Procida, l'isola di Pasqua

Galleggia nel golfo di Napoli e dalla terraferma quasi si tocca. Ma è come se fosse alla deriva in un mare remoto. Procida la bella, Procida la colorata è la nostra isola di Pasqua: dove ogni anno, a celebrare la Passione di Cristo, si levano moai di cartapesta.

Indice dell'itinerario

E’ già buio quando il traghetto raggiunge le luci del porto di Procida la sera del Mercoledì Santo. E subito le note di una tammuriata si diffondono per il molo: alcuni ragazzi stanno provando uno spettacolo di danze e musiche popolari. Non è la sola tradizione alla quale i giovani isolani danno il proprio contributo. A gruppi, nel pianterreno dell’ex carcere o negli ormai pochi “portici” utilizzabili – un tempo adibiti a depositi per le vele, oggi via via occupati da negozi e pescherie – stanno lavorando febbrilmente a complicate, imponenti sculture in cartapesta dette Misteri, ispirate a temi biblici, che tra circa trenta ore sfileranno nella processione del Venerdì Santo a fianco delle antiche statue lignee.

Passione e misteri

Procida vista da mare

L’origine dei riti pasquali di Procida, spiega il priore dei Turchini Gabriele Scotto, va ricondotta al 1580, anno in cui venne creata la congrega dei Gesuiti. Seguendo una consuetudine del tempo i religiosi fondarono quattro confraternite, che dovevano presiedere anche ai principali eventi religiosi della comunità: quella del Cristo Morto e dell’Addolorata (Turchini o Incappucciati), del Santissimo Sacramento (Bianchi), di San Tommaso d’Aquino (Rossi) e di San Michele Arcangelo (Gialli).

Un’altra data è certa: il 1728, anno in cui lo scultore Carmine Lastricene dona alla confraternita dei Turchini il bel crocefisso ligneo da lui realizzato; da quello stesso anno diventerà uno dei protagonisti della processione, coperto da un tulle nero. I Misteri vengono invece introdotti a partire dalla fine del Settecento.

Chiesa dei Turchini

Procida_terra_murata

Mercoledì Santo. Verso sera la statua del Cristo Morto viene esposta nella chiesa della congrega dei Turchini.

Giovedì Santo. I riti di questa giornata sono presieduti dalla confraternita dei Bianchi. Nel tardo pomeriggio ha inizio la messa in Coena Domini, che comprende i riti del lavaggio dei piedi e dell’offerta del pane e del vino. Al termine della funzione il Santissimo Sacramento viene traslato all’altare della Madonna, accompagnato dal canto tradizionale “Io vi adoro”. Poi nella sacrestia dodici confratelli consumeranno la cena mentre i fedeli si accalcano per assistere alla scena e per ricevere l’offerta di piccoli pani come buon auspicio. Al termine della cena ha inizio la processione. Tolta la corona di spine e infilato il cappuccio, dodici confratelli compiranno con una croce nera sulla spalle e scortati da uomini che reggono un lampione, il giro delle chiese di Procida, procedendo con passo lento e solenne fino a tarda notte.

Venerdì Santo. Il paese dorme ancora quando la chiesa dei Turchini – la giornata è tutta loro – viene aperta per la veglia di preghiera; intorno alle sei del mattino, le statue del Cristo e della Madonna vengono condotte a San Michele dove sono raggiunte dai Misteri realizzati dai giovani isolani. Questi si incolonneranno lungo la strada all’esterno dell’abbazia in attesa di essere chiamati ad uno ad uno, segnando l’inizio di un corteo quanto mai composito che si muoverà intorno alle otto del mattino.

Sarebbe impensabile governare dei carri sulle impervie stradine del borgo: per questo i Misteri vengono fissati su portantine per il trasporto a braccia. Le composizioni più grandi richiedono anche otto o dieci portatori. Pure i bambini portano i loro piccoli Misteri: un cesto con pane, vino e frutta, o una minuscola ambientazione in cartapesta.

Dopo i Misteri nuovi (destinati alla distruzione) è la volta di quelli antichi: si tratta di effigi risalenti per lo più al secolo scorso. Poi sfilano le tre croci con Gesù e i ladroni, e la statua della Madonna Addolorata, preceduta da un gruppo di bambine vestite di bianco con mazzi di fiori tra le mani. A seguito della statua sfilano bambini maschi piccolissimi, vestiti con abitini neri ricamati in tessuto simile al velo della Madonna, tenuti in braccio dai padri. Poi, cantando inni, sfila la confraternita dei Turchini. Al centro del corteo la statua del Cristo Morto, seguita dalla banda e dalla folla dei fedeli.

Il corteo, che raggiunge la lunghezza di oltre due chilometri, in circa tre ore scende lento e solenne da Terra Murata al porto. Tradizione vuole che nell’ultimo tratto la statua del Cristo sia portata di corsa. I nuovi Misteri rimarranno di fronte all’acqua per giorni mentre le statue tornano a Terra Murata. A fine mattinata, la commozione e l’intensità che avevano pervaso il tragitto processionale nelle prime ore del mattino lasciano il posto a un’atmosfera di festa.

Il venerdì pomeriggio, nella chiesa di San Michele si ripete un rito particolare risalente alla fine del ‘500: il commento dell’agonia di Cristo, con prediche alternate al canto tradizionale “Salvate Christi Vulnera”. Alle otto di sera, una fiaccolata accompagna il Cristo e la Madonna nella chiesa della congrega dei Turchini.

Su e giù per Procida

Corricella_Tramonto

A differenza delle sorelle maggiori dell’arcipelago flegreo, Ischia e Capri, Procida non ha una tradizione turistica di vecchia data; apprezzati uomini di mare, i procidani veraci hanno sempre preferito il lavoro itinerante sulle navi alle attività stanziali. Da qui una sorta di sospetto verso il visitatore, potenziale fonte di sconvenienti distrazioni durante le lunghe assenze dei mariti… E anche oggi che il lavoro per mare comincia a scarseggiare e si guarda al turismo come risorsa significativa, gli abitanti (circa 11.000, in un’area di 3,5 chilometri quadrati) mantengono una propria fierezza e una precisa identità di appartenenza, singolarmente amalgamate alla calorosità partenopea.

L’attitudine passata spiega la massiccia antropizzazione di quest’isola che ha ceduto la gran parte degli spazi verdi alle case private, come si intuisce percorrendo a piedi l’arteria principale che scorre tra mura di recinzione. Tuttavia basta varcare l’arco di un giardino per offrire alla vista limoneti, aranceti, fiori, palme e varie piante mediterranee.

La visita inizia dal porto di Marina Grande, anima della vita isolana, luogo d’attracco dei traghetti da e per Napoli, Pozzuoli e Ischia. Affacciati sulla banchina, i colorati edifici a tinte pastello ospitano abitazioni, caffè, ristoranti e pescherie. Più avanti la chiesa di Santa Maria della Pietà, nelle cui vicinanze c’è l’attracco per le barche dei diportisti. Lasciato alla spalle il porto, ci si incammina lungo Corso Vittorio Emanuele e quindi Via Principe Umberto fino a Piazza dei Martiri, con la chiesa di Santa Maria delle Grazie e il palazzo Mignano de Iorio; da qui lungo Salita Castello, che offre incantevoli vedute sul mare, si raggiunge il borgo di Terra Murata (il più antico dell’isola, su un alto territorio ben difendibile) cui si accede passando sotto la porta di Mezz’Omo.

Lassù dominano anche il Palazzo Reale, fino a non molto tempo fa sede di un penitenziario, l’antica Abbazia di San Michele, dal bel soffitto a cassettoni con affresco raffigurante l’Arcangelo e una serie di cripte e cunicoli sotterranei, visitabili su richiesta. Fu più volte distrutta e ricostruita in seguito alle incursioni saracene; proprio in seguito a uno sventato attacco l’Arcangelo divenne patrono dell’isola.

Giù in basso, lo spettacolo dei vecchi pescatori che con mani abilissime riparano reti e intrecciano cordami è ancora una realtà al borgo della Corricella, uno degli angoli più affascinanti dell’isola chiuso nel porto naturale compreso tra Punta dei Monaci e Punta Pizzaco.

La visita potrà includere anche scorci suggestivi come la spiaggia del Porto Vecchio, sul versante nord, nelle vicinanze di un campeggio stagionale. E’ chiamata anche la Spiaggia del Postino, poiché qui vennero girate alcune scene dell’ultimo film di Massimo Troisi; nelle vicinanze, in corso di restauro, una torre aragonese di avvistamento.

L’insediamento della marina di Chiaolella, sul versante occidentale dell’isola di fronte a Ischia, è raggiungibile agevolmente sia a piedi che coi mezzi pubblici. Relativamente più recente, è zona turistica con spiaggette e stabilimenti balneari; ma offre anche il borgo con case di pescatori e un santuario dedicato a San Giuseppe. Da questa località si arriva in breve, prendendo la strada che sale sulla collina di Santa Margherita, al pontile che conduce all’isolotto di Vivara.

Appendice verde

Vivara_dalla_spiaggia_dei_pescatori

Solitario e disabitato, attraversato da un comodo sentiero che si snoda tra la fitta vegetazione mediterranea, l’isolotto di Vivara è il complemento ideale alla visita di Procida. Originariamente costituiva un tutt’uno con la sorella maggiore, poi il trait d’union tra le isole divenne sempre più sottile, fino a quando l’ultimo cordone ombelicale, la barriera corallina, venne abbattuto artificialmente per installare la conduttura dell’acquedotto che garantisce l’acqua a Ischia. Sopra le tubazioni si estende il lungo ponte sospeso che collega l’isolotto alla riva di Procida, non lontano dalla marina di Chiaiolella.

Seppur minuscolo, l’isolotto di Vivara racchiude notevoli elementi di interesse. Fu innanzitutto sede di un insediamento dell’età del Bronzo Medio e del Ferro (XVII-XVI secolo a.C.; gli scavi non sono però visitabili), al centro di un’area rilevante per i commerci del metallo nel bacino centrale del Mediterraneo. Utilizzato come riserva di caccia dai Borboni, fu coltivato a ulivo e vite verso la fine dell’Ottocento, come dimostrano i terrazzamenti artificiali dei versanti occidentale e orientale.

E come testimoniano i resti del frantoio situati in un edificio in cima all’isolotto, dove sono tuttora conservate la macina a trazione animale, le belle vasche maiolicate, le botti in legno. Di fronte, la costruzione dove abitò per un certo tempo un ornitologo in epoca borbonica: una delle pochissime presenze umane stabili in questo angolo di macchia mediterranea popolato dal gabbiano reale, dal grifo e da piante spontanee come cisto, mirto, corbezzolo, roverella, erica.

Dal 1973 l’isola è stata ceduta in fitto dall’Ospedale Civico Albano Francescano, che ne detiene tuttora la proprietà, alla Regione Campania; dall’anno successivo è stata dichiarata “Oasi per la protezione ed il rifugio della fauna stanziale e migratoria.” La visita è effettuabile solo con guida e su prenotazione (informazioni presso il Comune).

 

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