L'eccezione e la regola

Un antico rito agrario per la festa dell'Immacolata è l'occasione per scoprire la cattedrale di Atri, che conserva un ciclo di affreschi rinascimentali fra i più belli d'Italia, e per passeggiare tra i selvaggi calanchi che fanno da sfondo al panorama di questo prezioso borgo abruzzese.

Indice dell'itinerario

Se Leonardo da Vinci si fosse trovato sulle mulattiere che in epoca medioevale portavano ad Atri, avrebbe probabilmente immortalato in un suo dipinto gli aspri calanchi che sembrano cingere d’assedio la cittadina abruzzese. Gli scrimoni, come li chiamano da queste parti, con le loro grigie creste appuntite che si levano all’improvviso tra casolari, laghetti e verdi colline, ricordano infatti il paesaggio che fa da sfondo alla celeberrima Gioconda.
Il fenomeno calanchivo, qui come altrove, è dovuto alla millenaria opera di erosione del vento e dell’acqua sulle rocce d’arenaria soggette alla deforestazione. La forte intensità delle piogge, alternata a periodi di siccità tipica del territorio, ha fatto il resto scolpendo nei materiali argillosi le profonde, caratteristiche incisioni: così è nato questo paesaggio di inquietante meraviglia, che si offre in tutta la sua singolarità allo sguardo di chi raggiunge l’entroterra teramano dalla costa adriatica o dal Gran Sasso.
Dal 1999 i calanchi di Atri sono tutelati dall’omonima riserva naturale regionale gestita dal WWF, 380 ettari di natura incontaminata dall’aspetto quasi metafisico. Per raggiungere l’area protetta, dal paese si imbocca la strada in direzione di Teramo incontrando poco dopo le indicazioni che portano al Colle della Giustizia, da cui si dipartono i percorsi escursionistici. Quattro itinerari segnalati di libero accesso, ciascuno della durata di circa 2 ore e mezzo, consentono di esplorare a piacimento questo ambiente straordinario: a piedi – indispensabili un buon paio di scarpe da trekking e una piccola riserva d’acqua – si possono seguire i sentieri Casale e Colle Varese, mentre le sterrate della Brecciara e di San Paolo sono percorribili anche in auto o in fuoristrada (ma non in camper, a causa delle notevoli pendenze che coprono il forte dislivello tra i 106 metri del fondovalle del torrente Piomba e i 470 del Colle della Giustizia). Varie piazzole panoramiche consentono di osservare da vicino i calanchi più affascinanti, che si possono scoprire anche con le escursioni organizzate proposte dalla riserva oppure in compagnia delle esperte guide locali, concordando la loro assistenza presso l’ufficio informazioni ospitato nella sede municipale.
In questo habitat così difficile e apparentemente inospitale, flora e fauna sono invece presenti con una molteplicità di specie caratteristiche dei diversi ambienti. Nelle vicinanze dei corsi d’acqua si trovano in particolare il salice, il pioppo e il frassino, mentre i laghetti artificiali che punteggiano l’area sono circondati da equiseto, canna di palude e lenticchia d’acqua; su vecchi appezzamenti agricoli oggi abbandonati si è sviluppata una folta macchia arbustiva, e sulle aride e scoscese pendici dei calanchi non mancano piante tipiche di questi suoli come il cappero e il carciofo selvatico. A queste e altre varietà botaniche – c’è perfino la liquirizia, raccolta e lavorata fin dal Medioevo e tuttora impiegata da alcuni rinomati produttori locali – si affiancano numerose specie animali, in special modo rapaci (la poiana, lo sparviero e il gheppio ma anche il barbagianni, la civetta e l’allocco) e piccoli mammiferi, tra i quali primeggia l’istrice che è stato scelto come simbolo della riserva.

Notti di fuoco
La passeggiata nei calanchi è solo una delle sorprese che Atri riserva al visitatore: perché questa è, prima di tutto, una meta d’arte e di cultura fra le più ricche e particolari non solo dell’Abruzzo, ma di tutta l’Italia centrale. E se d’estate i turisti che affollano le non lontane spiagge di Roseto, Pineto e Silvi Marina salgono volentieri a godersi un fresco pomeriggio sui colli, nella stagione fredda c’è un’occasione davvero speciale per immergersi nella storia e nelle tradizioni di questo nobile borgo.
Tutto ha inizio la notte dell’8 dicembre, festa dell’Immacolata, quando gli abitanti sfilano lungo le vie del centro antico stringendo tra le braccia i faugni, lunghi fasci di canne intrecciate che vengono accesi a mo’ di torce illuminando con i loro bagliori le facciate dei palazzi. Come un fiume di fuoco, in un clima di grande commozione il corteo raggiunge la cattedrale e qui, uno per uno, i faugni vengono accumulati al centro della piazza andando a formare un gigantesco falò di buon augurio, ricordo millenario degli ancestrali culti agrari in onore delle divinità femminili. Oggi come un tempo, le fiamme che spezzano l’oscurità esprimono la speranza di sempre: un raccolto abbondante, animali in buona salute, prosperità e serenità per tutti.
Il giorno successivo, dopo la celebrazione della messa, si aspetta l’altro grande momento della festa: la processione serale con l’immagine della Vergine, i fuochi artificiali e soprattutto il ballo della pupa pirotecnica, che si muove al ritmo di una marcetta nella piazza gremita di folla. Sono pochi i luoghi in cui ancora si svolge questo rito di remota origine: una figura in cartapesta, rivestita da un’intelaiatura imbottita di petardi e razzi, che compie una sorta di danza apotropaica a passo cadenzato, emettendo luci e scintille multicolori. L’effetto scenografico è dei più spettacolari, tanto da far dimenticare che la pupa (anzi le pupe, perché dopo un po’ se ne aggiunge una seconda) è guidata da un esperto portatore che sorregge la pesantissima struttura, la fa roteare e al momento opportuno accende la miccia, che scatenerà una scoppiettante reazione a catena. Mentre il ritmo avvolgente della musica incalza nella piazza illuminata a giorno da luminarie e botti, le due effimere statue continuano la loro danza vorticosa finché, consumate dai petardi, non ne rimarrà che l’intelaiatura bruciacchiata e fumante. E’ allora che hanno inizio i fuochi artificiali al di sopra del campanile romanico di Santa Maria Assunta, straordinario capolavoro dell’architettura sacra innalzato da Raimondo di Poggio e Rainaldo d’Atri intorno al 1260 sui resti di una chiesa preesistente. Completato nel 1305, l’edificio presenta una facciata di elegante sobrietà in pietra d’Istria con il bellissimo rosone a raggiera, il portale principale e tre accessi laterali (opera degli stessi artisti) uno dei quali, la cosiddetta Porta Santa, viene solennemente aperto ogni anno il 14 agosto per permettere il passaggio dei fedeli, ottenendo così l’indulgenza. La basilica è in restauro da tempo, a causa di danni alla pavimentazione e problemi di stabilità del tetto nell’ala di raccordo con la confinante chiesa di Santa Reparata, ma il Comune spera di poterla riaprire al pubblico entro il Natale del 2007 e magari ancora prima, proprio durante la festa dell’Immacolata. Anche questa sarebbe un’occasione da non perdere: il grande, austero tempio dalle altissime navate, tra preziose acquasantiere cinquecentesche (tra cui la bellissima Popolana) e il battistero in marmo bianco del 1503, opera di Paolo De Garvis, ospita infatti il formidabile ciclo pittorico quattrocentesco di Andrea De Litio, il più insigne rappresentante della scuola pittorica abruzzese e uno dei più celebri artisti del Rinascimento italiano. Non ci sono parole per descrivere la meraviglia suscitata da questa sorta di Cappella Sistina d’Abruzzo, ricoperta dagli affreschi che decorano abside e volta del Coro dei Canonici: le figure sembrano prendere vita da un momento all’altro, tanto evidenti sono la forza drammatica e il grande senso prospettico che l’artista assimilò da maestri quali Piero della Francesca, Domenico Veneziano, Paolo Uccello. I dipinti, opera della maturità di De Litio, formano una superba galleria che annovera scene grandiose quali la Strage degli Innocenti, la Fuga in Egitto e una possente Resurrezione, oltre a una serie di ritratti di santi e altri episodi della storia sacra e delle Scritture. L’espressività delle immagini ne aumenta l’efficacia didattica, offrendo nel contempo preziose testimonianze su alcuni aspetti della cultura dell’epoca: gli angeli nell’Incoronazione della Vergine, per esempio, suonano la viella, strumento ad arco che allietava le feste medioevali e rinascimentali (e vale la pena citare qui due capaci ebanisti del paese, Antonio Catelli e suo figlio Giampiero, che si sono presi la briga di studiare gli affreschi proprio per riprodurre quegli strumenti con certosina pazienza).
Dietro la basilica un altro gioiello è il bellissimo chiostro duecentesco con archi a tutto sesto, voluto dai Cistercensi, al centro del quale si trova un pozzo del ‘500 a base ottagonale. Da qui si può accedere con una scalinata alla cisterna romana sottostante, che un tempo riforniva d’acqua le terme d’età imperiale, ma le origini della costruzione sono di molto precedenti poiché le mura risalgono all’età repubblicana e sono ancora ben visibili due condotti idrici del IV secolo a.C. Tra i bellissimi affreschi del ‘300 che ornano le colonne e le pareti della grande vasca rettangolare, lunga 24 metri e larga 26, risalta una Maiestas Domini con il Cristo, inserita in una mandorla e caratterizzata da vivaci cromatismi.
Proseguendo nella visita del centro storico si scopriranno molti altri tesori meritevoli di una tappa, ed è ancora l’architettura religiosa a riservare piacevoli sorprese: il baldacchino ligneo di Santa Reparata realizzato dal Riccione a somiglianza di quello berniniano della basilica di San Pietro, il quattrocentesco portale di Sant’Agostino con volti di santi e monaci scolpiti su archi e capitelli, le ricche decorazioni delle cappelle di San Francesco (che vanta anche una scenografica scalinata) e di San Giovanni Battista; del Millecento è San Nicola, la chiesa più antica della città, che conserva un altro affresco del De Litio raffigurante la Madonna con angeli. Da vedere anche l’area archeologica del Teatro Romano, il severo Palazzo Ducale e soprattutto il Teatro Comunale, inaugurato nel 1881, che all’esterno ricorda la Scala di Milano e all’interno, con tre ordini di palchi e il loggione, si ispira probabilmente al San Carlo di Napoli. Del remoto passato Atri conserva inoltre varie fontane come quella del Canale, in Via Colle Maralto, e quella della Pila, in Via Tinozzi, entrambe subito fuori Porta San Domenico.
Un’ultima curiosità, che ci riporta alle origini della storia locale non meno che alla natura del territorio, è costituita dalle Grotte, un sistema ipogeo ancora parzialmente inesplorato che si raggiunge uscendo dal centro lungo Viale del Risorgimento per poi imboccare Via Zanibelli, fino a una ripida e malmessa scalinata: il complesso, formato da gallerie e cavità ancora parzialmente inesplorate, era molto probabilmente un’immensa cisterna realizzata in epoca romana, come rivelano alcune pareti che ancora conservano tracce di intonaco e gli angoli arrotondati per evitare la formazione di depositi. Da qui, tornati sulla strada principale, si ritroveranno facilmente le direttrici che conducono alle vicine autostrade per il rientro.

PleinAir 424 – novembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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