La fabbrica delle fiabe

Visitare la Danimarca una prima volta, specie in camper, è come perdersi dietro un volo di fantasia.Tornarci è scoprire sempre nuovi incantesimi. Eppure nulla sa di falso o di virtuale: perché qui le favole sono impastate nel pane quotidiano, tanto da rappresentare una risorsa economica e da produrre ottimo companatico.

Indice dell'itinerario

I vichinghi, uomini e donne del villaggio, fanno la loro apparizione verso le nove del mattino. Tutti si danno un gran da fare: forgiano frecce, lucidano monili, cucinano, confezionano indumenti. Passato da poco mezzogiorno, ripongono gli attrezzi e con calma si mettono in fila al self service per il frokost, il pranzo. Un buon boccale di birra, quattro chiacchiere sull’ultima incursione in terra normanna ed è ora di timbrare il cartellino. Escono dal Vikingecenter, un museo vivente alla periferia di Ribe, infilano una cuffia stereofonica sulla testa e pedalano a tempo di musica, godendo il sole estivo come se fosse l’ultimo bagliore di un astro morente.
Re Gorm e la regina Tyra, capostipiti di una potente dinastia consolidatasi nel secolo X, si saranno rigirati nella tomba un paio di volte vedendo quanto è cambiato il loro popolo. Avrebbero comunque di che ricredersi: i loro discendenti, pur avendo abbandonato ogni velleità di conquista, amano profondamente la terra in cui vivono. Ogni occasione è buona per dare aria al vessillo nazionale, il Dannebrog, che sventola su poco più di 5 milioni di danesi, ben distribuiti su un territorio di 43.000 chilometri quadrati, due volte l’Emilia Romagna. Al quinto posto tra i Paesi con il più alto prodotto interno lordo pro capite, i danesi non se la passano affatto male. Le tranquille strade di campagna, perché è di questo che la Danimarca è fatta, si srotolano lente tra basse colline rivestite di spighe dorate, prati verdi e odorosi di terra, dolci insenature sabbiose dove il mare ama rifugiarsi. Qui si ritrova la tranquillità: quella sensazione che invita a una vacanza a misura d’uomo, dove è vietato allungare il passo per raggiungere mete prefissate sulla carta. Si potrà sempre ritornare, l’anno dopo magari, per accorgersi quanto sia presuntuoso dare al viaggio una dimensione temporale pari a quella delle ferie estive. Chi è posseduto dall’ansia di vedere tutto non ha motivo di preoccuparsi, la deriva dei continenti impiegherà millenni per spostare la penisola dello Jutland e la manciata di isole che compongono il Regno di Danimarca.
La fretta, del resto, non è certo di casa da queste parti. Arrivati a Tønder entrate nella “Det gamle Apotek”, l’antica farmacia trasformata nel regno dei complementi d’arredo. Violate la soglia del settore candele e stupitevi di quanto tempo impiega un danese per scegliere tra le mille sfumature pastello che ravvivano gli scaffali. E non basta: tovaglioli, segnaposto, sottobicchieri, fiori e frutta di legno concorrono nel dare vita e colore alle abitazioni del nord. L’armonia delle forme e l’equilibrio cromatico sono fondamentali, come dire che anche l’occhio vuole la sua parte. Cercare un pentolino per il latte, rinunciando al design è un’impresa epica. Sbirciate tra le finestre di Ribe, forse una delle più belle cittadine dello Jutland meridionale, e vi renderete conto di quanto assomiglino a vetrine di un’esposizione. Capirete allora che c’è ancora tempo per la fantasia, per visitare il museo dei giocattoli, salire sul campanile della cattedrale stupendosi del panorama.
La Danimarca vanta un incredibile numero di parchi divertimento, ma per ritrovare il sorriso di un bambino è sufficiente un aquilone. A decine saettano nel cielo di Rømø, appesi a un filo che li lega all’infinita spiaggia dove il tramonto si specchia nell’acqua della secca. I camper vi arrivano a sciami, attendono il calare del sole e tranquillamente, come una mandria al pascolo, fanno ritorno alla terraferma. Per approdare alla bassa isola Mandø, poco più a nord, serve il trattore. Dal borgo di Vester Vedsted partono lunghi e allegri carri, i Mandøbus, che sfidano la vasta palude partorita dalla bassa marea. In otto chilometri quadrati vivono 70 persone: sono un po’ isolati, forse, ma non conoscono l’ansia e fanno una marmellata di rose selvatiche dal gusto unico. A piedi o in bicicletta (le due ruote si possono noleggiare un po’ ovunque) ci si muove in questo frammento di terra coccolato dai flutti: una piccola chiesa bianca, una bottega, un mulino e una battigia infinita. Un’isolata colonna, scalfita da decine di tacche, ricorda le grandi mareggiate, inclusa quella del 1634 che sommerse quasi completamente l’isola.
Non dobbiamo dimenticare che è il mare il vero padrone di queste terre nordiche. Così impietoso con le fragili dune del litorale durante le sfuriate autunnali, altrettanto generoso quando sulla spiaggia abbandona i suoi gioielli dorati. L’ambra, una resina fossile d’aspetto vetroso e dai riflessi paglierini, racchiude il mistero delle antiche foreste del Terziario. Gli artigiani danesi compiono il miracolo e trasformano il grezzo prodotto di una mareggiata in un raffinato e luminoso gioiello.Ciò che l’estro umano è capace di creare lo trovate all’Amber-Mads’ House, nel piccolo borgo di Henne, a pochi chilometri dall’omonima spiaggia. Se invece è la natura che volete applaudire, dovrete correre allora sino alla propaggine settentrionale della penisola, a Skagen. Il piccolo Ravmuseum conserva numerosi pezzi d’ambra, nella cui fatale trasparenza sono rimasti prigionieri insetti e altri organismi vissuti milioni di anni fa. Non esitate a chiedere di dare un’occhiata al microscopio, scoprirete un universo fantastico, impercettibile ad occhio nudo.
Ciò che non si può fare a meno di vedere sono i grandi ciclopi bianchi che catturano il vento, enormi mulini che sembrano lacerare le nubi e che si stagliano nel piatto paesaggio danese. La scelta dell’energia pulita ha prodotto una selva di giganti che agitano le braccia nell’aria. Innanzi a loro, il piccolo mulino ligneo di Vestervig suscita un sentimento di romantica tenerezza. Eolo ha successo da queste parti, increspa le acque dell’immenso Limfyorden, sfiora le candide facciate delle chiese di campagna, teutoniche e puritane signore, fa scricchiolare in modo sinistro i turriti castelli del regno. Sono opera sua le grandi dune mobili sospese sull’affilata linea costiera nord-occidentale. Il vecchio faro di Rubjerg Knude, oggi trasformato in museo, è stretto nella vorace morsa della sabbia che inghiotte ogni cosa. Ogni metro percorso pare un chilometro, ma raggiunta la sommità dell’instabile barriera la vista ripaga della fatica.
Quasi un deserto, invece, è quello che fagocita il visitatore nell’area di Råbjerg Mile: sinuose colline strapazzate dal vento, sabbia candida a perdita d’occhio. Il malizioso gioco d’ombre e riflessi è violato da migliaia di impronte di chi è venuto per rotolare tra le dune. Il contatto con la natura di questi luoghi è epidermico, qualcosa di più di una semplice pedalata, di una spiaggia deserta o di un picnic in riva al mare. Non si viene in Danimarca per scalare grandi vette, la cima più alta non raggiunge i 180 metri, e nemmeno per stupirsi davanti a paesaggi mozzafiato. Basta poco, qui, una casa tinteggiata di giallo, una bicicletta rossa, un sorriso sincero per rimanere o diventare ottimisti.

PleinAir 311 – giugno 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio