L'altra terra

Poco noto e pochissimo frequentato, l'interno del Basso Molise regala al pleinair tutte le soddisfazioni del vero turismo di scoperta: un importante patrimonio culturale e sociale che cerca nuove opportunità per farsi conoscere, un ventaglio di tradizioni popolari che mettono in scena e in tavola i colori e i sapori del mondo agricolo e pastorale, un'accoglienza di stampo antico che vede il viaggiatore protagonista insieme alla gente.

Indice dell'itinerario

Quando si parla di turismo in Molise si intende prevalentemente la parte nord-occidentale della regione, dalla natura rigogliosa e dalle località ben organizzate, oppure la fascia costiera con la stazione balneare di Termoli, i vicini centri litoranei e l’entroterra di etnia albanese, dalle radicate usanze popolari. La fascia interna meridionale compresa tra il corso del Biferno e del Fortore, al contrario, rimane da sempre fuori dagli itinerari più classici, addirittura quasi sconosciuta fino a quando non è tragicamente assurta agli onori della cronaca in occasione del terremoto del 2002: eppure, malgrado l’assenza di grandi centri urbani e le limitate emergenze storico-artistiche, ogni suo angolo nasconde sorprese e motivi di interesse. Il viaggiatore dotato di spirito di scoperta e di osservazione, capace di calarsi in atmosfere spesso fuori dal tempo, vi troverà spunti inattesi e uno stimolante confronto con gente di temperamento concreto e generoso, che non si rassegna all’immobilità culturale e cerca di individuare nuove opportunità per lo sviluppo di un’economia turistica mirata anche a una migliore qualità della vita sociale.
La primavera è senz’altro il periodo migliore per cogliere appieno le potenzialità del territorio, vuoi per il paesaggio che si mostra in tutte le sfumature del verde, vuoi per gli appuntamenti del folklore che animano anche i paesi più sonnolenti: ed è proprio da una di queste feste che, non casualmente, prende le mosse il nostro itinerario.

Fiori per il santo
Velocemente raggiungibile dalla costa adriatica, Larino è una delle località più interessanti dell’intera regione, che al patrono San Pardo dedica l’appuntamento più significativo del suo calendario. La ricorrenza si celebra ogni anno dal 25 al 27 maggio (nello stesso periodo in cui vanno in scena le Carresi di alcuni centri limitrofi) ed è un tipico esempio di quelle tradizioni agricole ormai del tutto scomparse altrove: il momento principale consiste infatti nella sfilata di decine di carri multicolori trainati da mucche scelte fra gli esemplari più belli e robusti delle masserie locali e di quelle della vicina Puglia.
Storia e leggenda si mescolano nelle origini della festa, che risalirebbero all’anno 842 quando Larino venne presa di mira da una scorreria saracena, costringendo gli abitanti a disperdersi nelle campagne. Nella città abbandonata giunsero allora dal Gargano i lesinati, che trafugarono le reliquie dei santi martiri Primiano, Firmiano e Casto. Tornati alle loro case e scoperto il furto, i larinesi partirono alla volta di Lesina per recuperare i sacri resti, ma giunti in prossimità della meta si imbatterono in un sepolcro che si rivelò essere quello di San Pardo, già predicatore nella stessa Larino due secoli prima. Il ritrovamento delle spoglie, riconoscibili grazie alla mancanza del pollice, venne considerato un segno della volontà divina di traslare il santo a Larino, e così il corpo fu portato in città adagiato su un carro trainato da buoi e adornato con fiori di campo e rami d’olivo.
Milleduecento anni dopo, sembra quasi di poter dire che nulla è cambiato. Fin dalla mattina del 25 maggio, sul sagrato della splendida cattedrale e lungo le strade adiacenti, ogni famiglia dei carrieri che parteciperanno al corteo è impegnata negli ultimi ritocchi del proprio veicolo: qualcuno sistema le decorazioni, altri controllano la perfetta integrità delle parti verniciate, altri ancora iniziano ad aggiogare i placidi bovini che di tanto in tanto fanno risuonare i campanacci. I carri, ci spiegano, vengono conservati in cantina e tirati fuori qualche settimana prima della festa per la preparazione: sulla struttura di ferro e legno rivestita con stoffe ricamate si fissano centinaia di fiori, vere e proprie opere d’arte realizzate con carta crespa dalle abili mani delle donne del paese nei mesi precedenti, e numerose piccole luci che verranno accese all’imbrunire quando la parata, dopo il giro nei quartieri nuovi, tornerà nella parte antica di Larino. Qualche carro è listato a lutto, segno di una grave perdita subita dalla famiglia proprietaria, qualche altro di più imponenti proporzioni è composto da colonnette e pannelli sagomati che ricordano un’architettura gotica, e non mancano simpatici carretti di piccole dimensioni destinati ad essere trainati a mano dai bambini. Nel pomeriggio il corteo si avvia verso la cappella del camposanto per prelevare la statua di San Primiano e al calar del buio, dopo i tre rituali colpi di fuochi d’artificio, riprende la sua lenta e scenografica marcia per rientrare alla cattedrale: è questo il momento più emozionante della festa, scandito dalle note degli inni che accompagnano la sfilata. Il giorno seguente è la volta della processione di San Pardo nella quale i carri percorrono il solo centro storico, mentre il 27 maggio si tiene quella di San Primiano, che sarà riportato nella sua cappella dopo un allegro picnic collettivo nei campi circostanti.
Comoda base per visitare le ricchezze monumentali di Larino, l’antica Frentum di quei Frentani che furono nemici e poi alleati dell’Urbe, è l’area attrezzata nei pressi dell’anfiteatro romano costruito tra il I e il II secolo. Nella medioevale chiesa di San Francesco si ammirano la cupola affrescata nel ‘700 da Paolo Gamba e alcuni significativi dipinti di scuola napoletana, mentre Santo Stefano conserva pregevoli tele attribuite ad Antonio Solario, tra cui una Pietà di forte influsso caravaggesco. Ma al centro dell’attenzione resta senz’altro la cattedrale dell’Assunta e di San Pardo, il cui magnifico rosone a tredici raggi sormontato dai simboli dei quattro Evangelisti e dall’Agnello Mistico ricorda molto le vicine chiese pugliesi: consacrata nel 1319, mostra sulla facciata anche tre sculture raffiguranti il Cristo crocifisso incoronato da un angelo, la Vergine e San Giovanni, mentre nell’interno a tre navate restano alcuni affreschi, vari altri dipinti e opere scultoree. Di stile composito la torre campanaria, alta 33 metri, costruita a più riprese a partire dalla metà del ‘400.

Arte e farfalle
Tredici chilometri di curve e tornanti sulla statale 87 Sannitica ci conducono ora a Casacalenda, sorta sulle rovine della romana Kalene: siti archeologici come i vicini ruderi di Gerione, dov’era accampato Annibale nel 217 a.C., testimoniano l’importanza economica e militare di questo centro ai tempi delle guerre puniche.
Dopo aver parcheggiato nell’area attrezzata comunale presso la stazione, lungo la linea ferroviaria per Campobasso, Larino e Termoli, poche centinaia di metri di passeggiata conducono al Palazzo Ducale e alla Terravecchia, silenzioso borghetto d’epoca medioevale cui si entra per la salitella di Porta Capo, oltre la quale una lunga scalinata conduce alla chiesa di Santa Maria Maggiore; all’estremità opposta dell’antico abitato si trovava Porta Piedi, andata interamente distrutta. A poche decine di metri dalla Terravecchia, sullo slargo triangolare di Piazza Nardacchione, sorge invece la chiesa dell’Addolorata, il cui semplicissimo esterno non lascia intuire le opulente decorazioni barocche dell’interno (visitabile poco prima della funzione religiosa che viene usualmente celebrata alle 17.30). Sulla piazza, decorata da aiuole, si trova il monumento ai Caduti, che però non noterete a prima vista: questa singolare opera dello scultore casacalendese Franco Libertucci consiste infatti in una lastra di cemento nella quale è scavata la sagoma di un soldato già morto. Inaugurata nel 1983, è la prima delle installazioni di Kalenarte, museo a cielo aperto alla cui realizzazione hanno partecipato una quindicina di artisti dislocando i propri lavori in diversi punti dell’abitato. Il progetto si completa con la Galleria Civica d’Arte Contemporanea ospitata nel Municipio insieme al Museo del Bufù, che illustra la tradizione di questo strumento musicale – tuttora in uso nelle feste di fine anno – simile alla caccavella campana e alla cupacupa pugliese.
A circa un chilometro e mezzo dal paese sulla vecchia strada per Campobasso, guardando a sinistra su un tornante dopo un passaggio a livello, si individua la stretta stradina per il convento medioevale di Sant’Onofrio, purtroppo non visitabile perché in ristrutturazione a seguito dei danni riportati nel sisma del 2002. Proseguendo in direzione Bonefro si giunge invece al bivio per Provvidenti, minuscolo centro che oggi conta appena 130 abitanti. Il nome deriva probabilmente dal suo passato di centro strategico utilizzato come granaio per le truppe già in età romana: a quanto pare una tradizione che resiste ancora oggi, visto il buon profumo di pane fresco e dolci che aleggia nei vicoli semideserti.
Risaliti alla statale, proseguiamo fino ad incrociare i cartelli dell’Oasi Lipu Bosco Casale, la prima area naturalistica del Molise: estesa su 145 ettari e circondata da coltivi, presenta un ambiente diversificato e una vegetazione ricca e varia in cui trovano rifugio centinaia di specie faunistiche, tra cui molti uccelli e anfibi. Ma sono le farfalle (particolarmente numerose nel mese di giugno) la vera peculiarità dell’oasi, con ben 82 specie diurne fra le quali si evidenzia la rara bianconera italiana, endemica del nostro centro-sud. Completano i servizi dell’area un’ecoludoteca, uno stagno didattico con capanno d’osservazione e un sentiero dedicato ai visitatori più giovani.

Santi e pastori
Superato l’incrocio per Bonefro, Colletorto e il tristemente famoso San Giuliano di Puglia, la strada interseca in prossimità della stazione di Ripabottoni-Sant’Elia il tratturo Celano-Foggia. Si tratta di uno dei più battuti percorsi della transumanza fra l’Abruzzo e la Puglia, un ‘erbal fiume silente’ di dannunziana memoria che oggi, quasi del tutto scomparso il transito stagionale di greggi e mandrie, offre lo spunto ad interessanti itinerari naturalistici ed escursionistici. Pochi ripidi tornanti salgono a Ripabottoni: il paese natale del pittore Paolo Gamba ci accoglie con una piacevolissima situazione di sosta, dalla quale una breve passeggiata consente di scoprire i capolavori dell’artista custoditi nella chiesa parrocchiale dell’Assunta (ancora in fase di restauro) e in altri edifici di culto, come la piccola chiesa di Santa Maria della Concezione.
Attraverso un bel paesaggio agricolo e pastorale si prosegue verso il caratteristico profilo piramidale di Morrone del Sannio, uno dei comuni più alti della provincia con i suoi 840 metri di quota. Il paese conserva ancora parte delle antiche mura di cinta, con un bel torrione rotondo, ma il suo gioiello più prezioso è nascosto un paio di chilometri più a valle. Il complesso monumentale e archeologico composto dalla romanica abbazia di Santa Maria di Casalpiano, affiancata dagli imponenti ruderi di un grande edificio ecclesiastico di datazione incerta, si raggiunge con una strada stretta e tortuosa, ma comunque ben praticabile. La zona, isolata e assolata (ma non manca una provvidenziale fontanella), presenta notevoli motivi di interesse sia nella struttura della stessa abbazia, sia per gli adiacenti scavi che testimoniano importanti insediamenti romani già a partire dal II secolo a.C.
Queste sono strade che il grande turismo ignora, lontane dal caos e soprattutto dal traffico, quindi tornare al quadrivio della stazione di Ripabottoni-Sant’Elia non è certo un problema. Ancora un breve tratto sulla 87 e si arriva al bivio per Sant’Elia a Pianisi: imboccata la deviazione, poco più avanti una nuova provinciale sulla sinistra raggiunge il paese, tenendosi però a distanza dalla chiesetta romanica di San Pietro. Una valida situazione di sosta si può cercare subito all’esterno del centro abitato, dove la cinquecentesca parrocchiale di Sant’Elia (che ancora mostra evidenti le ferite del terremoto) conserva al suo interno la splendida Allegoria dei Sette Sacramenti, un paliotto del XVIII secolo ricamato in seta e raffigurante la Natività, oltre a preziose statuette del presepe attribuibili alla scuola del Bernini. Adiacente al Municipio, la chiesa di San Rocco mostra invece un eterogeneo portale con pregevoli bassorilievi incassati nel timpano: un lastrone del XIII secolo e una pietra con inciso un piatto con due pesci, in ricordo dei primi cristiani che nelle catacombe si firmavano con questo simbolo. Importanti lavori di recupero hanno restituito l’originaria fisionomia al convento dei Padri Cappuccini dove, tra i diversi gioielli artistici del ‘700 (un altare in legno e altre tele del Gamba), è custodita l’umile cella di Padre Pio. Il santo di Pietrelcina vi trascorse i primi anni della sua esperienza spirituale e oggi il convento fa parte, grazie anche al servizio di foresteria, di un ideale itinerario della fede per i pellegrini diretti a San Giovanni Rotondo. Da qualche anno è attiva la Cooperativa Padre Raffaele che ha appunto l’obiettivo di creare una rete di accoglienza, fornendo non solo ospitalità ma anche il servizio di visite guidate al convento e informazioni di carattere generale sul paese e sulle possibilità di alloggio (la parrocchia dispone di alcuni appartamenti nel centro storico).

Guardando il Tavoliere
L’itinerario sulle tracce di Padre Pio presenta anche un’importante evidenza ambientale con il non lontano Lago di Occhito, formato dallo sbarramento del fiume Fortore che qui divide la provincia di Campobasso da quella di Foggia. La valorizzazione turistica dell’invaso è ancora in fase organizzativa, ma i comuni limitrofi si stanno adoperando per la realizzazione di aree attrezzate e di un’oasi naturalistica; tra questi, il vicino centro di Macchia Valfortore che si raggiunge con una tortuosa provinciale fra oliveti e vigneti. Il paese dispone di un parcheggio sovrastante il lago e mostra segni evidenti del periodo aragonese, come il Palazzo Cinelli e la chiesa di San Nicola, mentre a chi volesse raggiungere il bacino consigliamo di scendere al ristorante Miralago, che mette a disposizione dei veicoli ricreazionali una vasta area di sosta con piscina.
In posizione suggestiva all’estremità meridionale del lago, su un costone di tufo, l’abitato di Gambatesa è dominato dalla geometrica mole del castello. Si raggiunge dalla 645, una statale a scorrimento veloce che segue il corso del torrente Tappino ricalcando l’antica sede del tratturo Lucera-Castel di Sangro, per poi risalire alcuni tornanti tra olivi e querce. Prima di arrivare, sosta obbligata è il defilato santuario di Santa Maria della Vittoria, che tradizione vuole sia stato edificato per desiderio del Barbarossa: notevoli le forme esterne, che mostrano evidenti i segni del passaggio dal romanico al gotico. Da non mancare in paese la visita al quattrocentesco castello dei Di Capua, che offre vedute spettacolari sulla vallata e ricchi interni con affreschi caratterizzati da figure allegoriche e grottesche.
Spicca per la sua imponente struttura anche la rocca longobarda della vicina Tufara, in bella posizione naturale poco più a sud verso il confine con la provincia di Benevento. Attualmente è oggetto di lavori di consolidamento e restauro che interessano buona parte del centro storico, in cui vale una visita la chiesa dei Santi Pietro e Paolo in stile romanico-gotico. Il territorio circostante si presenta verde e fertile, e non a caso il vicino Bosco Pianella risulta uno dei più frequentati della zona per le numerose specie arboree e per l’area attrezzata punto di riferimento per percorsi di trekking e cicloturismo. Da Tufara si ridiscende velocemente all’estremità meridionale del Lago di Occhito, in località Ponte Tredici Archi, da dove il panorama spazia sull’intero bacino le cui acque, secondo alcuni studiosi, nasconderebbero i luoghi della terribile battaglia di Canne, lo scontro più famoso della seconda guerra punica.

Verso il Biferno
Ripresa la strada a scorrimento veloce in direzione di Campobasso, in breve si incontra il bivio per il popoloso centro di Riccia, disposto ad anfiteatro su due colli. Da lontano spiccano il cilindrico torrione medioevale e i resti della rocca angioina, a picco su un dirupo, ma risultano più interessanti le varie chiese del centro storico, con pregiati elementi in pietra di stile romanico: in primo luogo la parrocchiale dell’Assunta, con la preziosa pittura quattrocentesca su tavola della Madonna tra gli Apostoli, e la chiesetta della Vergine delle Grazie che custodisce le tombe dei Di Capua e di Costanza di Chiaromonte, sposa di un feudatario locale.
Una serie di tornanti conduce a Jelsi, vivace paese disteso lungo una larga strada in pendenza dove sfilano le tipiche traglie in occasione della festa di Sant’Anna, il 26 luglio. Anche qui è facile trovare una buona occasione di sosta, per poi raggiungere a piedi il restaurando nucleo storico in cui fare acquisti di prodotti enogastronomici. Il passo è breve per tornare alla 645, arrivando a sfiorare Campobasso e dirigendosi poi verso Matrice. Su un’altura tagliata da un altro importante tratturo, in un’affascinante cornice di querce e pini, si trova la splendida abbazia di Santa Maria della Strada, uno dei monumenti più significativi della regione. Le sue forme romaniche, datate verso la metà del XII secolo, si sono conservate pressoché intatte: notevoli le decorazioni dei portali e l’interno a tre navate, con colonne dai preziosi capitelli. Il luogo, insolitamente ventilato e ombreggiato, si presta ottimamente anche per una sosta prolungata, e non manca la possibilità di assaggiare specialità gastronomiche locali.
Chi ha ancora tempo a disposizione può fare una puntata al vicino paese di Ripalimosani con l’imponente castello, la scenografica scalinata di Santa Lucia e la chiesa dell’Assunta, dove è custodita una copia della Sacra Sindone. Ma la successiva e imperdibile tappa è il paese di Petrella Tifernina, arroccato sulla valle del Biferno, che nella parte sommitale del centro storico cela la candida mole della chiesa di San Giorgio, vecchia di novecento anni. Il campanile a tre ordini di stili e le ricche decorazioni del portale, dei finestroni e degli archetti pensili sono solo la premessa della rigorosa architettura interna, tre navate con absidi e colonne sormontate da capitelli variamente ornati. Il tutto in un contesto ambientale e sociale d’altri tempi che invita alla riflessione e al raccoglimento, nel silenzio rotto solo dalla tremula voce di un anziano orgoglioso di raccontarci la sua semplice esistenza. Un contrasto forte tra presente e passato, che ritroviamo nei paesaggi della valle lungo la veloce statale 647 Bifernina accingendoci a chiudere il nostro anello in direzione di Termoli. Dal lunghissimo e spettacolare viadotto che sovrasta il Lago del Liscione si coglie in un solo sguardo il nucleo antico di Guardialfiera, che sembra quasi un presepe (e non per caso, tra dicembre e gennaio, è lo scenario di una sempre più popolare rappresentazione vivente della Natività). Qui, dove il corso del Biferno è stato sbarrato per creare il bacino artificiale, si guarda al futuro cercando un necessario compromesso fra impatto ambientale e sviluppo economico, che potrebbe trarre nuovo impulso dalla promozione turistica: parole che, in questo Molise dalle tante piccole bellezze nascoste, non sono altro che la conferma di un antico e genuino rapporto fra un popolo e la sua terra.

Testo di Daniele Giorgini e Ida Santilli
foto di Daniele Giorgini

PleinAir 453 – aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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