Istinto selvaggio

Tra boschi e laghi della Lapponia svedese a bordo di una slitta trainata dagli husky: un'esperienza unica ma alla portata di molti, da provare in alternativa alla "solita" settimana bianca... e con la garanzia di una neve davvero artica.

Indice dell'itinerario

Il Circolo Polare Artico è pochi metri davanti a noi: ma anche se la linea dei 66° 33′ fosse davvero lì, disegnata sul suolo, non potremmo distinguerla, avvolti come siamo da una fitta nevicata. Eppure fermiamo il mezzo e usciamo nella tormenta, tra il vento gelido, per celebrare un rito di passaggio per noi sempre piacevole. Il nostro amico svedese ha riempito i bicchieri con una bevanda tanto corroborante quanto misteriosa: fra turbini di neve e ripetuti brindisi avanti e indietro sul mitico parallelo, festeggiamo l’attraversamento del Circle e poi, vuotati i calici e con lo stomaco in fiamme, percorriamo gli ultimi chilometri fino al paesino di Jokkmokk. E’ da qui che partiremo per un emozionante trekking con i cani da slitta, un viaggio di qualche giorno nella selvaggia natura invernale della Lapponia svedese.
Siamo un po’ inquieti a causa delle condizioni atmosferiche: se dovesse continuare così, con questa neve stizzosa che acceca, c’è il rischio che gran parte del bellissimo paesaggio lappone si nasconda alla vista. Ma preoccuparsene troppo non serve a nulla, e dal momento che in questo periodo dell’anno – siamo a fine febbraio – il buio scende abbastanza presto, conviene dedicarci alla preparazione degli zaini e delle attrezzature.

I magnifici otto
Di buon mattino incontriamo Matti, il nostro accompagnatore e istruttore. Il suo amore per gli animali e la natura si è trasformato in un lavoro a tempo pieno: il suo canile ospita più di 30 siberian husky di razza pura, adattissimi al traino sia per la struttura fisica che per il carattere. Questo cane è originario della Siberia, dove veniva utilizzato nelle corse con le slitte per la sua grande abilità, la straordinaria resistenza alla fatica e la spiccata intelligenza; tra le specie nordiche ne esistono di più potenti e forse di più belle, ma nessuna riassume in sé tutte queste caratteristiche come l’husky.
Giunti al canile, veniamo accolti da un abbaiare festoso; qualche carezza e l’amicizia è presto fatta, poi Matti ci mostra come procedere alla vestizione dei nostri otto cani. Far indossare i finimenti agli animali è semplice, perché ognuno si dimostra docile e collaborativo (sono certamente più abituati di noi!). Nei prossimi giorni dovremo occuparci di tutte le loro necessità, tra cui l’alimentazione, il rispetto dei tempi di sforzo, la sistemazione per la notte: in cambio ci trasporteranno senza risparmiarsi tra boschi innevati, laghi ghiacciati e paesaggi misteriosi dove la luce filtra nella nebbia come in un miraggio.
Finalmente, quando Matti conduce la sua muta davanti alla nostra, è il segnale che stiamo per metterci in marcia. Dietro di noi ci sono l’equipaggio di Sirpa, la compagna di Matti, sulla slitta che trasporta le attrezzature, e quello di Christa, una simpatica signora tedesca ormai veterana di questi trekking. L’emozione della prima partenza è indimenticabile: il saltuario guaito di qualche cane diventa velocemente un furioso abbaiare di tutti che, avendo capito che stiamo per iniziare la corsa, danno libero sfogo alla loro energia. Sembra quasi di assistere a una gara di Formula Uno quando i motori, pochi attimi prima dello start, ruggiscono all’unisono. Ma la somiglianza finisce qui: subito dopo il via torna nuovamente il silenzio, e gli unici suoni percettibili sono il fruscio delle slitte sulla neve e l’ansito dei cani. In piedi sui pattini posteriori, con le mani saldamente aggrappate a un apposito archetto, corriamo veloci lungo le tracce lasciate da una motoslitta passata da poco. Ben presto ci avviciniamo al primo dei tanti boschi che incontreremo lungo l’itinerario: il sentiero comincia a salire dolcemente, quanto basta però per costringerci a scendere e a spingere per aiutare i cani nello sforzo, mentre al primo accenno di falsopiano o discesa risaliamo nuovamente sui pattini e li lasciamo liberi di correre. La loro gioia è evidente anche al profano, e provare a fermarli prima che siano stanchi è impresa non da poco.La foresta è uno spettacolo nello spettacolo: gli alberi coperti di neve sembrano moderne sculture, ognuna diversa dall’altra, e il sottobosco è tutto un intrecciarsi di orme di animali selvatici sulla neve. Appena usciti dal folto dobbiamo attraversare un vasto lago ghiacciato, ma la visibilità è nulla, intorno a noi soltanto un’atmosfera lattiginosa, un universo bianco accecante e senza riferimenti. Per fortuna Matti procede davanti a tutti, sicuro di quello che fa e ancor più dell’istinto dei suoi animali. La scena è di altissima suggestione: la sua giacca a vento rossa è l’unica macchia che spezza quella vastità senza colore.
Poi accade l’inevitabile. Forse per la differente velocità, il nostro riferimento scompare e ci troviamo soli. Rallentiamo, in attesa degli altri, ma ben presto ci rendiamo conto di aver commesso un errore grossolano perché non arriva nessuno. Gli equipaggi che ci seguivano, confusi a loro volta, devono averci sorpassato senza scorgerci. E’ necessario procedere, ma non abbiamo idea di quale sia la direzione giusta: non resta che affidarsi ai nostri magnifici otto, lasciandoli liberi di seguire il loro istinto. Per qualche minuto siamo molto tesi e preoccupati, sperando che sappiano davvero quello che fanno: e all’improvviso ecco riapparire la giacca rossa di Matti, che si era fermato ad aspettarci. Poco dopo ci raggiungono anche gli altri due team. Tutti abbiamo fatto la stessa cosa, lasciando ai cani ogni responsabilità.

Vita da musher
In un vasto bosco ci fermiamo per far riposare gli animali e per consumare uno spuntino. Matti raccoglie i rami più secchi e, dopo aver liberato il terreno dalla neve, accende un bel fuoco. E’ davvero un momento di piacevole relax, seduti su un tronco a scaldarci, a cuocere le salsicce e ad abbrustolire il pane.
La corsa riprende fin quando le prime ombre annunciano il calare del sole: una piccola capanna in mezzo al bosco sarà il nostro rifugio per la notte. L’unica comodità è una vecchia stufa in ferro, che accendiamo immediatamente, mentre per l’acqua scioglieremo la neve. Provvediamo intanto a liberare i cani dai finimenti, a dar loro da mangiare e a sistemarli per la notte accoppiati a due a due, a seconda del loro carattere; solo dopo aver completato questo lavoro potremo pensare a noi. Eccoci dunque a cucinare sul fornelletto a gas e sulla stufa ormai rovente, decidendo cosa fare il giorno dopo e ascoltando i racconti di Matti sulla sua vita da musher. Quando la stanchezza comincia a farsi sentire ci stendiamo sulle brande, ben avvolti nei sacchi a pelo. Fuori la neve continua a scendere lentamente, in un silenzio così assoluto che quasi stordisce.
Al mattino, invece degli animali ci sono tanti… mucchietti di neve, che immediatamente tornano ad essere cani festosi non appena ci avviciniamo per prepararli alla partenza. Completato il rito della vestizione, ripartiamo per raggiungere la baita di un singolare personaggio: Anders Hahansson, un conciatore di pelli che lavora secondo l’antica maniera dei lapponi. Nel suo laboratorio l’unica concessione alla tecnologia è una macchina da cucire a pedali degli anni ’20; per il resto tutto viene eseguito con tecniche primitive e assolutamente naturali, che ci vengono mostrate e spiegate con giusto orgoglio. Per tingere Anders impiega bacche e radici che lascia macerare per settimane in botti piene d’acqua, mentre per ammorbidire le pelli usa vecchi raschini d’osso e la forza delle braccia; d’estate, per lavorare le pellicce e renderle brillanti, adopera l’acqua di ruscelli e laghetti del circondario. Quando usciamo, dopo aver consumato insieme un bel bricco di tè, è ormai pomeriggio; la neve ha cessato di cadere e un pallido sole s’intuisce al di là delle nubi.
Riprendiamo la marcia per raggiungere la capanna più vicina prima che faccia buio. Mentre i cani corrono allegramente in un lungo tratto di leggera pendenza, immaginiamo il tepore della stufa, il buio spezzato solo dalla luce delle candele, l’atmosfera di complicità che si crea fra gente diversa ma accomunata da un’esperienza così intensa. E dire che le cose stavano per andare diversamente se, con l’accordo degli altri due equipaggi, non avessimo bocciato la proposta di Matti di bivaccare all’aperto. «Questa notte sarà sereno – ci aveva rassicurato – e dormire sotto le stelle è fantastico». Aveva solo dimenticato di aggiungere che la temperatura sarebbe stata intorno ai -30°C…

PleinAir 389 – dicembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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