La musica del tempo

All'inizio dell'estate, uno degli angoli più incontaminati della Valle d'Aosta diventa l'immenso palcoscenico a cielo aperto di uno dei più grandi raduni musicali europei ispirati alla cultura celtica.

Indice dell'itinerario

La cultura europea ha una storia lunghissima, e non è dei nostri giorni. Ad unificare popoli, nazioni ed economie abbiamo oggi un parlamento internazionale e un sistema monetario; ma già ben prima che i Romani, manu militari, rendessero impero una buona parte del continente, una civiltà seppe essere davvero europea: quella celtica. Dalle steppe e dalle scure montagne dell’Est, passando per l’Austria, la Germania, la Svizzera, il Belgio, la Francia, la Spagna e su verso l’Irlanda, il Galles, la Scozia, l’Inghilterra, o più a sud fin quasi alle porte dell’Urbe, i Celti conquistarono dappertutto ampi territori, dedicandosi a proficui commerci con i Greci, gli Etruschi e in seguito anche con i nemici romani (che ne apprezzavano la straordinaria abilità nell’arte orafa).
Con il passare dei secoli la tradizione celtica è come evaporata sotto i colpi delle innumerevoli invasioni, delle conquiste, delle dominazioni religiose e politiche. Ma, proprio come il vapore, è sempre rimasta nell’aria, almeno nelle zone in cui più forte era il legame con quella natura che per i Celti rappresentava davvero la Grande Madre, l’origine di ogni cosa esistente, visibile o invisibile. Poi, negli ultimi decenni e soprattutto da una ventina d’anni a questa parte, le nebbie del tempo si sono diradate e ne sono riemersi usi e costumi – geograficamente trasversali come lo erano quelli originari – che hanno ben presto contagiato decine di migliaia di appassionati.
Il primo canale di diffusione di questa riscoperta, legata in modi talora piuttosto vaghi alla cultura che li ha ispirati, è stato la musica. Di quella dei Celti, in verità, sappiamo poco o nulla: di certo utilizzavano strumenti simili a quelli riportati in auge negli anni Settanta dal bretone Alan Stivell e poi da tutta una generazione di musicisti che del recupero delle proprie radici hanno fatto un’autentica missione. Molto probabilmente anche l’ispirazione era simile e nasceva dalla contemplazione della natura e di quei grandiosi paesaggi nordici in cui è forse possibile scorgere, con più forza e convinzione, la presenza del divino e del soprannaturale. Galizia, Bretagna, Galles, Isola di Man, Scozia, Irlanda: ecco la Nazione Celtica che si ritrova nel grandioso Festival Interceltique in programma ogni estate a Lorient, sulla costa atlantica francese tra Brest e Nantes. Qui convergono tutti i maggiori musicisti dell’area, a cominciare da quelli più noti al grande pubblico come i Chieftains, lo spagnolo Carlos Nuñez e lo stesso Stivell.
Di questi festival se ne contano ormai a centinaia in tutta Europa, con aspetti a volte singolari che hanno a che fare in special modo con l’attivismo politico di estrema destra (ma agli stessi principi si sono ispirati di volta in volta, e sin dalla fine degli anni Sessanta, anche movimenti ecologisti e pacifisti di opposta matrice, tanto per dire che le poche concrete informazioni sulla civiltà celtica si prestano alle più varie e inconciliabili interpretazioni). Alcuni di questi incontri artistici, però, sono estremamente seri e anche piuttosto curati: è il caso del miglior festival italiano del genere, Celtica, che si tiene ogni anno nella strepitosa location della Val Vény, appartata e verdissima laterale della Valle d’Aosta, in una zona in cui molto probabilmente la presenza dei Celti fu importante e ha lasciato diverse tracce. Ma a coloro che si riversano a migliaia nella fitta foresta secolare del Peuterey per ascoltare arpe, cornamuse e tamburi forse non importa poi tanto della storia: per il pubblico degli appassionati è invece fondamentale avvicinarsi a queste sonorità così intense, a volte allegre, a volte profondamente malinconiche, che la magia dell’ambientazione esalta al massimo grado. E’ come fare un salto nel passato, danzando intorno al fuoco e bevendo sidro o idromele insieme ad altre persone che condividono le stesse passioni.
D’altra parte l’offerta musicale è di primissimo livello e nel corso della manifestazione si tengono appuntamenti davvero imperdibili, come il concerto di arpa celtica sulle rive del laghetto glaciale del Miage in un ambiente alpino di intatta bellezza. Ed è questo forse il punto di forza di Celtica: l’essere davvero, da ogni punto di vista, un’esperienza pleinair. Per qualche giorno si vive infatti a diretto contatto con la natura e a tempo pieno, anche perché durante la festa l’unica strada della valle viene chiusa al traffico e da Courmayeur si può raggiungere il bosco solo grazie ad efficienti bus navetta; chi viaggia in camper o in tenda, poi, può godersi l’evento nel modo migliore grazie alla presenza, nei pressi, di ben tre splendidi campeggi con vista sul Monte Bianco.

Note di amicizia
Celtica è organizzato dal Clan della Grande Orsa, un’associazione nata proprio per promuovere e far conoscere la cultura celtica in Italia. «La festa doveva essere un evento destinato a raccogliere pochi amici, che con noi condividevano lo stesso amore per i Celti» ci racconta Riccardo Taraglio, autentica anima del clan e grande esperto di questo popolo, sul quale ha scritto un voluminoso saggio. «Ma da subito ci siamo confrontati con un successo inaspettato, con oltre 2.000 persone a riempire la foresta per ascoltare musica e visitare gli stand». Era il 1997, e da allora la festa è ulteriormente cresciuta: «Per noi è un grande impegno che riempie buona parte della nostra vita, ben al di là dei pochi giorni di Celtica. Ma oggi i visitatori sono quasi 30.000, e non intendiamo deluderli».
All’ingresso del bosco, da sempre, c’è uno striscione con su scritto “Non ci sono estranei qui, ma solo amici che non abbiamo ancora conosciuto”, ed è con questo spirito che il Clan della Grande Orsa accoglie coloro che partecipano alla festa. «Magari molti troveranno bizzarre alcune delle nostre iniziative, ma se in tutti questi anni abbiamo potuto conquistare un pubblico così ampio – conclude Riccardo – è segno che siamo riusciti nel nostro intento di diffondere l’amore per la musica e la cultura celtica in tutte le sue espressioni».
Non per niente quella che Taraglio chiama giustamente “cultura celtica” è oggi quanto mai ecumenica: grazie anche alle migrazioni dall’Europa verso i nuovi continenti, oggi i gruppi musicali che coltivano questo genere si trovano davvero in tutto il mondo. Il festival, in ogni caso, vede la partecipazione di artisti di estrazione assai diversa, alcuni ormai divenuti presenze fisse della manifestazione. Dalla Bretagna arriverà la bagad Cap Caval, con 35 musicisti impegnati a suonare percussioni e cornamuse; la penisola francese è, tra le diverse terre celtiche, quella che ha conservato un più intimo rapporto col proprio passato, che si esprime soprattutto attraverso i caratteristici balli in cerchio. La Galizia, enclave celtica in terra di Spagna, solo di recente sta riscoprendo le proprie radici, soffocate per quasi quarant’anni dalla dittatura di Franco: Carlos Nuñez, che interverrà alla festa valdostana dove è stato gradito ospite anche lo scorso anno, è forse l’interprete più significativo di questo risveglio (abilissimo suonatore della gaita, la tipica cornamusa galiziana, e di molti altri strumenti a fiato, ha partecipato per la prima volta al Festival Interceltique di Lorient alla verde età di 13 anni!). Un altro talento precoce è quello della diciassettenne violinista canadese Dominique Dupuis, anche lei habituée di Celtica. Tra le novità di questa nona edizione, invece, si annoverano i Vishtèn che propongono un’interessante fusione tra le musiche tradizionali bretoni, irlandesi e scozzesi e il country americano; gli Shannon, gruppo polacco che interpreta in modo originale le sonorità irlandesi, e gli Scoil Rince Derrada, gruppo di giovanissimi ballerini provenienti dall’Irlanda. A questo già intrigante programma si aggiungono, nei giorni della festa, numerose rievocazioni storiche, stage di archeologia sperimentale, spazi per i bambini, conferenze e un mercatino di oggetti celtici. Insomma, tra i boschi della Val Vény non c’è da annoiarsi.

Escursioni in Val Vény
Il festival è anche una ghiotta occasione per effettuare numerose passeggiate nei dintorni (si può comodamente partire a piedi dagli stessi camping), o anche vere e proprie escursioni che raggiungono i diversi ghiacciai della zona; il più accessibile è proprio quello del Miage, a cui si arriva grazie a una comoda sterrata che inizia in fondo alla valle, dove termina l’asfalto.
A completare il quadro, un buon assortimento di sentieri segnati a cura dell’Espace Mont Blanc, l’accordo transfrontaliero tra Italia, Svizzera e Francia che intende promuovere la più alta montagna europea. Un tracciato molto bello è ad esempio quello che parte dal parcheggio di servizio al Rifugio Monzino (segnalato e ottimo anche per i camper), traversa la Dora e risale in mezzo al bosco, per poi tagliare due torrentelli di fusione del ghiacciaio Freney, risalire la morena e arrivare, in circa 2 ore, al rifugio collocato in panoramica e sorprendente posizione; a dominare il percorso, il dente roccioso dell’Aiguille Noire de Peuterey (3.067 m). Se questa escursione è piuttosto impegnativa – ma ci si può limitare a percorrere solo la prima parte, ricca di sorprese e soddisfazioni paesaggistiche – ve ne sono di molto più tranquille, e in effetti la cosa migliore è affidarsi all’improvvisazione lasciandosi guidare dai diversi sentieri e dalle informazioni che si possono raccogliere dagli abitanti del posto.
Ad ogni modo, il consiglio che vi diamo è di preventivare una sosta nella valle per tutta la durata della festa, evitando di utilizzare il camper o l’auto per gli spostamenti e godendosi fino in fondo il privilegio di vivere per qualche giorno come se il motore non fosse stato ancora inventato (e, insieme ad esso, tutta la civiltà dei consumi). Sarà il modo migliore per apprezzare le magiche note di bardi e musici intenti a suonare nell’intatta cornice dei boschi per la gioia di chi vuole ascoltarli… fate, folletti e gnomi compresi.

PleinAir 395 – maggio 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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