Lettonia, ritorno al futuro

”Riga non sarà mai finita e il giorno che lo sarà sprofonderà nella Daugava”, così almeno si dice. Perché a ogni voltar di pagina della storia c’è qualcosa di nuovo

Indice dell'itinerario

”Riga non sarà mai finita e il giorno che lo sarà sprofonderà nella Daugava”, così almeno si dice. Perché a ogni voltar di pagina della storia c’è qualcosa di nuovo, ogni generazione lascia la sua impronta, e la meravigliosa capitale della Lettonia è un amalgama in continuo divenire. Con il suo importante passato e tutta lanciata verso il futuro, la perla dello Jugendstil baltico assorbe completamente l’immagine che il paese proietta all’estero, ma sarebbe un errore concentrare il soggiorno solo sulla città. La Lettonia è infatti una terra di boschi e rovine silenziose, di fiumi serpeggianti e praterie, di spiagge dorate e castelli immersi nel verde. La sua storia rimanda alle tribù pagane di Curlandia e di Latgallia, evangelizzate e unificate nel XII secolo dai Cavalieri Teutonici, ai quali si fa risalire la fondazione della stessa Riga e la creazione della Livonia, progenitrice del paese odierno. Un’eco di quelle antiche genti permea ancora oggi la cultura tradizionale, che affonda le radici in una natura animata da allegorie e presenze sovrannaturali e colora di magico le manifestazioni del folklore.
A diciannove anni dall’indipendenza, la Lettonia è dotata di strutture di accoglienza di buon livello, ma soprattutto è ricca di un patrimonio architettonico e ambientale da scoprire nella massima libertà e autonomia con la complicità delle lunghe giornate estive, illuminate dal sole fino a tarda sera.

Incontro al mare
L’ingresso nel paese avviene un po’ in sordina, forse perché l’impatto è mitigato dall’attraversamento della Lituania – paese affine per lingua, cultura e storia recente – che funge da camera di compensazione, o forse perché con l’adesione al Trattato di Schengen i posti di frontiera sono stati chiusi. Da Klaipeda, passato il confine lungo il Baltico, ci bastano una cinquantina di chilometri sulla A11 per raggiungere Liepaja. La terza città della Lettonia non è considerata una meta di grande interesse turistico, ma offre l’opportunità di prendere confidenza con il paese. Il campeggio lo troviamo prima ancora di arrivare: è a due passi dalla spiaggia, con un bel ristorantino e una vasca termale all’aperto che ci invita come il canto delle sirene.
Liepaja abbraccia una decina di chilometri di costa, metà della quale formata da una spiaggia bianchissima e ininterrotta che ne costituisce l’elemento dominante e unificatore. Non conserva molte testimonianze della propria storia, ma alcuni edifici dell’inizio del secolo scorso ravvivano le strade del centro e l’ariosità della Promenade compensa il grigiore della predominante architettura sovietica. In realtà Liepaja è composta da due nuclei separati dal Tirdzniecibas Kanals, il canale che collega il mare al lago che la delimita a est. La parte meridionale è costituita dal centro storico di impianto tradizionale, con alcuni ristoranti e qualche caffè; quella settentrionale, tutt’uno con il porto, è stata fino al 1991 una città nella città, una zona off-limits di strategica importanza militare. Oggi viene lentamente riconquistata dalla comunità artistica locale e offre un singolare mix di ruderi militari e vita bohémien.
Decidiamo di tirare subito fuori le biciclette, che ci paiono il mezzo migliore per scoprire la città e correre lungo le nuove piste che portano alla spiaggia. Passiamo sotto l’imponente monumento ai caduti del mare e risaliamo fino all’estremità settentrionale dell’abitato, dove troviamo le rovine dello Ziemelu Forti: quel che resta della fortificazione costruita in epoca zarista a difesa del porto è una lunga teoria di ruderi, quasi del tutto fagocitata dalle acque.
Lo Ziemelu Forti si trova ai margini della Karosta, la vecchia città militare; qualche chilometro più a nord (ma forse qualcuno di troppo per arrivarci a pedali) sibilano sulla spiaggia, spazzati dal vento del Baltico, i monoliti del memoriale di Skede dove nel 1941 i nazisti fucilarono più di 5.000 ebrei e dissidenti lettoni, in gran parte donne e bambini. In soli tre giorni furono ammucchiati in una grande fossa comune più di 2.700 corpi; chi rotolava giù ancora vivo veniva finito con un colpo alla nuca. E’ un luogo della memoria non solo per coloro che qui hanno perso familiari o amici, ma per chiunque ritenga di far parte del genere umano.
Karosta è sospesa tra presente e passato. In giro per i suoi viali ci si lascia sopraffare dall’atmosfera surreale dei quartieri abbandonati, scheletri silenti le cui finestre rotte sembrano occhi nerissimi che scrutano il destino. Il paesaggio è monotono e affascinante al tempo stesso, e sa anche regalare momenti inattesi: dietro un angolo, alle spalle di tristi palazzi, sorgono le guglie dorate della cattedrale ortodossa di San Nicola, chiesa in mattoni rossi del XIX secolo che fu utilizzata dai sovietici come deposito; ora che è tornata a svolgere la propria funzione galleggia come una luccicante meraviglia su un mare grigio di cemento. Merita una visita anche il Karostas Cietums, un carcere del secolo scorso: nato come sanatorio, fu usato come prigione dai nazisti, dai sovietici e dai lettoni, e oggi è finalmente adibito a museo. Ma bisogna fare attenzione, perché si tratta essenzialmente di un trappolone per turisti: rifiutiamo decisamente di farci coinvolgere nei pacchetti in offerta speciale (interrogatorio, notte in cella, aggressione verbale, ispezione notturna e uso della latrina autentica, tutto per meno di 30 euro) e paghiamo il solo biglietto d’ingresso al museo, che mostra la storia della prigione e dà un’idea delle terribili condizioni di vita dei detenuti, molti dei quali non ne uscirono vivi.
E’ questa la Liepaja che scopriamo poco a poco, mentre procede a passi incerti verso il futuro liberandosi a fatica del suo recente passato. Per scoprirne il volto più intimo dobbiamo cercare a sud del canale, nel centro storico. E non tanto nel fresco delle chiese (da non perdere i decori barocchi della chiesa della Santa Trinità) o nel gusto di alcuni palazzi d’inizio secolo, quanto proprio per le strade e le piazze. L’antico mercato Petertirgus, un padiglione di cent’anni fa oggi rinnovato, è il posto migliore per ficcare il naso nella vita cittadina, punto di partenza ideale per andarsene a zonzo durante il giorno; verso sera, invece, una passeggiata per la Promenade ci trasmette il ritmo lento delle giornate estive, scandito da una grande clessidra di vetro che al posto della sabbia contiene granelli d’ambra. Eccolo il vero cuore di Liepaja, lungo il canale e nelle strade adiacenti, dove si può perdere una mezz’ora con una birra tra le mani a uno dei tanti tavolini all’aperto, o un’intera giornata a curiosare tra le gallerie d’arte dei giovani artisti della zona. Il centro offre alcuni interessanti spunti per la cena e nei locali si ascolta musica dal vivo fino a tardi (verso la fine di luglio è da non perdere il Baltic Beach Party), ma noi preferiamo tornare al campeggio per gustarci dei succulenti spiedini alla brace e rilassarci nella vasca termale all’aperto prima di darla vinta al sonno.

Contadini e pescatori
Essendo un paese di modesta estensione, la Lettonia offre il vantaggio di brevi spostamenti su strada a tutto beneficio del tempo da dedicare alla visita dei luoghi. Così prendiamo la A9 per Riga, ma già dopo pochi chilometri decidiamo di svoltare sulla P112 in direzione di Kuldiga. Guidare placidamente su questa strada tra boschi e campi coltivati è un piacere. Mettiamo subito in chiaro che non siamo qui per la cascata più alta di tutto il paese, con il suo salto di un metro e ottanta (d’accordo che la Lettonia è sconsolatamente piatta, ma c’è un limite a tutto): il motivo per cui visitiamo questo incantevole borgo di tre piazze e quattro vie, antica capitale del ducato di Curlandia, è che vi si coglie la quintessenza dell’anima lettone. Un’anima pronta a risvegliarsi nella terza settimana di luglio, quando si tiene il festival cittadino: in quattro giorni non si contano i concerti e le occasioni per ballare e fare baldoria, ci si maschera come a Carnevale e chi vuole può perfino partecipare all’improbabile sfilata in costume nel letto del ruscello che s’incanala fra le case del centro. Nell’eclettica coesistenza di linguaggi architettonici diversi, dal gotico al rinascimentale al barocco, facciamo una passeggiata al museo delle sculture all’aperto, nel parco dove sorgono i ruderi dell’antico castello dell’Ordine di Livonia, scavalcando il fiume sul ponte da cui si gode un’ottima vista della città e arrivando sulla riva opposta fino a un mulino ad acqua.
Riprendiamo la marcia seguendo la P108 verso nord e in meno di un’ora siamo a Ventspils, sulla foce del Venta. La cittadina, appena fuori della quale c’è un comodo campeggio, è un’ottima base per esplorare i dintorni, ricchi di spunti interessanti, ma è anche un luogo gradevole da visitare; il castello è assai ben conservato, ma più che di un vero maniero si tratta di una residenza fortificata posta sulla riva del fiume, vicino alla bella piazza del Comune e al mercato. E’ curioso il contrasto fra questa sponda della darsena, tutta prati e palazzi dai colori pastello, e dall’altro lato il fronte del porto, sul quale danzano enormi gru tra colline di carbone e giganteschi silos. Ostgals è invece un pittoresco quartiere dove le strade acciottolate si incrociano tra case di legno e qualche costruzione in mattoni rossi dall’aria dimenticata. Furono i russi, in epoca prerivoluzionaria, che incentivarono una comunità di contadini a stanziarsi qui, costruendo vicino alla costa per proteggere la città dal vento sabbioso. Ed è sempre qui che troviamo un paio di localini ideali per trascorrere la serata gustando pesce affumicato, immancabile nella cucina lettone.
La spiaggia di Ventspils può andare orgogliosa, e a buona ragione, della Bandiera Blu; ma piuttosto che trascorrere un’oziosa mattinata al mare preferiamo esplorare la litoranea a nord della città. Da qui la costa è una lunghissima striscia di sabbia lattea, punteggiata qua e là da fari solitari che guardano verso il Baltico, tronchi sbiancati dalle mareggiate, barche in secca in attesa di riprendere il mare e minuscoli villaggi di pescatori. La P124 corre a breve distanza dalla linea costiera e non dobbiamo avere timore di infilarci nelle sterrate traverse tutte le volte che vogliamo arrivare alla spiaggia. La prima diversione la facciamo già al diciottesimo chilometro per raggiungere il faro di Ovisi, un cilindro color panna con vista panoramica.
Una manciata di chilometri e un bivio più a nord lo scenario muta repentino davanti alla R-32, un’antenna radar che l’Armata Rossa non fece in tempo a smontare quando abbandonò il paese. Faceva parte di un complesso di tre gigantesche parabole di 32 metri di diametro usate per captare le comunicazioni satellitari occidentali; oggi l’istituto astronomico lettone ha puntato il grande disco ricurvo verso il cielo, per studiare le stelle. Per arrivarci (dopo aver prenotato con un certo anticipo) basta prendere il bivio a destra al venticinquesimo chilometro, seguendo il segnale marrone che indica il Ventspils Starptautiskais Radioastronomijas Centrs. Si attraversa Irbene, il villaggio fantasma che ospitava il personale della base, e si prosegue sulla stradina che termina proprio davanti alla grande parabola: venata di ruggine e protesa verso il cosmo, sembra un’imponente opera cyberpunk emersa dalla sabbia.
Dopo un’altra trentina di chilometri ci fermiamo a Mazirbe, quasi un prototipo del villaggio di pescatori lettone, dove alcuni relitti di barche donano a una manciata di case un’aura malinconica e struggente; proseguiamo quindi fino a Capo Kolka, la punta estrema che segna l’immaginario confine tra il mare aperto e il golfo di Riga, cuore dello Sliteres Nacionalais Parks che a ogni stagione offre scenari mutevoli e una natura festosa. Il villaggio di Kolka sonnecchia a poche centinaia di metri di distanza, e arrivarci passeggiando sulla spiaggia è un’ottima scusa per farsi venire un po’ più d’appetito che saziamo nella rustica cucina di Usi, una specie di agriturismo all’entrata del paese dove chiediamo di poterci sistemare anche con il camper dato che non ci sono campeggi in zona.
La via che scegliamo al mattino serpeggia lungo il golfo fino a Roja, dove si svolta sulla P126. Lo scenario muta repentino: ai fari della costa si sostituiscono i mulini a vento e alle onde del mare quelle dell’erba sui campi. Non cambia invece la quiete rurale che ci invoglia a far sosta ogni volta che se ne offre l’occasione, con la scusa di un caffè o una fotografia. Talsi sembra fatto apposta per questo: è un delizioso villaggio agricolo sorto attorno a due piccoli laghi, con le case dai tetti spioventi e il campanile della chiesa che si riflettono nell’acqua scura.
Con la A10 ci portiamo nella vecchia località termale di Kemeri, che ha barattato la gloria di un tempo con il fascino della decadenza: il magnificente albergo che porta il nome del centro ne dà un’idea. Oggi la sosta è motivata ancor più dal sentiero che parte alle sue spalle e conduce a una splendida passeggiata nell’omonimo parco nazionale. Una passerella di listelli di legno s’insinua per circa un chilometro nel bosco, ma chi intende dedicare più tempo all’esplorazione può seguire i diversi sentieri ombrosi, fino alle zone paludose.
In un batter d’occhio siamo a Jurmala, stretta penisola tagliata tra il fiume Lielupe e la costa. A due passi dall’arenile troviamo il campeggio e ci concediamo subito un po’ di mare, anche se tuffarsi nelle fredde acque del Baltico è cosa da temerari; i lettoni però non si fanno intimorire, perché la spiaggia brulica di bagnanti. Jurmala non è più la località à la page degli anni ruggenti, ma a noi sembra che con il tempo sia migliorata l’offerta di locali e alberghi e che, tutto sommato, continui a mantenere un’atmosfera genuina. Il mare mette appetito, così in uno dei tanti caffè della pedonale Jomas Jela assaggiamo finalmente i famosi piragi (pagnotte ripiene di pancetta) e un piatto di zirnu pikas, polpette di piselli e bacon, accompagnati dal kvass, una bevanda di grano fermentato molto popolare qui in Lettonia.

Dolce vita lettone
Dopo un paio di giorni di relax balneare, un breve spostamento ci porta in prossimità della capitale: ci sistemiamo in un nuovissimo campeggio di buon livello, abbastanza vicino al centro della città da permetterci di tirar giù le biciclette e fare una pedalata. Vetrina dell’art nouveau e culla della dolce vita lettone, Riga è testimonianza di ricchezze passate e galleria di quelle presenti, ma i moderni palazzi di vetro e il miscuglio di lingue ne fanno anche il luogo del futuro. La prima passeggiata serale per Vecriga, la città vecchia, genera invariabilmente lo stesso effetto di stupore. L’architettura vezzosa tiene tutti i nasi all’insù e l’unico inconveniente è il rischio di inciampare. L’asse di Kalku Iela divide il centro storico e mostra cosa la ricca élite teutonica, che aveva in mano le redini della città, fu capace di fare sin dai tempi in cui Riga faceva parte della Lega Anseatica. Dai Tre Fratelli (tre edifici adiacenti che risalgono a diverse epoche, dal XV al XVIII secolo) alla Casa del Gatto, alla Grande e Piccola Corporazione, le capricciose fantasie degli architetti sembrano sbeffeggiare l’austerità medioevale e l’opulenza barocca. La Casa delle Teste Nere, un coloratissimo ghiribizzo in stile gotico-rinascimentale ricoperto di stucchi e decori e sormontato da slanciati pinnacoli, è considerata il gioiello architettonico di Riga: scopriamo invece che si tratta di un edificio della fine degli anni ’90, replica esatta di quello bombardato dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale e raso al suolo dai sovietici subito dopo. Preferiamo infilarci nei vicoli acciottolati, dove le lampade allo iodio disegnano lunghe ombre nere sulle facciate color crema e i chiaroscuri rivelano una dimensione apparentemente più intima.
Dopo una serata a zonzo fra innumerevoli pub e lounge bar di tradizione tutt’altro che lettone, si riparte con il panorama su Vecriga offerto dal ponte Vanu, la cui campata sospesa salta la Daugava da Kipsala, l’isola vicina alla sponda sinistra del grande fiume. L’acuminata guglia scura del duomo, detta di Santa Gertrude, e quella a tre livelli di San Pietro si stagliano sui tetti e gareggiano in altezza con la più lontana torre della televisione, eco moderna della Tour Eiffel.
Doma Laukums è un’ariosa piazza che fa da contraltare alla massiccia struttura della cattedrale, in piedi dalla metà del ‘200, anche se più volte rimaneggiata. Al suo interno è conservato l’organo più grande d’Europa, oggi riservato alle occasioni speciali: con 6.768 canne, si racconta che ispirò persino Franz Liszt.
Dall’altra parte dell’asse di Kalku Iela, passando per la piazza del Comune su cui affaccia la Casa delle Teste Nere, si raggiunge l’opprimente edificio che ospita il Latvijas Okupacijas Muzejs, dedicato all’occupazione della Lettonia. L’esposizione al suo interno traccia un toccante percorso attraverso le sofferenze patite dal popolo durante le occupazioni nazista e sovietica.
E’ solo a due passi la chiesa di San Pietro, la cui torre ne fa uno dei simboli di Riga: un tempo la più alta d’Europa fra quelle in legno, fu più volte distrutta e ricostruita. L’edificio compare nelle cronache già dal 1209, anche se quello che vediamo oggi risale al XV secolo; un ascensore consente di salire ai 72 metri dell’emozionante affaccio sulla città. Le strade che s’intersecano all’ombra della Peterbaznica sono ricche di scorci piacevoli: passeggiando con calma visitiamo anche la sobria chiesa luterana di San Giovanni, del XIII secolo, con il frontone in mattoni rossi. E non ci facciamo mancare una visita a quel che rimane delle antiche mura, alla Porta Svedese (l’unica superstite) e alla torre polveriera, del XIV secolo, che fra le sue mura spesse 2 metri e mezzo custodisce una sezione importante dell’adiacente museo bellico.
Ma Riga ha ancora molte facce da offrire e per scoprirle tutte bisogna uscire da Vecriga: l’ideale è muoversi in bicicletta, ma una divertente alternativa per i più pigri consiste nel noleggiare un Segway (li si trova su Torna Iela), veicolo elettrico a due ruote. Percorriamo più o meno per metà Gogola Iela fino a quello che viene chiamato il Cremlino: si tratta in realtà di un grattacielo d’epoca staliniana istoriato qua e là con falci e martelli, sede dell’Accademia delle Scienze, interessante per la possibilità di salire fino al diciassettesimo piano e godere di una diversa vista di Riga. Più o meno da qui ha inizio la zona di Maskava, il vecchio quartiere ebraico. Dobbiamo però arrivare al termine di Gogola Iela per scoprire che la Grande Sinagoga non esiste più, perché nel 1941 i nazisti lettoni la diedero alle fiamme dopo avervi rinchiuso alcune centinaia di ebrei, perlopiù donne con i propri figli. Quel che rimane delle fondamenta e il memoriale di recente costruzione sono un necessario ma desolante argine contro l’oblio. Un giro in quello che fu il quartiere ebraico colpisce soprattutto per l’assenza di tracce della comunità operosa che lo ha abitato per secoli e che è stata cancellata nel volgere di qualche anno da deportazioni ed esecuzioni di massa.
Torniamo verso lidi più sereni e ci portiamo nel bel mezzo della Daugava, sull’isola Zakusala, dove s’innalza la gigantesca torre della televisione: con i suoi quasi 370 metri di ferro, cemento e tecnologia sovietica è ancora oggi la più alta di tutta l’Unione Europea. L’ascensore che corre in uno dei tre piloni ci porta sulla piattaforma di osservazione a 97 metri: da qui si gode di un panorama eccezionale, ma se il tempo non è dei migliori ci si può trovare davanti a un muro impenetrabile di nuvole. Sull’altra sponda del fiume, risalendo verso il ponte Akmens, il possente monumento sovietico alla vittoria dell’Armata Rossa nella Seconda Guerra Mondiale ricorda la liberazione di Riga dal nazifascismo: qualche nostalgico depone fiori ai piedi del memoriale, mentre i giovani più indifferenti vanno su e giù con i loro skateboard.

un brindisi spumeggiante
Pur con tutte le sue attrattive, Riga non è la meta principale del nostro itinerario, pensato decisamente per scoprire la Lettonia più vera. Dopo una visita al curioso Museo dei Motori, che espone la ZIS-115 blindata di Stalin e la velocissima Rolls Royce Silver Shadow di Breznev, più volte incidentata, mettiamo le ruote sulla A2 che ci porta in una cinquantina di chilometri a Sigulda, porta d’accesso al parco della Gauja, una vasta area naturale che tutela la valle del fiume da cui prende il nome. Il borgo è davvero minuscolo, immerso tra le chiome degli abeti, eppure la sua presenza è attestata fin dal 1207 come insediamento dei Cavalieri Teutonici che strapparono la regione ai Livi. A testimoniarlo ci sono i ruderi del massiccio castello, mentre oltre il fiume la fortezza di Turaida ospita il museo storico che raccoglie i numerosi reperti rinvenuti nella zona.
Il Parco Nazionale della Gauja è il più vasto del Baltico, ma per apprezzarne la lussureggiante bellezza è necessario lasciare il camper e proseguire con mezzi leggeri. Si possono percorrere diversi sentieri a piedi, seguire gli itinerari per mountain bike, cavalcare nei boschi oppure noleggiare una canoa e discendere il fiume. Siamo intenzionati a provare un po’ di tutto, così prendiamo possesso della piazzola nel campeggio di Sigulda, scarichiamo le bici e via, in sella. Il castello di Turaida, in gran parte ricostruito, si raggiunge con una piacevole pedalata al di là del fiume. La visita al museo che il maniero ospita al suo interno è utile per apprendere qualche nozione sui popoli che abitavano questa valle nel Medioevo, ma altrettanto interessante è salire sulla torre per spaziare con la vista sulle cime degli alberi.
Il sentiero di Ligatne costeggia la Gauja, e può capitare di incontrarvi caprioli, alci o persino esemplari di bisonte europeo: non è per nulla impegnativo, e anche questo si può percorrere a piedi o in bici. Non lontano dal paese il percorso prevede l’attraversamento del fiume su una chiatta di legno che fa la spola tra le due rive; noi ci fermiamo in paese dove noleggiamo le canoe e lasciamo le dueruote, che verremo a riprendere in un secondo tempo. Le possibilità di pernottamento non sono molte, ma all’ufficio turistico sanno come aiutarci. Le otto ore necessarie per discendere il fiume in canoa non richiedono alcuna esperienza specifica eccetto l’essere in grado di tenere in mano un remo e naturalmente di saper nuotare; in ogni caso si possono scegliere anche escursioni di gruppo in gommone. Si parte di buon mattino, ma non prima di un’abbondante colazione a base di frittelle e nac rita atkal (letteralmente “torna domani”), involtini preparati con gli avanzi del giorno precedente: poi, lasciandosi trasportare dal placido scorrere della Gauja, si può ammirare quella che viene enfaticamente chiamata la Svizzera lettone, con le rive del fiume che si alzano in rosse scogliere di arenaria circondate da una natura incontaminata.
A sera, quando raggiungiamo il campeggio di Sigulda e restituiamo le canoe, abbiamo in mente solo una cosa: recuperare immediatamente le calorie perse a colpi di pagaia con un’abbondante cena. Solo più tardi accendiamo il motore, passiamo da Ligatne a riprendere le bici e dopo un’altra trentina di chilometri raggiungiamo il campeggio che ci ospiterà a Cesis, il centro abitato più grande (o meno piccolo) della valle. Interessanti sono le antiche rovine del castello teutonico, decisamente le più imponenti del paese; ma Cesis è soprattutto una delle località più gradevoli della Lettonia orientale e vale certamente la pena visitare la chiesa di San Giovanni e quello che, con un po’ di confusione, è chiamato il Castello di Cesis, residenza del XVIII secolo con un grande parco.
Dopo una passeggiata si scopre la bionda più antica della Lettonia: l’antico birrificio della Cesu Alus, che risaliva al 1590, sorgeva dietro al castello, dove è ancora visitabile la stanza per l’essiccazione del malto. E allora ci assicuriamo il posto per la notte in campeggio, e cerchiamo una birreria dove darci dentro. La serata da gaudenti è l’ultima prima di riprendere la strada verso casa, con un’ultima tappa a Bauska: il suo castello, davvero unico, sorge su una penisola verdissima disegnata dalla confluenza di due fiumi. La torre regala un panorama che fa rimpiangere l’addio alla Lettonia, tant’è che ci sistemiamo per la notte nelle vicinanze del grande palazzo. Ma al mattino bisogna proprio ripartire: il Baltico è alle spalle, il gavone è pieno di birra e pesce affumicato, e la nostra mente di ricordi già venati di nostalgia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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