il paese di Molveno unisce la tranquillità della stazione balneare al richiamo del centro escursionistico e sportivo: merito di una posizione unica, al centro di un paesaggio che la geologia ha ridisegnato in un’era a cavallo fra preistoria e storia. Alla base della Valle delle Seghe, dove oggi si stende il bacino, ancora qualche migliaio di anni fa c’erano prati e boschi sino a quando, tra il 2000 e il 1000 a.C., una gigantesca frana staccatasi da una montagna sbarrò la strada ai torrenti che correvano verso sud e determinò la nascita del lago. Da quell’evento ha origine la singolarità del luogo, uno dei pochi frequentati con pari assiduità dagli alpinisti e dagli amanti degli sport nautici.
La recente vocazione turistica di Molveno non deve far dimenticare che ci troviamo in un contesto ricco di storia, crocevia di popoli e culture. Cocci di terracotta e utensili di selce, rinvenuti nel lago durante una serie di lavori nel 1952 e oggi conservati nel Museo di Scienze Naturali di Trento, documentano la presenza nel fondovalle di un insediamento risalente all’età neolitica; in seguito alla frana le comunità si spostarono più in alto, come testimoniano i resti di un villaggio retico del V-IV secolo a.C. scoperto nel 1979 nei pressi di Fai della Paganella. In epoca cristiana, l’altopiano divenne un luogo di passaggio per le popolazioni germaniche dirette verso l’Italia: da qui invasero la penisola prima i Longobardi, poi i Franchi. Ma ancora in età napoleonica si combatté per queste terre, quando i Francesi cercarono di strapparle agli Austriaci.

I resti dei fotini Napoleonici, in realta' costruiti dagli austriaci
I resti dei fortini Napoleonici, in realta’ costruiti dagli austriaci

Fra le tracce più significative rimaste sul territorio troviamo i cosiddetti Fortini di Napoleone, una serie di strutture difensive che il comando austriaco fece erigere tra il 1802 e il 1805 a presidio della riva occidentale del lago. Per vedere ciò che resta della rudimentale cinta muraria si percorre per circa un chilometro e mezzo la vecchia strada pedonale dei Marocchi, che parte all’imboccatura della Valle delle Seghe poco dopo un campeggio nei pressi della cinquecentesca Segheria Taialacqua. Anche quest’ultima merita una sosta trattandosi di un esempio perfettamente conservato di segheria veneziana, l’ultima superstite di una serie di impianti collocati un tempo lungo il corso del torrente che dal Brenta scende verso il lago. L’appellativo di veneziane era dovuto al sistema di lavorazione messo a punto e diffuso nel Triveneto dai mercanti-imprenditori della Repubblica marinara, i quali pensarono di sfruttare l’energia dell’acqua per muovere una ruota dentata che, attraverso un sistema di fusi e bielle, azionasse una lama per tagliare i tronchi. Il procedimento, illustrato da pannelli esplicativi, può anche essere osservato dal vivo negli orari di apertura al pubblico (da richiedere all’ufficio turistico).
Lungo il percorso, prima di giungere ai Fortini, si incontra il Ponte Romano, celato dalla fitta vegetazione tra la quale scroscia la cascata formata dal torrente Ceda prima di gettarsi nel lago. Altri monumenti da visitare nei dintorni sono la bella chiesetta di San Vigilio all’interno del cimitero con interessanti affreschi del ‘300 e, poco lontano sulla statale 421, la duecentesca chiesetta di San Tomaso a Cavedago e i ruderi di Castel Belfort, del XIV secolo, a Spormaggiore.

 

Tra lago e monti

La Val Massodi
La Val Massodi

Nonostante i motivi di interesse storico-culturale, la principale attrattiva di Molveno risiede soprattutto nell’ambiente naturale. A cominciare ovviamente dal lago, con i suoi 11 chilometri di coste ora impervie ora basse, interamente percorribili mediante una passeggiata di circa due ore e mezzo che si snoda nel bosco e sulle rive, tra piccole calette isolate e la grande spiaggia sulla sponda settentrionale. Agli amanti degli sport acquatici Molveno offre invece la possibilità di praticare la canoa e il windsurf, mentre i più avventurosi possono provare l’ebbrezza del parapendio. Regno di persici reali, trote marmorate, salmerini, tinche, carpe, barbi e cavedani, il lago è anche un richiamo per gli appassionati di pesca sportiva.
L’altra protagonista del paesaggio è la montagna, che qui offre declivi più dolci ricoperti di faggi e abeti, come quelli del massiccio Paganella-Gazza, o aspri e severi, come i poderosi rilievi del gruppo di Brenta. Sono questi la vera attrattiva per gli alpinisti, ma l’altopiano della Paganella offre scorci indimenticabili anche al turista meno esperto. Per salire senza fatica si prende la telecabina di Andalo (attenzione agli orari di apertura degli impianti, se si manca l’ultima corsa la discesa a piedi è molto impegnativa); una volta arrivati, poche centinaia di metri in piano portano alla seggiovia a monte della quale, dopo una breve passeggiata, si raggiunge la cima a 2.115 metri di altitudine. Da qui si apre un vastissimo panorama che abbraccia a ovest il Brenta, a nord la Val di Non con i ghiacciai austriaci sullo sfondo, a est la Val d’Adige, dove si adagia Trento, e in lontananza i gruppi del Latemar, del Catinaccio, dello Sciliar. Verso sud-ovest lo sguardo si spinge verso i laghetti di Santa Massenza, Toblino e Cavedine, fino al ramo settentrionale del Garda.
Verso il cuore del Brenta Con qualche sforzo in più ci si addentra nel settore centrale del Brenta, uno dei gruppi dolomitici più estesi e famosi, l’unico situato a ovest dell’Adige, tra la Val di Non e la Val Rendena. Ad esso Molveno deve la propria fama turistica, poiché furono gli alpinisti tedeschi e inglesi, intorno alla metà dell’800, ad eleggere quella manciata di case sul lago come base ideale per le loro escursioni. E non a caso, giacché è proprio questo (insieme a Madonna di Campiglio, sull’altro versante del gruppo montuoso) il miglior punto di avvicinamento alle vette simbolo della catena: Cima Tosa, Cima Brenta, Crozzon di Brenta, Campanile Basso.

Dalla Valle delle Seghe e dalla collina del Pradel partono due sentieri che consentono un agevole accesso al selvaggio ambiente dolomitico. Il primo si snoda tra i boschi del fondovalle, costeggiando il torrente che divide in due la spiaggia di Molveno, mentre il secondo, assai panoramico e di modesto impegno, inizia dall’arrivo del primo troncone della bidonvia del Pradel che dall’ingresso del paese porta a quota 1.367. Da qui si segue il segnavia 340, dapprima in un bosco misto di conifere e latifoglie, quindi lungo i fianchi del Croz dell’Altissimo, che con i suoi 2.339 metri incombe a strapiombo sul sentiero. Lungo il tragitto, scavato a tratti nella roccia, sulla sinistra iniziano a profilarsi in lontananza la mole imponente della Cima Brenta Alta e quella più agile del Campanile Basso. In meno di un’ora di cammino pianeggiante si raggiunge la prima meta dell’escursione, il Rifugio Croz dell’Altissimo, nascosto tra gli alberi alle pendici del monte. Il percorso procede lambendo i ghiaioni che chiudono a sud la Val Perse, quindi si inerpica sui fianchi del Castello di Massodi Alto e del Castelletto di Massodi, che stanno a sentinella dell’omonima valle.

Il Rifugio Selvata
Il Rifugio Selvata

Al Rifugio Selvata, raggiungibile in circa tre quarti d’ora, ci si congiunge con il segnavia 319 che punta deciso verso il cuore del Brenta. Ora il cammino prosegue tra distese di roccia e arbusti, incorniciate dalle vette che si fanno più vicine ad ogni passo; il silenzio è rotto solo dal rumore degli scarponi e dallo scroscio dei ruscelli. All’ingresso nella Val dei Massodi, si apre alla vista un vasto anfiteatro di picchi che sfiorano i 3.000 metri: a destra la Cima dei Armi, la catena degli Sfulmini e, incastonato fra il Campanile Alto e della Cima Brenta Alta, uno dei protagonisti della storia alpinistica italiana, il Campanile Basso. Il suo profilo slanciato ha da sempre acceso la fantasia degli scalatori, e fu così che nel 1897 il trentino Carlo Garbari, con le guide alpine Antonio Tavernaro e Nino Povoli, tentò l’assalto alla vetta: non riuscì a portare a termine l’impresa per soli 15 metri, quelli dell’ultima parete sul lato nord. Dove Garbari aveva fallito riuscirono due giovani austriaci, Otto Ampferer e Karl Berger, che nel 1899 raggiunsero la cima. Ma la sfida al torrione più impervio dell’intero gruppo non cessò, e da quel momento gli alpinisti cercarono nuove vie per conquistarlo. Nel 1908 fu disegnata la Fehrmann, nel 1911 la Preuss e nel 1937 l’ascensione più spettacolare, dallo spigolo orientale, che da allora porta il nome di Fox, uno dei suoi protagonisti: un’unica, impressionante scalata verticale lunga 180 metri.

Il Rifugio Pedrotti
Il Rifugio Pedrotti

Sotto lo sguardo imperioso delle cime di Brenta, il sentiero si snoda tra i ghiaioni alle pendici del Monte Daino. Il Rifugio Pedrotti, a 2.491 metri di altitudine, dista ancora un’ora e mezzo di cammino (in tutto sono circa quattro ore e mezzo dalla partenza) quando comincia a profilarsi all’orizzonte, su un balzo roccioso che sovrasta la Val dei Massodi. Prima di raggiungerlo si costeggia il Rifugio Tosa, realizzato nel 1881 a quota 2.439 dalla Società degli Alpinisti Tridentini. Ancora pochi passi e si giunge su una terrazza naturale dalla quale si apre un panorama straordinario, con il sentiero 319 che dall’alto sembra un lungo serpente adagiato in una profonda gola. Le cime del Brenta chiudono sui due lati la vallata; di fronte, le vette gemelle di Piz Gallino e Cima dei Lasteri, propaggini orientali del gruppo, spiccano sullo sfondo delle Dolomiti centrali. Il Rifugio Pedrotti domina la sella rocciosa, chiuso tra i possenti gradoni della Cima Brenta Bassa e la larga vela del Croz del Rifugio. Escursionisti e scalatori di mezza Europa si ritrovano qui ogni estate, per compiere traversate o per tentare l’ascensione ai picchi. Pochi metri ci dividono dalla Bocca di Brenta da cui parte uno dei percorsi attrezzati più famosi dell’intero arco alpino, la Via delle Bocchette, scavata lungo le pareti dei torrioni dolomitici a una quota media di 2.600 metri: ma qui comincia un’altra storia, riservata a chi porta sempre con sé corda e moschettoni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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