L'oasi ritrovata

Da poco dismessa la colonia penale, l'isola di Pianosa, nel Parco dell'Arcipelago Toscano, torna ad essere un bel posto per... evadere.

Indice dell'itinerario

La percepisci appena sopra il livello del mare, quest’isola piatta, alta neanche trenta metri, che appare quasi all’improvviso all’orizzonte della barca.
Dei ricordi carcerari, Pianosa conserva solo il muro che cinge la bellissima spiaggia di Cala Giovanna, tra il porto e i resti romani dei Bagni di Agrippa. Ma appena scesi, il fascino dell’isola è altro. Il silenzio, la luce, un caldo sole mediterraneo e un mare dai colori tropicali sono un regalo improvviso.
Seguendo la nostra guida, inforchiamo le bici e via tra mura scrostate e palazzi abbandonati. In quello che era il paese, si avverte chiaramente che l’isola è stata lasciata da poco. Ancora nel 1997, infatti, il carcere era una colonia agricola penale funzionante. Ma i carceri sulle isole costano e sono ormai quasi tutti chiusi. L’isola di Pianosa, intanto, attende un progetto di ecoturismo che porti qui ricercatori e nuovi abitanti da tutto il mondo. Si era parlato anche di un convento, ma non se ne fece nulla.
Peccato, perché era probabilmente l’unica occasione di poter visitare le catacombe cristiane, le più grandi a nord di Roma, che sono state recuperate all’ingresso del paese, sulla sinistra proprio prima dell’ex negozio del tabaccaio.
Un patrimonio eccezionale, custodito dalla Pontificia Sovrintendenza alle Belle Arti, purtroppo visitabile solo in occasioni molto speciali.

Il paese
Sul porticciolo svetta Forte Teglia, fatto costruire da Napoleone, che con la sua mole sovrasta i leziosi edifici ottocenteschi voluti o restaurati dal Ponticelli, storico direttore del carcere a cui si deve la realizzazione di gran parte delle opere urbane dell’isola. Il suo eclettismo culturale ha segnato l’architettura del borgo: merli e finestre di gusto medioevale, accostati a richiami rinascimentali o orientaleggianti, con un’armonia che li fanno sembrare molto più antichi di quanto in effetti non siano. Nel borgo sono da non perdere le bellissime cantine della direzione del carcere. Chiedete alla guida o a qualche guardia penitenziaria di poterle visitare, sono davvero interessanti.

L’isola senza tempo
Oltre il muro, attraverso il cancello semichiuso, passando davanti alla guardiola chiusa, con la sbarra alzata, si entra nell’area del carcere che interessava tutta l’isola. Sembra quasi lo scenario di un film, eppure è la realtà. I campi abbandonati, ancora rigogliosi di erba medica sopravvissuta a chissà quale semina, sono cinti da muri a secco di dimensioni ciclopiche. Si intuisce una fatica immensa nel realizzarli così precisi, intagliati nel tenero calcare conchilifero dell’isola. Sembrano non aver tempo, come tutto qui.
Lasciato l’immediato ridosso del Muro Dalla Chiesa che cinge il borgo abitato, alla nostra vista ora si offrono la steppa, i lembi di macchia mediterranea, le pinete e le scogliere che si specchiano su un mare quasi tropicale, dai colori cangianti dall’acquamarina al turchese, al cobalto.
Dalla punta settentrionale dell’isola, dietro le rovine dell’ex Sanatorio del Marchese, un panorama bellissimo si apre ai nostri occhi: la splendida insenatura di Porto Romano. Sul versante che guarda verso la Corsica, vicina ma spesso nascosta dalla foschia, da Punta Marchese a Punta Libeccio si articola una suggestiva scogliera gialla, ocra, avorio, ricca di fossili marini rimasti imprigionati nelle rocce calcaree di questa antica secca di sabbie divenute isola.
Tra queste tenere rocce si aprono diversi ripari e grotte, forse un tempo rifugio della foca monaca, ormai scomparsa dalle acque dell’Arcipelago Toscano.
Padroni assoluti dell’isola sono il silenzio e una miriade di uccelli stanziali e di passo. Qui nidificano il falco pellegrino e la poiana, l’upupa e il gruccione, la berta maggiore e il marangone dal ciuffo, il corvo imperiale e l’averla piccola, ma questo è soprattutto uno dei pochi rifugi del raro gabbiano corso che altrove mal sopporta l’invadenza del più robusto gabbiano reale.
La flora ci parla delle utilizzazioni agricole: è il regno degli ulivi, dei fichi, dei fichi d’india e di mille altre specie da frutto. Ma resta, ancora, l’isola della macchia mediterranea a lentisco e leccio, con cisti e rosmarino, ginepro fenicio e le bellissime violacciocche.
Ma Pianosa affascina ancor più sotto le onde: la prateria di posidonia, polmone verde dell’arcipelago, è tra le più estese del Mediterraneo. E non appena il parco avrà organizzato le visite subacquee, sarà possibile immergersi per ammirare grotte sottomarine e veri canyon, anfore e ancore antiche, corallo rosso e aragoste, cernie e dentici.
Speriamo presto. Basta un solo bagno a Cala Giovanna per rendersi conto delle immense potenzialità ecoturistiche di questo mare tropicale: occhiate, saraghi, orate, donzelle, triglie, razze, spigole e nugoli di inquietanti ma innocui barracuda!

L’itinerario di visita
Non è ancora definito il programma dettagliato delle attività per il 2003, poiché un cambio alla presidenza del parco ha fatto mutare alcune prospettive di gestione dell’area protetta. Da quest’anno ci saranno nuove opportunità di visita a Pianosa. Occorre informarsi prima di partire contattando l’Ente Parco, in particolare sull’eventuale possibilità di soggiorno che, negli anni passati, era garantito solo aderendo a iniziative di volontariato delle associazioni ambientaliste.
Comunque, se partecipate a una visita organizzata, convincete la guida a portarvi al Golfo della Botte, passando per Cala della Ruta, quindi a Punta del Marchese, tornando verso Cala Giovanna e il paese, rimirando le coste elbane: Chiessi, Patresi, Pomonte sembrano a portata di mano.
Non dimenticate di farvi accompagnare al piccolo cimitero dei detenuti e alle strutture carcerarie. E’ un pezzo di mondo reale che spesso sfugge a noi gente qualunque…
Mentre faticherete per le piccole ma impervie salite del ritorno, proprio dai Bagni di Agrippa si apre una bella veduta sul borgo con all’orizzonte l’isola di Montecristo.
Perdetevi tra le mura scrostate del paese abbandonato. Immaginate le grida dei bimbi che andavano a scuola, l’andirivieni di gente in divisa, le misure di sicurezza e… ascoltate ora il richiamo degli uccelli e la risacca del mare. Sembra davvero incredibile che sia tutto mutato in così poco tempo; eppure già si sente l’urgenza di una nuova vita, di un futuro fatto di ecoturismo e agricoltura biologica, di immersioni guidate e vita in pleinair.

PleinAir 370 – maggio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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