La domenica dei mandriani

A Tricarico, il paese del Materano in cui nacque Rocco Scotellaro, le mascherate invernali si concludono con un'allegra sfilata di nostrani cowboy e il processo al Re Carnevale.

Indice dell'itinerario

Se si chiede a un abitante di Tricarico a quale anno risalgano le notizie sul primo Carnevale in paese ci si sentirà rispondere che non vi è alcuna certezza se non quella che il rito, a memoria dei più anziani, si è da sempre svolto nella domenica precedente il Martedì Grasso. Alla manifestazione è stato più tardi attribuito il titolo Le Maschere di Tricarico, che riassume in sé tutta la semplicità e la peculiarità tradizionale dell’evento.
Nel giorno della festa, di buon mattino uno stuolo di figuranti – tutti di sesso maschile, come spesso accade nelle espressioni popolari più antiche – si raduna intorno alla chiesetta di Sant’Antonio Abate, ai margini dell’abitato, e dopo aver compiuto tre giri propiziatori intorno all’edificio, come vuole la consuetudine, si avvia in corteo alla volta del borgo. Osservando la pittoresca sfilata si rimane colpiti dai fantastici effetti di colore delle maschere: alcuni sono travestiti da mucca o da toro, altri da mandriano e capomassaro, la cui identità è celata da un lungo e fitto merletto che, partendo dal largo copricapo, scende a coprire completamente il volto. Per ultima incede una coppia in severi abiti di velluto, il conte e la contessa proprietari della mandria che, superbamente distanti, ne controllano i movimenti durante la simbolica transumanza.
I costumi più appariscenti sono quelli che raffigurano gli animali, ricoperti da una cascata di nastri multicolori che partono dalle spalle arrivando quasi a toccar terra. Le mucche si distinguono per le calzamaglie bianche, mentre i tori le portano nere; tutti hanno fazzoletti e scampoli di stoffa annodati ai polpacci e alle caviglie. E’ il ricordo, trasfigurato nella rappresentazione carnevalesca, di quando le mandrie nei giorni di festa venivano decorate con nastri e fiori per mostrarli nel loro aspetto migliore.
Gli spostamenti del corteo sono cadenzati dal fragore dei campanacci, di grandezza direttamente proporzionale all’importanza del personaggio, cosicché i bambini scuotono felici i loro piccoli campanelli mentre il capomandria porta, con evidente soddisfazione, una pesante campana di una dozzina di chili. Una volta giunti nella centrale Piazza Garibaldi, i tori corrono all’impazzata di qua e di là corteggiando le mucche e intrecciando con loro animate pantomime. Poi le maschere si addentrano nel dedalo di stradine del borgo antico e qui il rimbombo dei campanacci tra le mura delle abitazioni diventa assordante, quasi un ritmo magico che accompagna il festoso cammino.
Tutto ciò si ripete fino a sera, allorché i centocinquanta partecipanti e il folto pubblico attendono il carro che trasporta in piazza Re Carnevale, impersonato da un fantoccio, e sua moglie Quaremma (anch’ella interpretata da un uomo). Entrambi assistono al rituale processo che si concluderà con la condanna al rogo di Carnevale, fra le grida di dolore e la sprezzante satira della consorte che non risparmia niente e nessuno.
La festa avrà termine tra canti e balli al suono di fisarmoniche, organetti e cuba-cuba (una sorta di rudimentale strumento a vibrazione), mentre il lutto dell’inconsolabile Quaremma sarà perpetuato da un pupazzo nero che rimarrà appeso a penzolare in Via Marsala per tutto il periodo quaresimale.

Il poeta contadino
Tricarico, a 698 metri d’altitudine, si erge al di sopra dell’assolata valle del Basento, caratterizzata da profondi calanchi. La piccola comunità lucana (circa 6.000 abitanti) deve la sua notorietà soprattutto a Rocco Scotellaro che subito dopo la Liberazione, a soli ventitré anni, divenne sindaco della città che gli aveva dato i natali. Il giovane intellettuale profuse il suo impegno civile soprattutto nel dare dignità alle rivendicazioni contadine della regione, dominata dal latifondo: una lotta che si concluse positivamente con l’approvazione della legge sulla riforma agraria. Come primo cittadino la sua opera a sostegno dei più deboli culminò con la realizzazione dell’Ospedale Civile, mentre la sua breve esistenza – morì appena trentenne, si dice a causa di un infarto cardiaco – ha lasciato una traccia significativa nella letteratura italiana del ‘900 con poesie e romanzi che ebbero numerosi riconoscimenti anche postumi. La casa natale di Scotellaro si trova al civico 37 della strada a lui dedicata e scandita da targhe riportanti versi tratti dalle sue opere.
La storia di Tricarico ha però inizio in tempi ben più remoti, quando l’originario nucleo abitativo sorgeva in posizione diametralmente opposta all’attuale sulla cima della Serra del Cedro, una collina in seguito abbandonata a causa di smottamenti e terremoti. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce reperti attestanti la presenza di popolazioni greche che, da questa strategica posizione, controllavano il territorio e i traffici che si svolgevano nella sottostante valle del Basento. Tricarico fu poi soggetto alla dominazione longobarda, bizantina, saracena e normanna, vedendo sotto quest’ultima il rafforzamento delle strutture castellane a sottolineare l’importanza che il centro andava assumendo. Ancora oggi l’imponente complesso difensivo costituito dal castello e dalla torre domina l’intero abitato caratterizzandone il profilo: la migliore prospettiva si apprezza percorrendo Viale Regina Margherita, mentre dal tetto della torre normanna il panorama si apre a 360 gradi.
Sulla centrale Piazza Garibaldi si ergono il campanile a vela della chiesa di San Francesco e il rinascimentale Palazzo Ducale nei cui saloni, ornati da affreschi e stemmi, ha sede la Sovrintendenza Archeologica di Basilicata che qui gestisce la mostra permanente dei reperti del Medio Basento. Dall’ingresso del palazzo si risale Via Veneto per giungere alla cattedrale di Santa Maria Assunta, in stile romanico con rimaneggiamenti di epoca normanna; prima di svoltare verso il sagrato, da notare sulla destra la strada che si incunea sotto un passaggio coperto abbellito dal prezioso Arco di Re Ladislao, con figure allegoriche scolpite nella pietra risalenti al XV-XVI secolo.
Proseguendo su Via Gramsci ci si addentra in quello che fu il quartiere saraceno, caratterizzato dalle abitazioni raccolte intorno a un cortile: in Largo San Pietro se ne può osservare un tipico esempio, mentre in fondo alla strada ci si affaccia sui resti delle opere difensive di quell’epoca, fra cui la torre di guardia e l’antica porta d’accesso alla città. Da qui si ha inoltre la visione generale della struttura stratificata del borgo, con le abitazioni che crescevano l’una a ridosso dell’altra.
Bisognerà tornare sui propri passi ed entrare nel quartiere Rabata per ritrovare l’antico tessuto urbano con l’intreccio di stradine tipiche della tradizione araba e ulteriori segni delle fortificazioni, come la Torre Rabatana sulla porta omonima. Da qui, scendendo su Via Convento, si giunge al convento del Carmine (per la visita chiedere al Comune) il cui interno è stato completamente affrescato nel 1612 da Pietro Antonio Ferro, uno dei principali esponenti della pittura lucana del ‘600, con scene illustranti la vita della Madonna e di Gesù.
Riprendendo Via Convento in direzione del centro, si imbocca un ponte (Via Padre Pacelli) per giungere dinanzi a un altro monastero, dedicato a Sant’Antonio da Padova, che racchiude un bel chiostro dalle volte affrescate. Attualmente è una casa di riposo per anziani voluta da monsignor Raffaello Delle Nocche, vescovo di Tricarico e promotore di numerose iniziative a favore delle genti del Sud, per il quale è in corso un processo di beatificazione.
Dopo tanti esempi di storia, d’arte e di fede, non si potrà fare a meno di apprezzare la gastronomia di Tricarico: qui infatti si producono eccellenti salsicce, delle quali si potrà fare scorta in una delle numerose macellerie del centro prima di riprendere la strada di casa.

PleinAir 426 – gennaio 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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