L'Eldorada

Tra ottobre e novembre i monti della Sicilia si tingono di riflessi dorati: dei gialli, degli ocra, dei rossi che faggi, roveri e betulle espongono al sole del Mediterraneo. E sembra di stare sulle Alpi, se non proprio in Canada: seguiteci, ci darete ragione.

Indice dell'itinerario

E’ una stagione da fiaba, quella che si appresta a colorare la terra di Sicilia: dopo la calura estiva le prime piogge rigenerano la vegetazione, preparandola a quel periodo – non più di tre settimane – durante il quale i monti dell’isola si coprono di insospettabili tonalità alpine. Con l’autunno le foglie delle faggete iniziano a pigmentarsi di oro e rame mentre betulle, roverelle, pioppi, cerri e roveri si tingono di mille gradazioni di ocra. Questo mutamento inizia verso la fine di settembre, quando i primi acquazzoni placano l’arsura delle montagne avvertendo uomini, piante e animali che sta per giungere il duro inverno; le nuvole atlantiche, spinte fino al centro del Mediterraneo dai venti di tramontana e di ponente, avvolgono le cime immergendole in una caligine ovattata e umida. L’uomo, con i suoi armenti, inizia a scendere verso i fondovalle lasciando in montagna ancora per qualche settimana, fin quasi alle prime nevicate, solo i rudi cavalli sanfratellani (una razza autoctona allevata allo stato brado sui Nebrodi). Il trascorrere dei giorni e i sempre più frequenti venti da nord fanno pian piano abbassare la temperatura: più lenta e costante sarà questa diminuzione, più lungo e sfavillante sarà lo spettacolo dell’autunno nei boschi, in un fulgore policromo che sembra quasi onorare la memoria delle foreste primordiali in gran parte abbattute per le necessità dell’uomo. Vi proponiamo tre itinerari alla scoperta dei boschi più belli che sono sopravvissuti: sull’Etna, sui Nebrodi, sulle Madonie.

Etna, il giardino di Vulcano
In autunno il più grande vulcano d’Europa, da tempo protetto dai confini di un parco naturale, è capace di stupire il visitatore più di ogni altra montagna siciliana. L’Etna ospita infatti in esclusiva, a questa latitudine, una specie arborea che sembra davvero fuori luogo così a sud: la betulla, che si è acclimatata in Sicilia durante l’ultima era glaciale e vi è rimasta limitando il suo areale sul vulcano in una stretta fascia che va dai 1.600 ai 1.800 metri di quota. Qui la pianta ha assunto caratteristiche genetiche specifiche tanto da essere considerata dagli studiosi come endemica con il nome di Betula aetnensis. Estese superfici di faggio e boschetti di pioppo tremulo concorrono anch’essi, in questi mesi, a rendere il paesaggio davvero affascinante.
L’itinerario da seguire per raggiungere i luoghi più spettacolari in questa stagione comprende innanzitutto la strada Mareneve che collega, in senso orario, Linguaglossa con Milo, Zafferana e termina al Rifugio Sapienza. Risalendo da Linguaglossa, la prima meta è il grande bosco di betulle etnensi che si stende a partire dal Rifugio Citelli verso i Monti Sartorius. Il giallo acceso delle foglie e il bianco striato delle cortecce dei tronchi contrastano fortemente con il nero dei campi di lava; vi sono piccoli boschetti, piante isolate, gruppi e gruppetti di ogni dimensione e, qua e là, esemplari di pino laricio che si arrampicano anche sui fianchi dei crateri Sartorius (generatisi nel 1835 durante una delle innumerevoli eruzioni laterali del vulcano).
Una lunga carrareccia sterrata, il cui inizio è segnalato da una sbarra di colore verde che impedisce l’accesso ai veicoli, parte a destra dalla strada che conduce al Rifugio Citelli (dove si può pranzare). Percorrendola a piedi si attraversa il bosco di betulle fino a raggiungere la vasta faggeta che attornia Piano Provenzana (in gran parte ricoperto dalla lava durante l’eruzione dell’estate 2002). In questa stagione è uno dei percorsi più facili e interessanti sull’Etna: si può seguire il sentiero per un breve tratto o anche per l’ora e mezza che serve per raggiungere la faggeta.
Tornati su asfalto si giunge in basso, al paese di Fornazzo, dove si può fare dell’ottimo shopping autunnale. Gli abitanti vendono sugli usci delle case prodotti tipici della zona: le ultime mele etnee (piccole e dolcissime, chiamate in dialetto puma gelate cola), i pomodori sott’olio, le conserve fatte in casa e intere cassette del re dell’autunno, sua maestà il fungo. Porcini, mazze di tamburo, ovuli e chiodini sono venduti agli angoli delle strade anche a Milo, Zafferana, Pedara e Nicolosi. In questi paesi il fungiaro (raccoglitore e venditore di funghi) è un vero e proprio mestiere, e i ristoranti offrono ogni genere di piatti a base di funghi.
Al bivio di Fornazzo, prima di imboccare a destra e proseguire verso Milo, consigliamo di fare una deviazione a sinistra fino a raggiungere, in poco più di 2 chilometri, un tratto stradale che permette di osservare le colate dell’eruzione del 1971. La lava ha letteralmente tagliato in più punti una vasta distesa di castagni che copre il fianco di un costone, e le foglie giallastre contrastano fortemente con quelle vere e proprie cascate di roccia nera che attraversano il bosco.
Tornati indietro e superati Milo e Zafferana (dove ogni domenica d’ottobre si tiene la fiera autunnale dell’Ottobrata), si attraversano altri grandi castagneti sfavillanti di colori che si spingono, un tornante dopo l’altro, fino a Piano del Vescovo. Lungo il tragitto si osserva sul fianco meridionale della Valle del Bove una stretta vallata, quasi un canalone, interamente ricoperta da faggi: è la Valle del Tripodo, particolarmente affascinante in autunno e di grande attrattiva per chi è appassionato di fotografia.
Un’ultima meta, sia pure un po’ fuori mano, ci aspetta sul versante nord-occidentale: il bosco di Monte Maletto. Si percorre la statale 284 che collega Bronte a Randazzo e, superato il bivio che conduce nel paese di Maletto, sulla destra s’incontra un quadrivio e qui s’imbocca la stradella a destra fino al cancello, nei pressi del quale si lascia il veicolo. A piedi si prosegue per circa un’ora e mezzo incontrando presto le propaggini più basse di questo bosco vastissimo che raccoglie, alle diverse quote, tutte le specie arboree presenti sul vulcano. Una volta raggiunta la strada forestale altomontana si prende a sinistra e, dopo pochi minuti, si segue a destra l’indicazione per il rifugio di Monte Maletto. Un sentiero sulla sinistra costeggia l’antico cratere del monte, permettendo di affacciarsi in un ampio pianoro dal quale si potrà osservare la parte più alta del bosco in tutta la sua magnificenza.

Nebrodi: la foresta di un tempo
Sono i rilievi che, più di ogni altra area dell’isola, riescono a dare l’idea dell’antico aspetto della Sicilia. La dorsale di questi monti sedimentari (protetti da uno dei parchi naturali più vasti d’Europa) è infatti in grandissima parte ancora coperta da un manto pressoché ininterrotto di boschi di roverelle, faggi e cerri. Dopo aver visitato sull’Etna il bosco di Monte Maletto, per raggiungere il cuore dei Nebrodi conviene dirigersi alla volta della vicina statale 120 e seguire le indicazioni per Cesarò; si percorrerà quindi la panoramicissima statale 289 fino a San Fratello, per poi raggiungere la costa tirrenica tra Acquedolci e Sant’Agata di Militello.
Subito dopo il paese arroccato di Cesarò, a 1.150 metri, non sembra assolutamente di trovarsi in Sicilia: i tornanti tagliano boschi fittissimi lungo i quali si aprono piccole radure, i dolci rilievi sono completamente avvolti da un manto sfavillante con mille sfumature di giallo e di ruggine mentre, improvvisi, si aprono vasti panorami a perdita d’occhio lungo crinali boscosi e praterie verdeggianti anche d’autunno. Lungo la strada i paesaggi più spettacolari si osservano dalla contrada Femmina Morta. Volgendosi verso occidente si susseguono infiniti rilievi coperti di faggi e con ampi pascoli; ad oriente invece i crinali si raccordano con lo sfondo incombente dell’Etna. Proprio da Femmina Morta, sulla destra si diparte la carrareccia che segue la dorsale dei monti (ma non è percorribile in camper poiché il fondo è piuttosto accidentato e in alcuni tratti le fronde degli alberi sono di ostacolo a un mezzo alto). A piedi, in poco meno di un’ora, si raggiunge il lago artificiale Maulazzo dove si specchia la parte occidentale della grande faggeta di Monte Soro, la più alta vetta della catena con i suoi 1.847 metri di quota. Più avanti, in poco più di un’altra ora di cammino, si raggiunge lo straordinario lago naturale del Biviere: qui è ancora più ampia la parte di faggeta che si riflette nello specchio d’acqua sul quale incombe di nuovo l’Etna. Affacciandosi sul versante settentrionale dei monti, si osservano il bosco di faggi di Scavioli e le spettacolari Rocche del Crasto, un complesso montuoso d’origine calcarea che ospita una piccola colonia di grifoni recentemente reintrodotti dall’ente parco. Nei vasti pascoli di montagna svettano anche grandi esemplari di cerro che in questo periodo assumono tonalità color ruggine, e sempre intorno al lago non è raro incontrare branchi di cavalli sanfratellani. Passeggiando nel bosco, non sarà poi difficile scorgere diverse qualità di funghi e osservare le spettacolari fioriture autunnali del ciclamino. Straordinarie escursioni a cavallo sui monti del parco si possono compiere partendo da San Fratello o da Floresta: questo è infatti un vero paradiso per il turismo equestre grazie ai numerosissimi sentieri e alla natura del terreno, soffice e senza forti pendenze.
Dopo aver visitato l’antico centro storico di San Fratello, dove si parla un dialetto gallico risalente alle origini longobarde dei fondatori del borgo, si scende fino alla costa tirrenica e da qui si può tornare sui Nebrodi all’altezza di Marina di Caronia, dove una lunga strada di montagna inizia a inerpicarsi attraversando, a 504 metri di quota, il paese medioevale di Caronia, con il suo bel castello. In un continuo susseguirsi di scenari naturali, che mutano al variare della quota, si raggiungono i 1.503 metri d’altitudine di Portella dell’Obolo e quindi al paese di Capizzi, famoso per i suoi formaggi di pecora e vacca prodotti nei marcati di montagna da numerosi allevatori. Pezze di tomazzo e di pecorino si possono acquistare nei negozi d’alimentari: un’altra occasione per assaggiare i sapori di questa terra.

Madonie: i monti più antichi
Il complesso delle Madonie è anch’esso protetto da un parco, in questo caso regionale. Si può raggiungere da nord lungo la statale 113 tirrenica, deviando poi verso l’interno in direzione Castelbuono o Piano Battaglia, oppure da sud seguendo la statale 120, lungo la quale si trovano le due Petralie.
Siamo in un ambiente completamente diverso dall’Etna, d’origine vulcanica, e dai Nebrodi, d’origine sedimentaria. Questi monti formati da duro calcare carbonatico, i primi a emergere, sono i più antichi dell’isola, dall’orografia aspra e complessa, ma anch’essi ricchi di straordinaria vegetazione. Eccezionali sono ad esempio gli accostamenti di colore tra il grigio del calcare e gli ori delle faggete tra Castelbuono e Petralia Sottana, come pure il vastissimo bosco di rovere in contrada Pomieri a breve distanza da Piano Battaglia. Per conoscere meglio il parco in autunno sono d’obbligo tre escursioni a piedi (ma è possibile visitare varie località dell’area anche con escursioni organizzate a cavallo). La prima e breve passeggiata conduce in un bosco di agrifogli secolari, i più antichi d’Europa: si trova a Piano Pomo ed è raggiungibile percorrendo da Castelbuono la strada di montagna che raggiunge il Rifugio Crispi. Lasciato il veicolo nel parcheggio si prosegue a piedi lungo il sentiero; al bivio s’imbocca a sinistra e, dopo aver superato un cancello di legno (da richiudere), si prosegue fino a un antico pagliaio bruciato che si scavalca mediante una scaletta di legno posta nel reticolato sulla destra. Di fronte, da un vasto campo di felci color ruggine, emerge la distesa degli agrifogli, che in autunno sono punteggiati da una miriade di bacche rosse. Qui il sentiero si addentra nel bosco ed è come se calasse il sipario: all’improvviso si entra in un tunnel naturale dove la luce del sole riesce a malapena a filtrare tra le fronde fittissime che coronano enormi tronchi, mai tagliati per proteggere dalla calura estiva gli animali al pascolo.
La seconda escursione conduce sul complesso del Monte Carbonara, la cima più alta delle Madonie. Il sentiero inizia all’imbocco di Piano Battaglia, a sinistra della strada asfaltata che lo collega con Portella Colla; è segnalato e si trova subito dopo una curva a destra che segue due grandi tornanti e un breve tratto rettilineo. Sale di quota tagliando il fianco della montagna e offrendo straordinari panorami sul complesso di Monte Cervi (1.794 m) e di Pizzo di Pilo (1.385 m). Lungo il percorso si possono ammirare grandi esemplari d’acero montano che in autunno assumono anch’essi colorazioni da foresta nordamericana. Dopo circa un’ora di cammino, si osservano strapiombi impressionanti e si raggiungono fitti boschetti di faggio dorato, spesso sul fondo delle doline che tormentano la parte sommitale della montagna; si tratta di depressioni formatesi con il diluirsi del calcare a contatto con l’acqua prodotta dal lento scioglimento delle nevi invernali. E’ un sentiero da seguire solo se la visibilità è ottima e non vi sono pericoli d’improvvisi cambiamenti del tempo: in tal caso, poiché è facile perdersi, conviene subito tornare a valle ripercorrendo a ritroso il percorso seguito.
Il terzo itinerario ci conduce nel vallone Madonna degli Angeli, dove si osservano altre due particolarità botaniche. Il sentiero inizia da un grande cancello verde a fianco del quale si apre un passo pedonale, lungo la strada che da Portella Colla conduce a Polizzi. In tre quarti d’ora si raggiunge un secondo sentiero, riconoscibile chiaramente alla prima curva a gomito all’interno della valle, che in altri 20 minuti porta a uno dei ventidue esemplari superstiti di abete nebrodense. Prima dei disboscamenti operati dai Romani durante le guerre puniche per rifornire di legname i cantieri navali, le faggete dei Nebrodi e delle Madonie vedevano la presenza di questi giganti che svettavano fino a 30 e più metri d’altezza: oggi ne sono sopravvissuti pochi esemplari, e solo in questo vallone.
La seconda particolarità botanica, che nuovamente dà il meglio di sé in autunno, si osserva sui versanti nord e sud dello stesso vallone. Il primo, più freddo, è interamente ricoperto da una fitta faggeta dai colori cangianti, mentre l’altro è occupato esclusivamente da lecci sempreverdi che creano un accentuato contrasto, esaltando ancora una volta i paesaggi di questa fiabesca Sicilia.

PleinAir 375 – ottobre 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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