L'Italia di San Francesco/9 - La rupe tra i faggi

Sorto sul luogo dove San Francesco ricevette le stimmate, il santuario della Verna emerge dai boschi del Casentino con precipiti affacci sull'alta Valle del Tevere.

Indice dell'itinerario

I boschi ci sono sempre, nei luoghi di Francesco. Di solito, però, si tratta di scure macchie di leccio, di castagni, di intricati querceti cui si affianca qualche rara e imponente pianta secolare. Solo alla Verna, invece, il bosco è un’autentica e spettacolare foresta, che alterna i tronchi sinuosi dei faggi a quelli dritti come fusi degli abeti. Non c’è da stupirsi, d’altronde: qui siamo nei boschi del Casentino, tra i più fitti e suggestivi d’Italia. Nell’angolo più orientale della Toscana, a cavallo tra le valli del Tevere e dell’Arno, la roccia della Verna entra nella vita di Francesco l’8 maggio del 1213, sulla piazza di San Leo, quando il conte Orlando da Chiusi dona al santo e ai suoi seguaci una rupe circondata dal bosco, a mezz’ora di marcia dal suo ben munito castello. Un anno più tardi, il Poverello di Assisi visita per la prima volta la “sua” montagna, dove costruisce insieme ai confratelli delle rudimentali capanne in legno e pietra. Il primo edificio in muratura è la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, all’ingresso del santuario per chi arriva a piedi da La Beccia lungo la strada in uso nel Medioevo.
La Chiesa Maggiore (o Basilica) affacciata sul piazzale del Quadrante sorge invece a partire dal 1348. Prima, nel 1263, è stata eretta la Chiesa delle Stimmate, l’angolo più venerato del complesso, che ricorda l’episodio più importante della vita di Francesco alla Verna. Non sappiamo quanto lo stretto rapporto del Poverello con la Verna sia stato determinato dall’amore per il luogo e quanto, più semplicemente, dalla sua posizione centrale, che ne faceva una tappa obbligata nel corso degli interminabili vagabondaggi attraverso l’Italia centrale. Certo è che qui Francesco soggiorna per ben sei volte, compiendo una nutrita serie di miracoli e di atti notevoli di cui ci riferisce Bonaventura da Bagnoregio.
Una pagina dopo l’altra, la Legenda maior ci racconta come Francesco venga accolto festosamente dagli uccelli della zona e di come il suo arrivo faccia cessare le rovinose grandinate che danneggiavano ogni estate i raccolti. Altre pagine della biografia del santo sono dedicate al miracolo dell’acqua, in cui Francesco fa scaturire una sorgente dalla roccia per dissetare un pover’uomo che gli ha prestato il suo somaro. E all’episodio del frate che ottiene dal santo un foglio dove questi ha scritto di suo pugno le Laudi. Più noto di tutti, però, è l’episodio delle stimmate, che Francesco riceve un giorno imprecisato (probabilmente il 14) del settembre del 1224.
Dante, nel canto XI del Paradiso, racconta che “nel crudo sasso tra Tevere e Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che le sue membra due anni portarno”. Bonaventura da Bagnoregio, invece, racconta di come a Francesco appaia la visione di un uomo crocifisso, accanto al quale Cristo compare sotto forma di un serafino. Poco dopo, sulle mani, sui piedi e sul fianco del santo iniziano a manifestarsi i segni dei chiodi e della lancia. E’ “il vero amore di Cristo”, chiosa Bonaventura, a “trasformare questo innamorato nella stessa immagine di Lui”. Il luogo dove Francesco ricevette le stimmate coincide con la cappella omonima, meta ogni giorno all’ora nona (le 15) di una caratteristica processione dei frati. A metà del lungo corridoio attraversato da questa – e decorato dagli affreschi di Emanuele da Como e di Baccio Maria Bacci – una porta sulla destra consente di raggiungere la seconda cella di San Francesco, dove una grata di ferro protegge dall’assalto di pellegrini e fedeli uno dei tre letti di pietra di Francesco (gli altri sono a Santa Illuminata di Alviano e all’Eremo delle Carceri, mentre al Sacro Speco di Narni se ne trova uno in legno) che sono arrivati intatti fino a noi.
Legato alla vicenda umana di Francesco è anche il Sasso Spicco, una spaccatura chiusa da un enorme masso incastrato, dove il santo si ritirava frequentemente a pregare. Da non perdere, nella visita al santuario, lo stretto terrazzino del precipizio affacciato dall’alto sulla rupe, nel quale il santo sarebbe stato tentato, le terrecotte di Andrea della Robbia conservate nella Chiesa Maggiore e il museo del santuario che conserva reliquiari, paramenti, arredi sacri e vari dipinti di scuola fiorentina.
Anche il più laico dei visitatori, però, farebbe bene a ricordare che la Verna non è affatto un museo. Qui, più che negli altri luoghi francescani (e con la sola eccezione di Assisi), il viaggiatore incontra una comunità attiva, dedita all’accoglienza dei visitatori, al lavoro e alla gelosa custodia dei luoghi. Oggi vivono alla Verna undici novizi e diciotto frati, due dei quali, da qualche anno, hanno scelto la difficile strada della clausura. Qui chi lo richiede può partecipare a esercizi spirituali o vivere per qualche tempo in convento, e può ottenere che un frate lo guidi alla scoperta delle mille memorie e degli infiniti segreti del santuario. Incamminarsi poi nei boschi del Monte Penna consente a tutti di immergersi rapidamente nel silenzio anche nei giorni in cui la folla dei visitatori si fa più rumorosa e invadente.
Se Assisi (e non per volontà dei frati, che scelgono i conventi minori per vivere in maniera quasi eremitica) è da tempo ridotta a “museo di San Francesco”, La Verna è invece il convento francescano per antonomasia. Un luogo ricco, complesso, accogliente dove i ritmi e i tempi della comunità di religiosi convivono senza alcun problema con le esigenze – completamente diverse – di pellegrini, visitatori occasionali e turisti.

PleinAir 314 – settembre 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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