La chiamavano Felix

Nell'Agro Nolano, dove la Campania fu terra di generosa agricoltura oggi quasi scomparsa sotto l'incalzare di città e industrie, andiamo a cercare tra chiese, basiliche e ruderi castellani i segni e i protagonisti di una storia grandiosa e dimenticata.

Indice dell'itinerario

Pulcinella, chi era costui? Simbolo della Campania insieme alla pizza e al Vesuvio, con la veste bianca, la maschera nera, il cappello a punta e una comicità perennemente venata di tristezza, rappresenta da secoli Napoli e la sua regione in Italia e nel mondo. Ma Pulcinella non è nato nel capoluogo partenopeo: secondo la tradizione proviene invece da Acerra, grosso borgo della fertile pianura che si distende verso Caserta e i primi rilievi dell’Appennino. La Akerrai dei Greci ha origini antiche, e una lunga storia alle spalle ce l’ha anche l’ironica maschera che esisteva già nelle rappresentazioni latine (il suo nome deriverebbe da pullicenus, cioè pulcino), diventando famosa nel ‘600 grazie al sarto acerrano Andrea Calcese detto Ciuccio. Un’altra ipotesi menziona un certo Paolo Cinella o Chinella, celebre per la sua arguzia, dal cui nome pronunciato alla francese nella Napoli angioina deriverebbe quello del celeberrimo personaggio della Commedia dell’Arte. Per saperne di più sulla sua figura, sulla sua storia e sui suoi migliori interpreti – primo fra tutti ai nostri giorni Massimo Troisi, il grande attore di San Giorgio a Cremano scomparso nel 1994 – si può visitare il Museo del Pulcinella, del Folklore e della Civiltà Contadina, ideato dall’associazione Acerra Nostra e dedicato all’antropologo Alfonso Maria Di Nola. Ospitato al secondo piano del castello baronale, conserva quadri, stampe, statue, maschere e documenti d’epoca che approfondiscono il rapporto tra Pulcinella e la luna, tra Pulcinella, la fame e i maccheroni, tra Pulcinella e i padroni, per citare alcuni dei temi principali. Non mancano presepi animati da decine di piccoli Pulcinella, teatrini da strada con relativi burattini, locandine di spettacoli e film, fotografie di giganti del palcoscenico e della celluloide, da Eduardo De Filippo a Totò, che hanno incarnato il personaggio. Nel cortile è il monumento a Pulcinella scolpito da Gennaro D’Angelo, e su prenotazione si può assistere a O Cunto ‘e Pollecenella, una pièce teatrale interpretata nelle sale del museo dagli attori Carmine Coppola e Orsola Castaldo. L’edificio ospita anche le raccolte dedicate alla civiltà contadina di Acerra e della Terra di Lavoro, l’antica Liburia, con la ricostruzione degli ambienti di una casa di campagna (la camera da letto, la cucina, il forno, il tinello, un laboratorio per la riparazione di carri e ruote). Completano il quadro le sale dedicate all’etnomedicina, all’etnobotanica e all’entomologia popolare.

La città dei Gigli
A portata di mano dall’Autostrada del Sole, dalla Napoli-Bari e dalla Caserta-Salerno, questa è la terra che i Romani chiamavano Campania Felix per la sua fertile opulenza. Oggi le fabbriche, i depositi, i centri commerciali occupano buona parte dello spazio tra i popolosi centri di Nola, Pomigliano d’Arco, Cimitile, Marigliano e Cicciano. Verso nord, ai piedi del Monte Partenio, si aprono le gigantesche cave di pietra di Polvica, contro le quali si battono generosi comitati locali, e l’acqua che scorre nei Regi Lagni, i canali di bonifica fatti tracciare dai Borboni, è pesantemente inquinata.
Le brutture di oggi, però, non possono far dimenticare che l’Agro Nolano e la città da cui prende il nome hanno avuto per secoli una grande importanza nella storia della Campania e del mondo cristiano. A Nola, fedele alleata di Roma, morì nell’anno 14 Ottaviano Augusto, il primo imperatore dell’Urbe, e nel 1548 vi nacque Giordano Bruno, il frate e predicatore che proprio a Roma, in Campo de’ Fiori, sarebbe finito sul rogo per eresia. La moderna notorietà di Nola è dovuta invece alla spettacolare processione che si svolge la prima domenica dopo il 22 giugno: per l’occasione vengono portati in spalla nelle strade i Gigli, otto guglie di legno accompagnate da una barca, per ricordare l’accoglienza trionfale a San Paolino che tornava dall’Africa, dove si era recato per riscattare il figlio di una vedova fatto schiavo dai Vandali. Il santo, vescovo di Nola nel IV secolo, introdusse nelle chiese l’uso delle campane, chiamate all’epoca nolae. Le sue spoglie, come quelle del suo predecessore San Felice, sono custodite nel duomo, ricostruito in forme neoclassiche dopo l’incendio del 1861. Di fronte al portico, siglato da colonne joniche, sorge una statua novecentesca di Augusto donata da Mussolini come tributo al rapporto fra Nola e le glorie imperiali della Città Eterna. Nell’interno della chiesa spiccano il soffitto ligneo intagliato (con un’Apoteosi di San Felice di Salvatore Postiglione) e i rilievi cinquecenteschi del pulpito sopravvissuti all’incendio, opera di Giovanni Marliano. Di particolare suggestione è la cripta, la più antica chiesa della città, costruita sul basamento di un tempio di Giove e consacrata da San Felice: accanto alla scala che vi scende è un paliotto duecentesco che risente dell’influenza bizantina, dove sono raffigurati in rilievo Gesù con gli Apostoli, mentre la Madonna con Bambino sull’altare è del 1523.
I brevi orari di apertura suggeriscono di organizzare in anticipo la visita dell’adiacente Museo Diocesano, dove sono esposti oggetti d’arte sacra, ostensori, reliquiari, dipinti, codici miniati, sculture e l’Annunciazione, dipinto cinquecentesco del veronese Cristoforo Scacco, rubato da ignoti ma poi recuperato e restituito. Di grande interesse anche l’excursus nella storia cittadina che si può compiere al Museo Storico-Archeologico, allestito nel convento delle Canossiane, e la collezione etnomusicale I Gigli di Nola realizzata dall’associazione Extra Moenia. Poco lontano dal duomo, nel cortile del Municipio, sono esposte alcune statue romane, e se si continua la passeggiata nelle strade del centro si raggiungono la chiesa barocca di Santa Chiara e quella di Maria Santissima della Misericordia, con elementi gotici.
Una strada sale all’altura, affacciata sulla pianura e sul Vesuvio, dove sorgono il castello di Cicala e i conventi di Sant’Angelo in Palco e dei Cappuccini. Il maniero, che fu per secoli uno dei più importanti della Campania, è purtroppo chiuso e quasi completamente in rovina. Sant’Angelo, risalente al ‘400 e oggi adibito a ristorante, può essere visitato previo accordo con i proprietari e include una pregevole chiesa barocca. Non ci sono problemi, invece, per visitare il convento dei Cappuccini, fondato nel 1566, che conserva gli affreschi La Natività e L’Adorazione di Angelo Mozzillo e un altare barocco di legno intarsiato, opera di un artista di scuola sorrentina.
Una manciata di chilometri separa Nola da Cimitile e da uno dei complessi monumentali più importanti dell’Italia paleocristiana, sorto su una necropoli pagana che ospitava tombe di molti tipi diversi, dai grandi mausolei alle semplici formae, sepolture a terra realizzate in mattoni. Con l’avvento del cristianesimo, sui sepolcri comparvero i simboli della nuova fede come il melograno, il pesce, il tralcio di vite, la colomba con un ramoscello d’ulivo e il Buon Pastore. Qui ritroviamo i due vescovi già incontrati nel passato di Nola: a Cimitile venne infatti tumulato San Felice, e accanto alla sua tomba fu costruita una prima basilica subito frequentata dai pellegrini. Tra loro, nel 368, arrivò anche Papa Damaso, che fece edificare l’abside della Basilica Vetus di San Felice. Il gruppo delle basiliche raggiunse il massimo splendore alla fine del IV secolo grazie alle opere e alla cultura di San Paolino che si installò nella zona con una comunità monastica, si dedicò al restauro degli edifici esistenti, ne costruì altri ed eresse la Basilica Nova (la presenza dei resti di una fonderia fa pensare che sia stato egli stesso a far costruire uno dei primi campanili dotato di campane). Nei secoli successivi, dal VI al XIII, intorno alle costruzioni preesistenti sorsero le basiliche di Santo Stefano, San Tommaso e San Giovanni, quest’ultima recuperando l’abside della Basilica Nova abbattuta nel 455 dal sisma causato da un’eruzione del Vesuvio. Più tardi Nola e Cimitile furono saccheggiate dai Goti, dai Vandali di Genserico e dai Longobardi. La città santa fu distrutta, le reliquie di San Paolino e San Felice vennero trafugate e Nola scomparve dalle mappe. I primi tentativi di recupero iniziarono intorno al Mille, ma ebbero scarsi risultati. Nel 1594 un’altra eruzione del Vesuvio devastò i due centri e nel ‘700, per costruire la nuova parrocchiale, venne demolita buona parte della Basilica Vetus.
A riportare l’attenzione del mondo cristiano sulla città santa di Cimitile è stato Papa Giovanni Paolo II, nel maggio del 1992, raccogliendosi in preghiera sulla tomba di San Felice. I restauri che hanno dato al complesso delle basiliche l’aspetto attuale sono ancora più recenti: con i fondi per il Giubileo del 2000 è stato realizzato l’Antiquarium che ospita la cattedra lignea di San Paolino. Oggi, tra absidi, portali e affreschi che compaiono in varie parti del sito, il momento più emozionante della visita è offerto dalla basilica dei Santi Martiri, con i dipinti altomedioevali e l’aula scandita da strette colonne di marmo recuperate millesettecento anni fa dai templi romani di Nola. Per molti visitatori, però, l’incontro più sorprendente è quello con la tranquillità e il silenzio di questo luogo sospeso nel tempo, in netto contrasto con il traffico e il disordine dell’esterno.

Verso l’Irpinia
Ai piedi dei Monti del Partenio, ormai in direzione dell’Appennino, Avella è nota da secoli per i suoi noccioleti (non a caso le nocciole si chiamano anche avellane). L’Abella degli Osci appartenne agli Etruschi, ai Sanniti e poi a Roma: come in molti centri della Campania, l’abitato moderno si è sviluppato sopra quello antico e rende difficile scoprire i resti di quelle presenze. Punto di riferimento per la visita è il piccolo Antiquarium nel quale sono esposti vasi, statue, corredi funerari ed ex voto provenienti dalle necropoli di Sant’Antonio, San Nazzaro, San Paolino e Fontanelle, dalla villa romana di Monte Donico e dalle aree sacre di Seminario e Campopiane. Il personale dell’Antiquarium accompagna i turisti nella visita dell’anfiteatro romano, costruito fra il I secolo a.C. e il I d.C. e oggi posto all’estremità orientale dell’abitato: il monumento, in bella posizione, è purtroppo deturpato da gradinate metalliche utilizzate per spettacoli e concerti. Con un’altra passeggiata si raggiungono tre imponenti sepolcri romani dei primi decenni dell’impero.
Due strade asfaltate (una inizia dalla chiesa di San Pietro, l’altra dietro la collegiata) salgono verso la collina che ospita le rovine del castello, formato da una cinta di mura longobarde sormontate da un mastio svevo-angioino. Dopo aver parcheggiato sul pianoro si continua a piedi verso le mura e le torri: l’ingresso al perimetro è chiuso da una rete, ma si può salire accanto alle mura per avvicinarsi al mastio. I palazzi di oggi, in basso, appaiono stranamente lontani, come se questo luogo appartenesse a un’altra dimensione. Lungo tutto il tragitto lo sguardo, oltre che sui boschi del Partenio, spazia sulla pianura di Nola, il centro di Avella, il Vesuvio, e verso ovest si intuisce il mare. Qui la Campania Felix sembra esistere ancora.

PleinAir 424 – novembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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