Navelli, i giorni dello zafferano

L’oro rosso della piana di Navelli è apprezzato sin da tempi antichi: nel mese di ottobre ne scopriamo i segreti, dalla raccolta alle tecniche di conservazione. E lo degustiamo in una saporita varietà di pietanze

Indice dell'itinerario

Nella metà del Quattrocento il commerciante tedesco Jobst Findenken era solito recarsi da Norimberga a L’Aquila per acquistare il prezioso zafferano della piana di Navelli. Possiamo immaginare i disagi di quel viaggio: settimane a piedi e a dorso di mulo fino alla meta. Doveva essere conveniente sobbarcarsi una simile avventura per fare il pieno dell’oro rosso abruzzese, già a quei i tempi conteso da mezza Europa. Era così prezioso che Jobst usava mescolarlo a zafferano di qualità inferiore per poi rivenderlo a peso d’oro: quando il misfatto fu scoperto il malcapitato fu arso vivo – era il 27 luglio 1444 – insieme alla spezia contraffatta.

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Ripenso a questa storia mentre in una casetta di Navelli la legna brucia in un camino mandando folate di calore. Il fuoco serve a essiccare gli stimmi, i preziosi filamenti rossi dello zafferano sistemati con cura sul setaccio da farina, ma anche a rigenerare le ossa di chi ogni anno, tra ottobre e novembre, se ne sta per ore chino sui campi della piana, avvolto da albe gelide, per raccogliere i fiori violacei del Crocus Sativus, originario dell’Asia Minore. Sarà per il microclima ideale o per la composizione chimica del terreno, nella piana abruzzese spunta la qualità più pregiata di zafferano; che va raccolto appunto quando il sole non è ancora sorto e i fiori sono chiusi. E occorre fare in fretta: i raggi solari avrebbero un effetto devastante sui suoi principi attivi, la crocina che dà il colore agli stimmi e il safranale che garantisce allo zafferano l’inimitabile aroma.

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D’un tratto, davanti a me, ecco una figura che ricorre nella piana: l’essiccatore, il cui compito è disidratare gli stimmi, un procedimento che fa perdere l’80% del loro peso. Controlla i filamenti sistemati sul setaccio, davanti al focolare: un fuoco di mandorlo e quercia, legni che non lasciano profumi. In contemporanea, sedute intorno a un tavolo, alcune donne sono dedite alla sfioritura, cioè all’estrazione dei pregiatissimi stimmi dal fiore: mani rapide tra i petali prelevano il tesoro con due dita; con il passare del tempo si formano mucchietti rossi che vengono presi in consegna dall’essiccatore. Al centro del tavolo, invece, s’accumula una montagna di petali viola, gli scarti del fiore. Il lavoro richiede esperienza e attenzione, perché basta poco per rovinare tutto.

Se infatti l’essicazione è eccessiva gli stimmi bruciano, se invece non è sufficiente l’umidità darà allo zafferano un pessimo odore. Quando arrivo nella piana per assistere alla raccolta è ancora notte fonda. Il freddo sfonda le ossa. E così nella Casa Verde di Gina Sarra a Civitaretenga, una sorta di tempio consacrato dagli anni Settanta alla cultura dello zafferano e dei prodotti della terra, vengo accolto con caffè fumante e crostata calda. Poi mi mescolo nei campi ai raccoglitori infagottati con strati di maglioni, giacche a vento e stivaloni.

Si tratta di un lavoro certosino: per produrre un chilo di zafferano bisogna raccogliere duecentomila fiori! Per fortuna la notte ha fatto spuntare un buon numero di fiori. Non si sa mai infatti cosa portano le tenebre: alle prime luci del giorno possono apparire distese di fiori oppure solo terra rinsecchita. Nel primo caso si diffonde una sorta di tam-tam che butta giù dal letto i raccoglitori – un centinaio – sparsi nel territorio; nel secondo caso si resta sotto le coperte. Quanto al periodo della raccolta, dipende dal clima.

Se settembre è stato asciutto i fiori spunteranno dalla terza, quarta settimana di ottobre ai primi di novembre, se invece è stato caldo e umido si può cominciare a raccogliere ai primi di ottobre. Anche già il 4 ottobre, dice Gina riesumando un antico detto popolare: «San Francisc, ru fiore aiu canestr» (a San Francesco il fiore è nel canestro). Nella casa di Gina si sta bene, come in famiglia. Si mangiano maccheroni, gnocchi e ravioli allo zafferano, si ascoltano senza fretta racconti e aneddoti sulla preziosa pianta; può succedere che arrivi qualcuno, e allora si aggiunge un posto a tavola: la vita nella piana di Navelli scorre ai ritmi imponderabili e lenti dell’oro rosso.

Il terremoto del 2009 ha distrutto case e interi paesi ma non ha potuto nulla contro la tenacia dei suoi abitanti. A Civitaretenga ha abbattuto l’antica torre dell’orologio e procurato gravi danni al ghetto ebraico, inaccessibile e recintato, dove un tempo viveva una piccola comunità. La vicina Navelli, invece, città piena d’arte e segreti arroccata sotto un’acropoli, è stata risparmiata dal sisma. Resta un ultimo atto: correre a Prata d’Ansidonia, alla Taverna Borgo dei Fumari, per conoscere lo chef Lino Guarascio.

Al mio passaggio dopo il sisma il suo raffinato ristorante, allestito nei suggestivi ambienti di un casa secolare, era in piena attività, a due passi dalle case lesionate. Presto allargherà l’attività agli ambienti vicini e creerà un albergo diffuso in paese. Negli anni, mentre spiattellava in cucina a due passi dalla zona rossa terremotata, deve avere gustato un bel po’ di zafferano. La prova di uno dei tanti benefici effetti della preziosa pianta: quello di abbattere la depressione e garantire un inguaribile ottimismo. 

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