L'oro di Napoli

Un inedito itinerario lungo il litorale vesuviano in cerca delle ville patrizie che testimoniano i fasti dell'età borbonica, anche grazie a un ente impegnato a difenderle dal degrado e dalle speculazioni. Con una tappa eccellente nella storia di diciannove secoli fa e una sosta tranquilla nella periferia cittadina.

Indice dell'itinerario

La mania o moda della seconda casa non è stata certo inventata ieri, e nell’aristocrazia ha sempre avuto la sua maggior promotrice. Esempio che ha lasciato notevoli tracce storiche sul territorio campano è quello dei Borboni, sovrani di Napoli: non paghi della Reggia che oggi si ammira in Piazza Plebiscito, si fecero costruire altri reali palazzi a Capodimonte, Caserta, Portici. A Portici, in verità, la cosa aveva avuto un esordio transalpino perché una casetta, si fa per dire, se l’era già fatta costruire a inizio secolo l’austriaco Emanuele di Lorena principe d’Elboeuf. Sembra anzi che Carlo III (ricordato a Napoli dall’omonima piazza) e la regina Maria Amalia proprio dopo aver visitato la villa di Portici furono conquistati dall’idea d’un pied-à-terre da quelle parti. La minacciosa prossimità del Vesuvio non dissuase i sovrani, che si appellarono al Signore, alla Madonna e a San Gennaro. La costruzione della Reggia di Portici suscitò un immediato impulso all’imitazione nella nobiltà napoletana, che aspirava a partecipare del particolare clima dovuto alla presenza della corte. La riscoperta settecentesca di Pompei ed Ercolano, attivamente sostenuta dai sovrani, contribuì a ravvivare anche il clima culturale dell’ambiente. Da quel momento e per il resto del XVIII secolo, nel segno del barocco e del neoclassico, fu tutto un fiorire di ville a volte imponenti con relativi parchi e giardini, per le quali furono chiamati a prestare la loro opera i migliori architetti. Del resto, importanti residenze erano già sorte su tutto il litorale vesuviano ad opera del ceto patrizio di diciotto secoli prima; diverse delle quali, come avremo occasione di constatare, giunte fino a noi per attiva cooperazione delle eruzioni del Vesuvio.
Il nome di Miglio d’Oro si direbbe andar stretto rispetto all’estensione del fenomeno delle ville settecentesche, che dall’estrema periferia della Napoli d’oggi si estendevano fino a Torre del Greco e oltre. Si trattava in genere di edifici che volgevano alla strada una compatta facciata di tipo urbano, presentandosi invece nel lato retrostante con elaborati prospetti ricchi di elementi architettonici valorizzanti le scenografie, le prospettive, la piacevolezza del casino di delizie . Quest’ampio patrimonio ha avuto nel tempo differenti riusi, sovente ha subito incuria e abbandono oppure è stato trasformato in anonimi condomini, mentre la speculazione non esitava a lottizzarne anche parchi e giardini. Ma le situazioni sono molto variegate, e tra le centoventidue ville del ‘700 censite in questa zona (riconosciute come beni culturali e protette da una legge del 1971) il visitatore del Miglio d’Oro riesce ancora, in più casi, ad ammirare le sopravvivenze di quell’irripetibile patrimonio. Ha giovato in questo senso la creazione di un Ente per le Ville Vesuviane, che dal 1977 si occupa della loro salvaguardia e, per quanto possibile, del loro recupero.

Da Portici a Ercolano
Questa proposta di visita del litorale vesuviano a sud-est di Napoli si basa sullo stesso criterio d’impiego dei mezzi pubblici seguito nel precedente itinerario che abbiamo dedicato al capoluogo partenopeo (PleinAir n. 400). Anche questa volta abbiamo scelto di non spostare il mezzo dall’area di sosta, servendoci dell’adiacente stazione Poggioreale della Circumvesuviana come punto di riferimento per l’accesso alle altre linee di trasporto.
L’itinerario più semplice e immediato prevede di raggiungere da Poggioreale, in tre fermate, il terminal di Porta Nolana, dove si sale sul trenino della Napoli-Sorrento che attraversa il Miglio d’Oro fermando nelle varie località. In alternativa si può scendere a Piazza Garibaldi, seconda fermata da Poggioreale, e prendere una delle numerose corse delle Ferrovie dello Stato che fermano a Pietrarsa, presso Portici. Questa seconda soluzione permette di visitare il Museo Ferroviario Nazionale, fra i più suggestivi e interessanti del genere in Europa.
Usciti dal museo si è presto sulla nazionale 18, chiamata dal ‘500 in poi Strada delle Calabrie poiché collegava la capitale del regno alle province più meridionali. Appena su quest’asse, la laterale per San Giorgio a Cremano porta in circa 500 metri alla Villa Pignatelli di Montecalvo, significativo esempio del degrado di una nobile dimora del ‘700 troppo a lungo abbandonata. Nell’accedere alla corte retrostante si possono intravedere, pur nello sfacelo, le qualità estetiche a suo tempo conferitele dal famoso Ferdinando Sanfelice, con l’atrio ellittico a volta ribassata e le due scale simmetriche esterne che collegano il piano terra a un corpo centrale con terrazza.
Nell’abitato di Portici la statale 18 prende il nome di Corso Garibaldi, per continuare dopo Piazza San Ciro come Via dell’Università. Varie ville si trovano lungo il corso e nel resto dell’abitato, tra cui la sopracitata Villa d’Elboeuf, che si raggiunge con l’autobus 255 oppure con una passeggiata di circa 20 minuti. In entrambi i casi, dalla centrale Piazza San Ciro occorre seguire sulla destra la strada che scende verso il mare serpeggiando fino al piccolo porto del Granatello, dominato a una certa distanza dalla villa, che appare oggi sopraelevata di due piani. Il principe austriaco, nello scavare un pozzo in una sua proprietà, aveva scoperto che sotto il denso strato di materiali vulcanici si trovavano i resti di un antico abitato, presto identificato come l’Herculaneum cancellata dall’eruzione dell’anno 79, appunto nella nuova villa venne all’epoca raccolto il primo materiale archeologico in qualche modo recuperato. Benché a suo tempo restaurato, l’edificio appare ridotto a nuovo degrado.
La Reggia di Portici si raggiunge percorrendo Via dell’Università. Superato un triplice arco ci si accorge di trovarsi già all’interno del complesso, mentre una corrispondente serie di archi conclude più avanti il grande cortile reale, permettendo alla vecchia statale di proseguire verso Ercolano. L’imponente costruzione è adibita dalla seconda metà dell’800 a sede della Facoltà di Agraria, favorita in ciò dagli ampi spazi verdi voluti dai sovrani borbonici (escluso l’orto botanico, per il quale occorre un particolare permesso, il parco è liberamente visitabile). Gli architetti ebbero un compito non semplice: essendo Carlo III appassionato di caccia e di pesca, voleva che sia il lato verso il Vesuvio che quello a mare gli restassero direttamente accessibili senza che venisse per questo impedito il transito lungo la Strada delle Calabrie, e ciò spiega la particolare pianta dell’edificio. Peccato non avesse la stessa attenzione alle esigenze anche collettive il successore Ferdinando II, che ebbe il merito di aprire nel 1839 tra Napoli e Portici la prima ferrovia italiana: la strada ferrata correva e tuttora corre quasi al limite dell’arenile, spezzando la naturale continuità tra abitati e spiagge. Era stata insomma creata la barriera poi ripetutasi per molte delle ferrovie costruite dopo l’Unità lungo diversi tratti della costa italiana. Usciti dal complesso universitario si può osservare sulla destra Villa Maltese, privata, dovuta a Domenico Vaccaro ma che subì modifiche nell’800.
Entrata in Ercolano, la 18 prende ora il nome di Via Resìna e subito ad angolo presenta la Villa Granito di Belmonte, casato di cui rimane lo stemma sotto la volta dell’androne. La facciata appare alquanto rovinata ma la villa, oggi adibita ad appartamenti, si caratterizza nella parte interna per il doppio cortile, l’ampio loggiato, le due rampe simmetriche. Risalente al XVIII secolo, anche se alterata da modifiche ottocentesche, la residenza oggi sede del Municipio di Ercolano con annesso parco, che ha oggi funzioni di giardino pubblico e ha conservato parte delle essenze esotiche originarie.
Lungo l’asse stradale del corso si incontra più avanti lo slargo dell’ingresso agli scavi di Herculaneum. Il sito fu esplorato nel ‘700 per mezzo di cunicoli via via richiusi, che permisero il recupero di molte statue ma arrecarono danni alle strutture antiche. In seguito, per la maggior facilità degli scavi a Pompei, si finì col dedicare a Ercolano assai minor attenzione. La campagna sistematica che dissotterrò la cittadina fu quella iniziata nel 1927 da Amedeo Maiuri, ma oggi gli interventi sono limitati dall’impossibilità di continuare lo scavo sotto gli adiacenti abitati della città moderna. Nel complesso la visita è resa gradevole proprio dalla non dispersiva dimensione della Ercolano dissepolta, i cui quartieri possono essere abbracciati dall’alto appena passato il chiosco della biglietteria. Ed è comunque una visita intrigante anche per la differente qualità dei materiali eruttivi che la ricoprirono: a Pompei furono ceneri e lapilli, qui invece un fango a base di materiali piroclastici che, saturati gli spazi, si indurì in una coltre simile a tufo. Quando il vulcano si placò l’antico abitato era scomparso, come affogato in un duro strato alto anche 20 metri: diversamente che a Pompei, ciò comportò la conservazione sia dei piani superiori che di strutture in legno, stoffe, vegetali, arredi. Per saperne di più basterà sfogliare la piccola guida, chiara e puntuale, che viene distribuita in omaggio presso la biglietteria dell’area archeologica. Nel caso poi vi venga il desiderio di andare a vedere o rivedere da vicino quel vulcano che fu la tragedia degli ignari abitanti del litorale, Ercolano è il posto giusto per farlo: dalla stazione della Vesuviana partono infatti quotidianamente numerose corse.
Qualche centinaio di metri all’esterno del sito, la Villa dei Papiri può essere visitata con lo stesso biglietto, ma solo nei finesettimana e dietro prenotazione su Internet. Il complesso, oggi al fondo di muraglie di materiale lavico scavate per 20 metri di profondità, godeva prima dell’eruzione della vista sul Tirreno; ma trovandosi per di più, in seguito a bradisismo, ben 4 metri al di sotto del livello marino, ci si deve oggi servire di una pompa per esaurire l’acqua di percolamento. Nei pressi della villa si trova, perfettamente conservata, una bella natatio, piscina coperta con ninfeo appartenuta a un impianto termale.
Poco dopo aver lasciato gli scavi, sempre in Via Resìna si incontra sulla sinistra la Villa Aprile, compiutamente restaurata per essere adibita ad albergo di lusso. Costruita per il duca Riario Sforza, la dimora continuava in un parco ricco di abbellimenti architettonici in parte aggiunti verso metà ‘800 dall’erede. Da poco ripristinato, il parco si apre con una vasca ornata dalla statua di Ercole (il semidio legato alla fondazione di Herculaneum) reduce dalla fatica dell’uccisione del leone di Nemea.
Deviando poco oltre nella strada sulla sinistra e svoltando quindi a destra si giunge alla raccolta ma elegante Villa Ruggiero, sede della Biblioteca Comunale. Fatta erigere nella seconda metà del ‘700 da un barone Petti, circa un secolo dopo passò alla famiglia Ruggiero, quindi nel 1985 all’Ente Ville Vesuviane che ne ha deciso il restauro. Forme rococò si osservano in particolare nel lato interno, dove la terrazza del piano nobile reca una balaustra adorna dei busti delle stagioni, mentre sulla facciata un busto di San Gennaro rivolto verso il Vesuvio ha, come in molte di queste ville, una chiara funzione protettiva.
Ripreso il corso, segue sulla sinistra Villa Durante, originariamente a due livelli, ma che al pari di altre venne nell’800 sopraelevata di un piano. Interamente ottocentesca, invece, la successiva Villa Arena, il cui giardino interno ospita oggi un’attività vivaistica. Ma ecco, proprio di fronte, Villa Campolieto, la prima ad essere stata restaurata dall’Ente Ville, che vi tiene alcuni uffici. Il committente duca di Casacalenda doveva essere un personaggio piuttosto esigente se, iniziata la costruzione nel 1755, licenziò ben due architetti prima di affidarsi dal 1762 all’opera di Luigi Vanvitelli. Salvata da un disastroso abbandono la villa rappresenta un’opera egregia, in cui spiccano le scenografie dello scalone, le belle sale decorate, il porticato ellittico che diviene allo stesso tempo passeggiata coperta e scoperta, le rampe esterne di accesso alla terrazza del piano nobile.
Poco distante è la pertinenza di Villa Favorita, un altro complesso restaurato nella parallela verso mare di Corso Resìna, situata al centro di un’area verde che ne era il parco. Fra le sue attrattive è la prossimità alla costa, dove dispone di un imbarcadero per chi vi giunga dal mare. Quanto alla grande Villa Favorita, che si trova subito sul corso e appare bisognosa di restauri, tra gli svariati passaggi di mano ne ebbe a subire uno a dir poco singolare. Sembra infatti che un tal don Stefano Gravina, proprietario della dimora, offrì qui nel 1768 un fastoso ricevimento in onore di Maria Carolina d’Austria; ma tanto piacque la villa alla regina che il nobiluomo si sentì in dovere di offrirgliela. Ciò non impedì più tardi a re Ferdinando IV di insediarvi l’Accademia della Marina Borbonica. Verso la fine dell’800 La Favorita ospitò per una decina d’anni Ismail Pasha, kedivè d’Egitto, costretto ad abdicare dopo l’intervento nel paese degli anglo-francesi.

Da Torre del Greco a Torre Annunziata
Per continuare verso sud si può attendere il bus 255 (passaggi non sempre frequenti), oppure utilizzare una delle due fermate ercolanesi della ferrovia Vesuviana.
Torre del Greco è una vivace località di tradizione marinara che fu sovente soggetta alle intemperanze del Vesuvio, come mostrano le strade che fin dal mare risalgono le falde della montagna. L’attività di pesca del corallo, che i suoi equipaggi praticavano già da un paio di secoli, subì un’accelerazione dopo che alla fine del ‘600 la popolazione riuscì a liberarsi del giogo feudale. Tuttavia solo con il XIX secolo si sviluppò un artigianato d’alto livello che tuttora ne fa la città del corallo per eccellenza.
Uscendo dalla stazione della Vesuviana e scendendo per Via Veneto e Via Colamarino, troverete in Piazza Santa Croce la singolare scenografia di un campanile molto più basso della chiesa cui appartiene. Mistero presto chiarito: nel 1794 Torre del Greco venne investita da una copiosa colata lavica che in una notte distrusse completamente la parrocchiale. Si salvò invece la torre campanaria, anche se affiorando dalla lava solo con la parte superiore. Più tardi la chiesa venne riedificata sullo spessore della colata, mentre il vecchio campanile ottagonale mantenne, benché dimezzato, il proprio ruolo. Di qui per Via Beato Romano e Corso Umberto si può arrivare in Piazza Palomba, dove un antico monastero ospita il Museo del Corallo (visite solo su appuntamento). Sul tema varrà la pena visitare anche la raccolta privata Liverino, che richiede comunque di prenotarsi. Da Piazza Santa Croce si può infine scendere all’animato porto peschereccio, che ricorda con i suoi piccoli cantieri il tempo in cui le coralline battevano il Mediterraneo alla ricerca dell’oro rosso.
L’autobus suburbano della linea E dal centro di Torre del Greco permette di arrivare fino a poche centinaia di metri dalla storica Villa delle Ginestre, sempre percorrendo la statale 18 dove si riconosceranno altre ville di epoca borbonica che prolungano il Miglio d’Oro, come la Villa del Cardinale, tutta in giallo con l’immancabile San Gennaro protettore, o la bianca Villa Macrina, proprio dove il bus svolta a sinistra per risalire le pendici.
A Villa delle Ginestre Giacomo Leopardi fu ospite per vari mesi dell’amico Antonio Ranieri fra il 1836 e il 1837 e qui compose, prima di spegnersi a Napoli, gli ultimi suoi versi (tra questi La ginestra, che ha dato nome all’edificio, e Il tramonto della Luna). Di recente restauro, la dimora è ora tornata a contenere non solo il mobilio di allora, ma anche una ricca biblioteca interamente dedicata all’opera leopardiana e composta da ben 6.000 volumi. Ripresa la salita con l’autobus E (altrimenti una scorciatoia dimezza il percorso) conviene scendere all’altezza della bretella che in una decina di minuti conduce sulla collina dei Camaldoli, vistosa gobba vulcanica dalla magnifica veduta che spazia dal mare al Vesuvio. Da notare la naturale insellatura che protegge dalle colate di lava il convento sovrastante. Dedicato in tempo di Longobardi a San Michele e sede di eremitaggi, il sito appartenne dall’inizio del ‘600 ai Camaldolesi, che lasciarono definitivamente l’insediamento due secoli e mezzo più tardi. Da allora la bellezza del luogo ne fece il luogo di soggiorno di numerosi personaggi, mentre dalla seconda metà del ‘900 il convento è tornato ai religiosi con i Padri Redentoristi. Bussando, si può accedere oltre un cortile alla chiesa di gusto barocco e alla sua panoramica terrazza.
Nel ridiscendere verso la statale si trova sulla sinistra la stazioncina Villa delle Ginestre della Vesuviana, che permette di raggiungere in pochi minuti Torre Annunziata. Per visitare cosa? Ancora una villa, questa volta una bella e ricca costruzione di duemila anni fa che prima di scomparire sotto i materiali eruttati dal vulcano apparteneva forse a una notissima signora del tempo, la bella Poppea che (purtroppo per lei) aveva in terze nozze sposato Nerone. Per raggiungere Oplontis, questo il nome, bastano pochi minuti a piedi dalla stazione. Vastissima e tanto ricca di ambienti da disorientarsi come in un labirinto, la vasta e lussuosa residenza è ricca di portici, colonnati, giardini e fornita di una grande piscina, mentre molte sale contengono decorazioni e affreschi.
Ideale completamento dell’itinerario sarà l’escursione tra i boschi del Monte Faito. Per effettuarla occorre riprendere il trenino fino alla stazione di Castellamare di Stabia, adiacente alla teleferica che in 7 minuti tocca i 1.100 metri della stazione superiore. Da qui una passeggiata conduce al santuario di San Michele Arcangelo, a quota 1.280, mentre dal belvedere accanto alla cabinovia si potrà godere un’esaltante veduta del golfo di Napoli e del Vesuvio.

PleinAir 429 – aprile 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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