L'altra faccia dei Caraibi

Monumenti dichiarati patrimonio dell'umanità e miseria quotidiana, castrismo e santería, turismo di consumo ed escursioni nella natura: Cuba è davvero quel che si dice un paese dai mille contrasti, che solo i modi e i mezzi del pleinair permettono di scoprire in tutta la sua complessità.

Indice dell'itinerario

Raccontare Cuba non è mai facile, ma le sue contraddizioni sono invitanti. Anche cinquant’anni dopo la rivoluzione che ha portato Fidel Castro al potere, un viaggio sull’isola caraibica non può prescindere da un ragionamento politico: chi vi si reca sa che troverà uno dei pochi paesi ancora governati secondo gli standard del cosiddetto socialismo reale.
La República de Cuba si trova a un tiro di schioppo dalla costa statunitense e, come noto, è soggetta a un rigido embargo commerciale, economico e finanziario che fu imposto nel 1962 da John Kennedy. Così, quando ci si trova faccia a faccia con la povertà dei cubani, le conclusioni possibili sembrano essere solo due: Castro ha condannato questo popolo alla miseria, o gli americani hanno condannato questo popolo alla miseria. Ma i cubani che ne pensano? Dipende con chi si parla. A seconda del caso (e dell’argomento trattato: di molte cose i cubani sono orgogliosi) sostengono l’una o l’altra versione. La politica ha uno spessore comunque opprimente e i cartelli di propaganda, spesso inneggianti alla rivoluzione e alla vittoria del 1959, sono presenti ovunque, quanto da noi la pubblicità. Tanto per confondere le idee, ragazzi nati trent’anni dopo la rivoluzione ti spiegano che le cose sono molto migliorate da allora. «Ai tempi di Batista c’erano solo due università, adesso diciotto, un bel cambiamento».
Piccoli fatti quotidiani complicano ulteriormente le cose. Nel centro dell’Avana un ragazzo senza una gamba viene a chiedere l’elemosina, e gli domandiamo come mai il governo non pensi a lui. Uno sguardo incuriosito, alcune veloci parole agli amici di là dalla strada e una risata generale che ci fa sentire stupidi, poi tende di nuovo la mano.
Lungo la costa alcune case ci sembrano troppo vicine all’oceano, e ci dicono che in effetti può essere molto pericoloso. «Il 2008 è stato un anno pessimo, ben tre uragani dopo tanto tempo che non se ne vedeva uno». E cosa accade se arriva un uragano? «Il governo ci evacua in massa». E per i danni? Indichiamo il televisore e il frigorifero. «Il governo ce ne dà uno nuovo» rispondono con la soddisfazione di chi si sente protetto. Difficile insomma farsi un’opinione realistica, e del resto le notizie provenienti dall’estero sono frammentate, Internet è a disposizione dei soli turisti, i cellulari sono stati permessi solo da poco ma in giro non se ne vede nemmeno uno. Di fatto Cuba è un’isola, e non solo morfologicamente.

Realismo sociale
Al contrario degli statunitensi, trattenuti da una complessa trafila burocratica, i canadesi possono tranquillamente recarsi a Cuba: poche ore di volo ed eccoli sbracati al sole, mentre a casa si toccano punte di trenta gradi sotto zero. Il Canada è il principale partner turistico della Cuba di oggi: il moderno aeroporto della capitale intitolato all’eroe nazionale più amato, il poeta José Martí (1853-1895), è stato costruito in buona parte con capitali canuck.
Varadero è il punto focale del turismo di consumo, con decine di alberghi costruiti da grandi compagnie internazionali, dove si prende il sole senza avere contatti con gli aspetti più impegnativi della realtà cubana: questa striscia di sabbia di oltre 20 chilometri è collegata al resto dell’isola da un ponte su cui viene effettuata una specie di selezione, impedendo entro certi limiti a mendicanti e prostitute di infastidire i turisti. Ma la vera Cuba è al di qua del ponte.
Prendiamo, per fare un esempio, la religione. A noi è nota come santería, ma questo è un termine dispregiativo coniato dagli schiavisti per definire un’eccessiva devozione ai santi. Si tratta di un amalgama fra l’antica religione yoruba, praticata dagli africani deportati, e il cristianesimo dei loro padroni: gli spagnoli proibirono ogni forma di animismo e così gli schiavi celarono nell’iconografia cristiana il culto delle proprie divinità. Nella Cuba della rivoluzione, in ogni caso, la fede religiosa non è stata osteggiata: molti cubani sono devoti, e in parecchie case si notano appese l’una accanto all’altra, in elaborate cornici, le immagini di Gesù Cristo e di Ernesto Guevara de la Serna, “el Che”.

Oggi e ieri
Fra le particolarità che più balzano agli occhi durante la visita di Cuba ci sono le auto: Chevrolet, Pontiac, Mercedes, Cadillac, Ford dei favolosi anni ’50 sferragliano e sbuffano lungo le vie de L’Avana, dove si può visitare anche un interessante museo delle auto d’epoca. Certo è che qui si imparano molte cose, e una di queste è che noi rottamiamo sistematicamente auto nuove.
La capitale è una grande città che forse mostra le facce più contrastanti della ricettività turistica cubana: grandi alberghi con pretese di lusso e stradine in cui si viene avvicinati da procacciatori d’affari di natura più o meno dubbia, ristoranti per turisti e anziani del posto costretti ad ascoltare i concerti dalla strada perché i bar sono riservati ai ricchi europei e nordamericani. Ma è anche una città molto bella il cui centro storico, La Habana Vieja, è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Qui si possono ammirare i palazzi del XVIII secolo e l’immancabile Museo de la Revolución. Una bella passeggiata è quella che parte dal Capitolio e si snoda lungo il Paseo del Prado per giungere al celebre Malecón, il lungomare che guarda a nord collegando il Castillo de San Salvador de la Punta con Centro Habana e il Vedado, dove si trovano la Calle 23 e la storica Plaza de la Revolución, con il Memorial José Martí e l’edificio su cui spicca una grande immagine del Che, nota a tutti per la famosa fotografia di Alberto Korda.
Una volta girata L’Avana in lungo e in largo per un paio di giorni ci si comincia ad abituare alle trattative per prendere il taxi, agli importuni che accompagnano ogni passeggiata, ad attraversare strade abbandonate alla sporcizia e con i palazzi fatiscenti: e dopo aver visitato le chiese e aver comprato qualche sigaro si può partire alla volta di Trinidad. Il viaggio per questa cittadina nell’immediato entroterra della costa che affaccia sul Mar dei Caraibi è lungo anche se le distanze non sono enormi, circa 300 chilometri. Il conducente del pullman turistico si scusa spiegando che la colpa è del generale Batista, il dittatore filoamericano che governò Cuba a più riprese dal 1940 al 1959: fu lui a far costruire la strada. Il nostro autista ci canta una canzone popolare e, conoscendo un po’ di italiano, ce la ripropone salvando le assonanze. «Una pietra a destra, una pietra a sinistra, una pietra in tasca a Batista. Una pietra a destra, una pietra a sinistra, una pietra in tasca a Batista».
Intanto, usciti dalla capitale, scompaiono le auto d’epoca: si gira a dorso d’asino o con i trasporti pubblici effettuati perlopiù da camion scoperti, con la gente che si tiene il cappello per non farlo portare via dal vento. La strada attraversa campagne coltivate e all’apparenza non povere d’acqua: piantagioni di canna da zucchero, arance e banane si estendono fino all’orizzonte. L’agricoltura a Cuba è in mano allo stato, ma ci dicono che i contadini hanno ottenuto il permesso di commerciare i prodotti in proprio e che questo ha migliorato la loro condizione economica.
Arrivati a Trinidad non si può fare a meno di rimanere colpiti dalla sua bellezza di evidente impronta coloniale, incastonata in un variegato paesaggio collinare. Le alture che la circondano, gli edifici colorati, le stradine piene di banchi di merletti fatti a mano secondo la tradizione locale: ecco l’atmosfera di un tempo lontano che qui è rimasta praticamente intatta. La città fu fondata nel 1514 e dovette la sua fortuna al commercio dello zucchero: il Palacio Brunet e il Palacio Cantero furono costruiti nel periodo di massima ricchezza, fra il ‘700 e l’800. La Valle de los Ingenios e il centro urbano sono inclusi nella lista dei patrimoni dell’Unesco, che ha contribuito non poco al recupero degli antichi palazzi.
Ma c’è una Cuba ancora diversa, ed è quella che andremo a scoprire nelle nostre escursioni al di fuori dei principali percorsi turistici.

L’altra faccia dei Caraibi
In questo paese allignano oltre 6.000 specie di piante, metà delle quali endemiche. Tanta varietà dipende anche dalla presenza di ambienti molto diversi fra loro, dalle vaste zone umide e salmastre fino alle montagne che sfiorano i 2.000 metri di altitudine. Una settantina di specie di sole palme caratterizzano ambienti molto diversi fra loro anche a breve distanza; spicca fra tutte la Roystonia regia o palma reale, simbolo di Cuba. Alberi come la Ceiba, ancora molto diffusa, erano considerati sacri dagli autoctoni; alcuni di questi sono secolari, ma è quasi impossibile conoscerne l’età esatta. Una vera ricchezza sono le orchidee, anch’esse presenti con centinaia di specie ma purtroppo difficili da vedere perché concentrate nelle aree interne: l’ecoturismo deve ancora scoprire le proprie potenzialità, che sarebbero immense.
Gli animali fanno capitolo a sé. Per averne un’idea andiamo a visitare la Penisola di Zapata, nella regione di Matanzas. Questo enorme parco nazionale di 6.000 chilometri quadrati di estensione (quasi il doppio della Valle d’Aosta) accoglie ben 160 specie di uccelli, molti dei quali di grandi dimensioni come fenicotteri, ibis, aironi e pappagalli, ma non mancano i minuscoli colibrì, che sfrecciano nevrotici da un fiore all’altro, e il trogone, l’uccello nazionale di Cuba, che ha i colori della bandiera.
Il Parque Nacional Ciénaga de Zapata è praticamente disabitato. Il terreno paludoso non coltivabile e l’elevata concentrazione di zanzare durante la stagione umida, corrispondente alla nostra estate, lo rendono un habitat poco appetibile per gli esseri umani. L’unico reddito per i pochi residenti è l’allevamento dei coccodrilli e appunto il turismo, che sta timidamente cominciando a fare la sua comparsa. Per arrivarci bisogna procurarsi un cicerone all’Avana: è infatti proibito l’ingresso senza una guida autorizzata. La prima cosa da scoprire è il Rio Hatiguanico, il principale corso d’acqua che attraversa il parco e che, di fatto, quasi lo separa dal resto dell’isola: si snoda pigramente fra isolotti coperti da una fitta vegetazione ed è navigabile con piccole imbarcazioni, il mezzo migliore per conoscere questo ecosistema, anche se i vecchi fuoribordo cubani si sentono a chilometri di distanza e il rumore spaventa molti animali. Che si discenda il fiume o si decida di addentrarsi fra le mangrovie, il più difficile da vedere è il timido lamantino, il Trichecus manatus: questo grosso sirenide può superare i 4 metri di lunghezza e la mezza tonnellata di peso, eppure è totalmente inoffensivo e anzi rimane spesso vittima delle eliche delle barche. Oltre ai coccodrilli, in particolare la specie endemica Crocodylus rhombifer che vive solo in queste paludi, numerose sono le tartarughe acquatiche e le colorate libellule che sorvolano le distese acquitrinose: tutto questo dà alla Penisola di Zapata un fascino ancora sconosciuto al turismo di massa.
Non lontano è uno specchio d’acqua denominato la Laguna del Tesoro. La leggenda vuole che gli indios, all’arrivo degli spagnoli, vi abbiano nascosto favolose ricchezze, anche se viene da chiedersi cosa mai potessero avere dei poveri indigeni che vivevano di pesca; in ogni caso quel tesoro lo si è cercato in lungo e in largo, ma senza alcun risultato. In barca si raggiunge un arcipelago di dodici isolette dove è stato ricostruito un villaggio dei Taíno, un’etnia precolombiana. Il nome Guamá, che indica la zona, era quello del coraggioso capo indio che si oppose agli invasori giunti dall’Europa; ma la realtà è diversa e il centro turistico ha un sapore vagamente pacchiano, con i turisti che al suono dei tamburi assaggiano carne di coccodrillo e si fanno dipingere il volto dai figuranti in costume.
Sul lato occidentale della penisola si trova la Bahía de Cochinos, la celebre Baia dei Porci. In questa località, il 17 aprile 1961, 1.500 uomini addestrati dalla CIA e finanziati dal governo statunitense tentarono lo sbarco allo scopo di conquistare l’isola; ma l’aeronautica cubana affondò subito due navi americane di supporto, privando gli assalitori di rifornimenti alimentari, munizioni, ricetrasmittenti e carburante. In sole 72 ore le forze armate cubane avevano catturato oltre 1.100 prigionieri e fatto a pezzi l’immagine degli Stati Uniti d’America.
Storia recente a parte, la Bahía de Cochinos è caratterizzata da rocce di origine vulcanica che gli agenti atmosferici hanno modellato ed eroso nel tempo, sino a renderla frastagliata come lame di coltello. Se non è l’ideale per camminare o prendere il sole, garantisce però un suggestivo spettacolo con le scogliere che si affacciano su un mare di perfetta trasparenza: chi vuole immergersi trova qui il suo paradiso. La fitta foresta circostante, i colibrì e gli altri uccelli multicolori, le rosse bromeliacee che si sporgono dagli alberi danno la sensazione di una meraviglia ancora da scoprire e da valorizzare. Una Cuba diversa, per palati fini.

Testo e foto di Andrea Innocenti

PleinAir 446 – Settembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio