La natura dell'arte

Abbracciata dai suoi laghi dove fioriscono le ninfee, Mantova è un gioiello tra i più preziosi del Bel Paese, uno nodo strategico degli itinerari padani, una città vivacissima e ospitale come poche. Tutta da scoprire (o da riscoprire) in occasione delle celebrazioni per il Mantegna.

Indice dell'itinerario

Sono passati quasi 85 anni da quando Maria Pelegreffi Zambianchi, allora studentessa di Scienze Naturali presso l’università di Parma, ebbe un’idea che cambiò decisamente l’aspetto del Lago Superiore, uno dei tre in cui si specchia Mantova. Sino ad allora la città era nota soprattutto per la bellezza del centro storico: Piazza delle Erbe, le residenze nobili e soprattutto il grandioso Palazzo Ducale che rivolge le torri fortificate del Castello San Giorgio verso il Lago di Mezzo. Maria decise che le placide acque del Mincio, frenate nella loro corsa verso il Po da due sbarramenti realizzati nel lontano 1187 da Alberto Pitentino formando così i bacini, erano un habitat ideale per una pianta che lei stessa amava moltissimo: il Nelumbium nucifera, ovvero il loto, i cui semi le erano stati donati da alcuni missionari italiani di ritorno dalla Cina. L’esperimento di far crescere quelle esotiche piante nel bel mezzo della Pianura Padana ebbe successo al punto che oggi Mantova è anche la città del loto, l’unica in Europa.
A rigore, questa pianta dalle enormi foglie tondeggianti che si allargano a coprire la superficie del lago dovrebbe essere considerata infestante, tanto più che vegeta abbondantemente all’interno di quello che è nel frattempo divenuto un parco regionale. Ma come si può estirpare un simbolo? Così ci si limita a tenerne sotto controllo lo sviluppo, e nel frattempo si organizzano gite in barca per i turisti che vogliono vedere da vicino il grande fiore. Quando è chiuso la sua forma somiglia a quella di un cuore, per poi aprirsi come fosse un piccolo sole. Il periodo più indicato per ammirare questo spettacolo è l’estate, visto che il massimo della fioritura si registra tra giugno e agosto: è l’occasione giusta per scoprire un mondo, quello del fiume Mincio, che è in grado di regalare emozioni uniche in cui il dialogo tra natura e opere dell’uomo diviene particolarmente intenso.
Dal 1984 tutta l’area fluviale è protetta, ma la parte più interessante è proprio quella immediatamente a monte della città dei Gonzaga: i 1.100 ettari delle Valli del Mincio, dove si incontra una ricca avifauna (particolarmente nutrita è la schiera degli aironi, che qui nidificano in alcune garzaie) e dove si può fare conoscenza con numerose altre piante acquatiche e di palude anche rare. Purtroppo negli ultimi anni le acque del fiume hanno conosciuto un certo grado di inquinamento: un tempo addirittura balneabili, sono ora fonte di preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore le sorti della città e del suo circondario. Si spera che i numerosi progetti di recupero della loro qualità possano giungere a buon fine; intanto ci si può affidare alle guide dell’associazione Per il Parco che a bordo di un battello con motore elettrico ci condurranno alla scoperta del dedalo di canali circondati dai canneti che confluiscono verso il santuario di Santa Maria delle Grazie, uno dei più inquietanti e al contempo spettacolari che sia possibile visitare nel nostro paese. Edificato nel XV secolo come ex voto dopo un’epidemia di peste, conserva all’interno ben 53 statue in tela e cartapesta, realizzate tra il ‘600 e l’800, che in buona parte rappresentano scene truculente di esecuzioni capitali, incidenti, menomazioni; a completare il tutto, dalla volta pende un coccodrillo impagliato. Al santuario si può arrivare anche via terra, magari in bicicletta, per scoprire così anche la seconda vocazione di Mantova, una delle poche città del Bel Paese a misura degli amanti della dueruote: sono infatti a disposizione diversi chilometri di piste ciclabili, con tracciati di grande interesse paesaggistico (come quello che segue tutta la riva destra del Lago di Mezzo) e davvero a portata di tutti, data la mancanza di dislivelli. Un’altra gita pedali da consigliare è quella che conduce in circa 5 chilometri al Bosco della Fontana, 223 ettari di foresta ad alto fusto, un tempo riserva di caccia dei Gonzaga e oggi tutelata da un’area protetta.Ma certo Mantova, bellissima città “degna c’un si mova mille miglia per vederla” come scrisse il Tasso nel 1586, va anche vissuta a piedi passeggiando nel centro storico, dove si trovano monumenti illustri e assolutamente da non perdere. Conviene partire da Palazzo Te, realizzato da Giulio Romano per Federico II Gonzaga: occorsero dieci anni per costruire e affrescare una delle residenze nobili più insigni della Lombardia, con le sue preziose pitture che trovano l’acme nella Sala dei Cavalli, dove sono rappresentati gli animali più amati dal principe, e nella ben nota Sala dei Giganti. Poco più avanti si trovano la casa del Mantegna e Palazzo San Sebastiano, sede del museo cittadino.
Proseguendo su Via Acerbi e quindi su Via Principe Amedeo e Via Roma, si giunge a Piazza delle Erbe, autentico cuore di Mantova. Qui si trovano la basilica di Sant’Andrea e la Rotonda di San Lorenzo (del 1082), affiancata dalla Torre dell’Orologio. Il grandioso Palazzo della Ragione chiude la piazza come una quinta e quasi invita a proseguire verso la vicina Piazza Broletto, con l’edicola di Virgilio – una statua di marmo divenuta uno dei simboli della città – e il museo dedicato a Tazio Nuvolari, il leggendario campione automobilistico soprannominato dai suoi tifosi “il mantovano volante”. Da qui si accede infine a Piazza Sordello e al Palazzo Ducale.
Questo percorso consente di vedere alcuni dei monumenti più noti di Mantova in un tempo relativamente breve, e in effetti è l’itinerario che seguono quasi tutti i turisti quando giungono in città. Ma c’è anche dell’altro, luoghi meno conosciuti che forse, proprio per questo, restituiscono ancora di più il carattere di Mantova e della sua gente: a cominciare da una curiosità di grande interesse, il Museo Storico dei Vigili del Fuoco ospitato in alcuni locali annessi al Palazzo Ducale, che raccoglie numerosi cimeli oltre a una raccolta quanto mai completa e per molti versi singolare di mezzi motorizzati destinati a combattere gli incendi, le inondazioni e le varie catastrofi naturali.
Tra i musei d’arte, invece, vale la pena di rilevare l’originalità di quello allestito in Palazzo d’Arco, dal nome della famiglia di antica origine trentina che si imparentò con i Gonzaga già nel XIV secolo iniziando così a frequentare Mantova. L’edificio è oggi un gioiello architettonico tra i meno noti della città: affidato a una fondazione che ne cura la conservazione e la fruibilità, contiene una galleria d’arte impressionante non solo e non tanto per quantità e qualità delle opere, quanto per il modo in cui sono esposte non secondo criteri prettamente museali bensì seguendo l’estro di coloro che vissero nel palazzo; e basta visitare le antiche cucine per rendersi conto che qui ben poche cose sono cambiate nel corso degli anni.
Secondo alcuni, nella collezione era compresa anche un’opera di Mantegna: il che ci introduce a un altro dei fili conduttori della visita, soprattutto quest’anno in cui si celebra il cinquecentesimo anniversario dalla morte del sommo pittore avvenuta il 13 settembre del 1506. L’artista realizzò alcuni dei suoi massimi capolavori presso la corte dei Gonzaga, in particolare la famosa serie di affreschi che decora la camera degli sposi o camera picta, nel castello San Giorgio. Purtroppo la gran parte delle restanti opere si trova oggi in altre città, spesso all’estero, o addirittura è andata perduta: ma qui se ne può comunque apprezzare una vasta antologia, iniziando dalla già citata casa che l’artista si fece costruire non lontano da Palazzo Te e dove si trasferì nel 1481 (oggi la struttura è un museo dove si tengono mostre temporanee). Nella basilica di Sant’Andrea, invece, si trova la cappella dove riposa il maestro: il suo corrucciato busto bronzeo è sormontato da un’epigrafe latina che recita “Tu che vedi le sembianze in bronzo del Mantegna, saprai che è pari se non superiore ad Apelle”. Per saperne di più vi consigliamo di non perdere le mostre dedicate a lui e alla sua epoca, che tengono banco in città per tutto l’anno. Un piccolo segreto però ve lo sveliamo sin da subito: le ultime ricerche effettuate dagli studiosi confermano che molto probabilmente gli affreschi (purtroppo molto deteriorati) che decorano la facciata di una casa al civico 13 della piccola Piazza Marconi, non lontano dalla basilica di Sant’Andrea, sono per l’appunto opera del Mantegna o della sua scuola. Ed è solo un’altra delle tante piccole e grandi occasioni tenute in serbo dalla splendida città dei tre laghi.

PleinAir 406 – maggio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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