L'anno che verrà

Come va interpretata l'ormai celebre e temutissima profezia maya secondo la quale il mondo finirà il 21 dicembre del 2012? Siamo andati a scoprirlo in Guatemala con questo eccezionale reportage nei luoghi e fra i discendenti dell'antico popolo precolombiano. Trovando più di una risposta e, soprattutto, un importante avvertimento: la salvezza sta in una nuova alleanza fra l'uomo e il pianeta.

Indice dell'itinerario

”Questo è il racconto di come tutto era sospeso, tutto calmo, in silenzio; tutto immobile, tranquillo, e la distesa del cielo era vuota”. Sono le prime parole scritte nel Popol Vuh, il Libro della Comunità, una raccolta di miti e leggende dei Maya che abitarono sugli altipiani del Guatemala: ed è questa la traccia più antica dalla quale iniziare il viaggio nelle tradizioni e nella storia di questo straordinario popolo.
La struttura dell’universo, gli inganni dei Signori degli Inferi, le vicende dei Gemelli Eroi che li sconfissero, la potenza di Hunab Ku, il dio creatore e centro di tutte le cose: tutto ciò è narrato nel documento più importante di questa grande civiltà amerinda. Per una cultura che conservava la propria memoria quasi esclusivamente con la trasmissione orale, disporre di una traccia scritta del mito della creazione, delle origini e della storia di un intero popolo è come ritrovare il Santo Graal per il mondo cristiano. La scoperta si deve a un religioso spagnolo, padre Francisco Ximenez, che nei primissimi anni del ‘700 rinvenne un manoscritto in caratteri latini (imposti agli indigeni dopo la Conquista) ma redatto in quiché, uno degli originari idiomi guatemaltechi. Per molto tempo si ritenne che questa fosse l’unica fonte scritta del Popol Vuh, tramandata per secoli di padre in figlio; recentemente, tuttavia, gli studiosi hanno cominciato a dare credito alle certezze dei discendenti degli antichi Maya, gli indigeni che costituiscono quasi la metà dell’intera popolazione del Guatemala. Essi sostengono che la versione originale del Popol Vuh, quella da cui fu trascritta la copia rinvenuta da padre Ximenez, sia ancora da scoprire. La cosa straordinaria è che, a differenza di tanti altri luoghi misteriosi, sanno benissimo dove si trova il “libro dei libri”: è nascosto all’interno delle mura della chiesa di Santo Tomás, a Chichicastenango, dove il religioso spagnolo scoprì il volume. Gli odierni Maya non solo sostengono di sapere dove si trova il vero Popol Vuh, ma anche quando verrà di nuovo alla luce. Ciò accadrà in un’occasione del tutto speciale della festa del patrono che a Chichicastenango si celebra, da tempo immemorabile, il 21 dicembre di ogni anno. E qui veniamo alla profezia che da tempo sta suscitando clamore anche nel mondo occidentale, dove ha assunto significati ben lontani da quelli originari e si è mescolata a tradizioni del tutto differenti, dando luogo per di più a una fioritura di inquietanti pubblicazioni e di film catastrofici. Il ciclo della cosiddetta Quarta Era del calendario maya, basato su un complesso sistema di numerazione dei giorni, si concluderà infatti il 21 dicembre 2012, giorno nel quale il vero Popol Vuh tornerà nuovamente alla luce e sarà restituito alla venerazione del popolo maya.
Ma cosa nasconde in realtà questa data? Ce lo spiega Paula Lopez, un’ajq’ijab maya, letteralmente “anziano saggio” anche se si tratta di una qualifica che si ottiene principalmente per via ereditaria: ogni ajq’ijab trasmette infatti al primogenito, maschio o femmina, le proprie conoscenze e capacità medianiche. La sacerdotessa vive poco distante dal sito archeologico di Iximché, una città maya nei pressi del Lago de Atitlán, fondata intorno al 1470 e abbandonata nel 1524, i cui resti conservano un’atmosfera molto particolare anche se sono meno spettacolari di quelli rinvenuti in altri luoghi. Paula affronta la questione delle profezie sul 2012 con un approccio molto pratico: «Il nostro popolo aveva una conoscenza straordinaria dell’astronomia, al punto che ancora oggi gli scienziati non riescono a spiegare l’esattezza dei calcoli sui movimenti astrali, sulle eclissi e sulla precessione degli equinozi elaborate oltre 2.000 anni fa. Per noi esistono tre diversi modi di computare lo scorrere del tempo: il primo è il Cholq’ij, il calendario spirituale costituito da 13 mesi di 20 giorni ciascuno per un totale di 260. Su di esso si basavano le predizioni astronomiche e i riti sacri. Il secondo è l’Ab’, il calendario materiale, formato da 18 periodi di 20 giorni più 5 giorni, ritenuti infausti, per un totale di 365 giorni. Era utilizzato nell’agricoltura per decidere le semine e i raccolti, per le festività, ma anche per stabilire i cambi di governo. Questi due calendari venivano rappresentati come due ruote dentate di diverso diametro, incastrate fra loro, a simboleggiare l’interdipendenza dei fenomeni che determinavano. C’è poi un terzo computo, il Choltum o Cuenta Larga, cioè un periodo derivato dal calcolo astronomico che tiene conto della precessione degli equinozi e degli allineamenti astrali con il centro della galassia. Questo ciclo dura 5.125 anni e ha un andamento periodico, cioè ogni era si ripete con questo intervallo di tempo. Ora siamo nella Quarta Era, iniziata in quello che, rapportato al vostro calendario gregoriano, era l’anno 3133 avanti Cristo. Questa data, che risulta essere l’inizio della civiltà maya, è riportata in una stele. Se alla durata di un Choltum si sottrae 3.133, si ottiene 2012. Tutto qua. Il 21 dicembre 2012 è insomma la fine di un’era, la quarta». E le profezie? Le catastrofi annunciate? La fine del mondo? Le risposte bisogna forse cercarle altrove.

Un mondo che rinasce
Il Lago de Atitlán, nella parte sud-occidentale del Guatemala, è uno spettacolare bacino dominato dalla possente mole di tre vulcani, San Pedro, Tolimán e Atitlán. Tutt’intorno sorgono alcuni villaggi sparsi abitati dai discendenti dei Maya, che hanno mantenuto intatte le tradizioni e la cultura dei loro antenati. Qui si lavano i panni nelle acque del lago, ci si scalda al fuoco dei bracieri o di rudimentali stufe, le donne vanno con le ceste sulla testa a far macinare qualche chilo di mais, i bambini più piccoli vengono portati dalle madri sulla schiena avvolti in scialli multicolori. E qui si celebrano ancora gli antichi riti, pur se modificati nel corso del tempo dall’introduzione di pratiche religiose provenienti dall’Occidente.
A Santiago Atitlán, un villaggio posto all’interno di un piccolo fiordo lungo la sponda meridionale, si celebra il culto di Maximon. La storia di questa divinità è un chiaro esempio di commistione tra religiosità amerinda e influenza cristiana. Si narra che, ben prima dell’arrivo degli Spagnoli, un uomo altissimo e dai capelli biondi (che qualche studioso moderno tende a considerare di origine vichinga) abbia visitato la zona. Il misterioso e prestante straniero fu subito venerato come un dio con il nome di Maximon e, poiché era un buon bevitore e un grande fumatore, tutti si adoperavano per non fargli mai mancare adeguate quantità di rhum e di sigari. Godeva, insomma, di tutti i privilegi delle divinità, ma ne approfittò un po’ troppo: mentre gli uomini del villaggio erano nei campi a lavorare, il dio giacque con le loro mogli. Scoperto il tradimento, Maximon venne giustiziato con il taglio di braccia e gambe tanto che alcune delle statue che lo raffigurano sono senza arti. Si dice poi che egli sia tornato nell’Atitlán compiendo vari prodigi e proteggendo la popolazione. Più tardi, quando gli Spagnoli nella loro opera di conversione forzata introdussero la figura di Giuda, l’apostolo traditore venne subito identificato dai Maya con colui che aveva abusato della loro fiducia e che più tardi li aveva protetti: ma ormai le statue lignee del santo erano venerate da tempo e le cerimonie propiziatorie si adeguarono alla nuova realtà imposta dagli invasori. I riti iniziavano e iniziano tuttora con le preghiere cattoliche, per poi riprendere la liturgia locale che non manca di offrire alla statua di Maximon un sorso di rhum e un buon sigaro per ogni funzione celebrata. La devozione verso questa figura è così radicata che ogni anno viene scelta, a suffragio universale tra tutti gli abitanti del villaggio, una famiglia nella cui casa viene accolta la statua e si tengono i cerimoniali. Ed è proprio davanti all’effigie in legno di Maximon che Josè Almeida, un ajq’ijab molto rispettato, ci offre una spiegazione delle profezie dei suoi avi. «Non si tratta solamente di invenzioni dei media occidentali – puntualizza – o quanto meno non del tutto. La Cuenta Larga è suddivisa in cicli che si ripetono a intervalli definiti di 260 anni, e per ognuno di essi i nostri antenati hanno formulato delle predizioni che noi riteniamo si siano avverate». Nei Chilam Balam, una raccolta di scritti redatti sulla base delle conoscenze tramandate oralmente dagli ajq’ijab, sono stati previsti eventi come l’invasione spagnola, la scomparsa sotto il mare di intere regioni della terra, addirittura la nascita di tecnologie in grado di rendere inutile l’intelletto umano (una sensazione che molti sperimentano ancora oggi di fronte a un computer). Una di queste profezie parla appunto del declino e della fine di una civiltà che avverrà contemporaneamente al ritorno sulla Terra del dio creatore dell’universo, ed ecco tornare alla ribalta il 21 dicembre 2012 in quanto termine di uno dei cicli della Cuenta Larga.
Tutto questo non dimostra comunque che in quella data avverrà qualcosa di catastrofico e irreparabile, e del resto nessun sacerdote maya parla di fine del mondo: la chiusura di un’era, infatti, non deve necessariamente avere conseguenze apocalittiche. A riassumere la questione con chiarezza è un altro sacerdote, Luis Ajichet, che incontriamo a Chichicastenango dove ha appena concluso un rito per restituire la salute a una ragazza ammalata. Sul rapporto tra la fine della Cuenta Larga e le interpretazioni catastrofiche fiorite in Occidente, Luis ha le idee molto chiare: «La fine di un’era è esattamente come la fine di una gestazione travagliata. Una donna incinta soffre di giramenti di capo, vomito, dolori articolari o altri disturbi, così come degli imprevedibili calci del bimbo. Poi inizia il travaglio, con la rottura delle acque e le doglie, e sono soltanto i parenti a lei vicini che possono aiutarla prima e durante il parto, affinché la nascita si concluda felicemente. Ecco, il mondo si trova in questa fase; è sotto gli occhi di tutti la sofferenza che lo sta sfinendo. Catastrofi naturali, conflitti di ogni genere, mutamenti climatici sono l’equivalente dei tormenti di una gestante e noi uomini siamo i congiunti che hanno il dovere di alleviare le sofferenze e condurre il mondo verso la nuova nascita, cioè la Quinta Era». Non possiamo allora fare a meno di domandarci se è quello che stiamo facendo o, piuttosto, se siamo proprio noi a spingere ancor più verso l’abisso il nostro pianeta. Luis Ajichet, come tutti gli ajq’ijab guatemaltechi, non offre certezze in merito al 2012, ma esprime la forte preoccupazione che le profezie degli antichi sacerdoti possano essere interpretate, alla luce degli attuali problemi dell’umanità, in modo tutt’altro che rassicurante.
Se queste sono le opinioni dei Maya, pur senza metterne in dubbio l’autorevolezza siamo curiosi di capire cosa pensano in proposito gli studiosi occidentali, in particolare coloro che hanno legami profondi con la cultura e la storia dei popoli indigeni. Ad Antigua Guatemala, nella zona centrale degli altipiani, risiede Mary Lou Ridinger, un’archeologa statunitense le cui vicende personali e professionali sono strettamente intrecciate con le antiche tradizioni guatemalteche. Questa interessante cittadina si trova ai piedi di tre imponenti vulcani: il Volcán de Agua, così chiamato perché un tempo il cratere era colmo d’acqua poi tracimata a seguito di un sisma, l’Acatenango, ormai ritenuto inattivo, e il Volcán de Fuego, che invece è ancora in attività con regolari emissioni di fumo e qualche rarissima eruzione di maggiore intensità. Antigua fu la prima capitale del paese e di gran parte dell’America Centrale dal 1543 al 1776, quando il re di Spagna ne decise il trasferimento nell’odierna Città del Guatemala, dopo l’ennesima distruzione causata dai terremoti che ancora oggi tormentano l’area: se si eccettuano alcune delle architetture barocche per le quali va famosa (e che le hanno valso l’ingresso nella lista Unesco dei patrimoni dell’umanità), tutti gli edifici sono a uno o a due piani, con stupendi giardini interni. In una stretta via di Antigua si trova il laboratorio Jades SA nel quale viene lavorata la giada rinvenuta nelle sette miniere presenti in Guatemala, tutte di proprietà della stessa Mary Lou Ridinger. Profonda conoscitrice della cultura maya, agli inizi degli anni ’70 si stabilì in Guatemala per cercare di scoprire da dove provenisse la giada che gli antichi Maya lavoravano per i loro re e di cui si era persa ogni memoria: in quell’epoca remota la preziosa pietra verde era considerata il passaporto per entrare nell’aldilà e aveva un valore superiore a quello dell’oro. Dopo anni di studi e ricerche Mary Lou scoprì la prima miniera, seguita via via dalle altre; la giada che veniva utilizzata dalle popolazioni precolombiane dell’America Centrale proveniva da quelli che oggi sono i giacimenti della Ridinger. Le conoscenze dell’archeologa sui Maya sono di notevole importanza per chiunque si interessi alla storia e alla cultura di questo popolo: «Per i Maya la giada era il simbolo dell’immortalità, per via della durezza e indistruttibilità di questa pietra. Essere sepolti con una maschera di inestimabile giada imperiale significava avere sicuro accesso al mondo degli spiriti senza tempo. Scienza e religiosità erano strettamente connesse, e bisogna tenere presente che ancora oggi è inspiegabile come i Maya potessero avere delle conoscenze di cosmologia tanto avanzate. Scienziati e matematici erano le persone più importanti, seconde soltanto ai re. I Maya, inoltre, furono i primi ad elaborare un calendario basato sulla precessione degli equinozi, fenomeno forse noto anche ad altre civiltà antiche ma entrato nel sapere occidentale moderno solo con Copernico. Fatto sta che la scansione del tempo nella cultura centroamericana introduceva il concetto di ciclicità, ed è questo un interessante elemento distintivo. La creazione non è un momento finito, ma un processo continuo che si ripete ciclicamente. Per i Maya l’armonia e l’equilibrio erano elementi fondamentali nell’esistenza del cosmo, e spezzarne la delicata simmetria avrebbe portato alla distruzione. Il fatto è che proprio l’instabilità sociale, lo scompenso ambientale e lo squilibrio nell’utilizzo delle risorse sembrano essere oggi le uniche scelte dell’umanità, e di questo dovremmo allarmarci, non di fantasiose interpretazioni». Parole che esprimono di certo preoccupazione, ma non sono catastrofiche.
Da altri scienziati, però, vengono affermazioni che fanno nascere nuovi dubbi. Hunab Ku, il dio creatore dei Maya, era l’energia pura che risiede al centro della galassia: nel 2005 un astronomo americano ha scoperto che proprio da quel punto provengono emissioni radio generate da una potente fonte di energia, e tre anni più tardi altri colleghi tedeschi hanno confermato che al centro della galassia esiste un gigantesco buco nero. Ora, gli antichi sacerdoti erano convinti che quando il Sole, la Terra e Venere si fossero allineati con quel centro il dio si sarebbe nuovamente manifestato, e guarda caso ciò si verificherà proprio il 21 dicembre 2012. Coincidenze?
Il quadro si complica ulteriormente se si cerca di svelare i segreti di Tikal, il più esteso sito archeologico di tutta l’America Centrale. Buona parte di questo insediamento, che si trova nella regione del Petén, è ancora celata in mezzo alla giungla fra serpenti boa, giaguari, scimmie e coccodrilli. Le sue origini sono decisamente antiche, e già nel 400 a.C. era al massimo splendore. Imponenti piramidi svettano fra gli alberi, alcuni edifici sono solo parzialmente scoperti, altri del tutto invisibili: un luogo magico e suggestivo che, secondo alcune teorie, vede gli edifici disposti in modo tale da farne un osservatorio astronomico in grado di misurare i movimenti degli astri e, conoscendone i segreti, di predire anche gli eventi del più lontano futuro.
Non crede a questa interpretazione un autorevole ajq’ijab di Chichicastenango, responsabile del centro di studi e conservazione della cultura maya. La città, da sempre centro degli scambi commerciali degli indigeni, vede la sua massima attività la domenica, quando diventa un unico, gigantesco mercato che da qualche anno richiama anche i turisti, gringos affascinati dall’atmosfera caotica e dai molti prodotti artigianali presenti. Tutto il resto, però, resta appannaggio dei locali e la piazza antistante la scalinata della chiesa di Santo Tomás è il fulcro delle attività. E’ davanti alla parrocchiale e al suo interno che la suggestione tocca il suo culmine; avvolti dai fumi dell’incenso che esala da innumerevoli bracieri, attratti dai riti di congiunzione con i propri morti e gli spiriti superiori, indigeni e stranieri si confondono in una comunione spirituale che ha il sapore del miracolo. Nel silenzio di un angolo della chiesa, l’ajq’ijab di Chichicastenango smentisce i segreti di Tikal: «Senza dubbio è il più bel sito della nostra storia scoperto fino ad oggi, ma non cela particolari misteri. La posizione di alcuni edifici è, in effetti, legata alla cosmologia, ma questo accadeva in tutte le città maya del Centro America, e qui non è diverso». Anche in merito alle coincidenze fra le recenti scoperte scientifiche e le predizioni maya ha le idee chiare: «Non c’è da stupirsene troppo. Le conoscenze dei nostri antenati erano così avanzate che è normale siano arrivati a tali conclusioni. Piuttosto bisognerebbe chiedersi come facessero ad essere così informati, ma questo è altro terreno di ricerca. Le profezie hanno previsto eventi storici che si sono puntualmente verificati e fenomeni astrali regolarmente accaduti; una di queste metteva in guardia dai rischi di un ribollire dell’atmosfera, cioè da quello che oggi chiamiamo riscaldamento globale. Anche in questo caso non si erano sbagliati, così come non errarono quando predissero che al termine della Cuenta Larga il pianeta sarebbe stato scosso da terremoti e inondazioni. E’ un dato scientifico accertato che queste tragedie hanno avuto in questo ultimo secolo una drammatica accelerazione. La conclusione è una sola: se l’uomo non cambia il proprio modo di confrontarsi con la natura, il mondo non potrà sopravvivere. Tutti coloro che ritengono senza fondamento le nostre profezie dovrebbero riflettere su un punto: negli ultimi anni, pur fra tensioni e parziali insuccessi, i potenti del mondo si sono ritrovati sempre più spesso a tentare di arginare il riscaldamento globale, e basti pensare a Kyoto, Copenhagen e Cancun, solo per citare i più importanti».
L’ajq’ijab di Chichicastenango si guarda intorno abbracciando con gli occhi la chiesa gremita di persone che stanno pregando, respira il profumo dell’incenso e chiude gli occhi. Poi, quasi soltanto a sé stesso, sussurra: «Il 21 dicembre 2012 qui, fra queste mura, forse troveremo altre risposte. Quando il Popol Vuh uscirà dalle sacre pietre che lo custodiscono, sapremo se c’è ancora speranza per questa umanità improvvida che ha smarrito la lezione degli antichi saggi di tutte le culture e di tutte le religioni». l

Testo di Pier Vincenzo Zoli Foto di Mauro Camorani

PleinAir 462 – gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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