Isole di primavera

Spiagge alla moda e pareti da arrampicata, resti veneziani e selvaggi panorami vulcanici: Kos, Kalymnos e Nisyros, al centro del Dodecanneso, sono la combinazione ideale per una vacanza sportiva nell'Egeo che guarda ad oriente.

Indice dell'itinerario

Chissà cosa avrebbe pensato Ippocrate. Sull’isola di Kos, nel cuore del Dodecanneso, il nome del padre della medicina appare nei dépliant, nei titoli di libri e guide turistiche, sui cartelli, in pubblicità di ogni tipo. Qualche volta, accanto al nome, campeggia la faccia seria e barbuta dell’unica sua statua arrivata fino a noi.
Nato a Kos nel 460 a.C. ma trasferitosi fin da giovane a Delo, divenuto celebre a trent’anni per aver debellato un’epidemia di colera che aveva colpito Atene, Ippocrate trascorse buona parte della vita lontano dall’isola natia e morì a Larissa, in Tessaglia, dopo aver ampiamente superato i cent’anni. Le sue norme morali, contenute in un celebre giuramento, vengono imparate a memoria ancora oggi dagli studenti di medicina di tutto il mondo.
E come spesso accade nell’Egeo, anche a proposito di Ippocrate la storia si intreccia con la leggenda e la fede. Nel cuore della città di Kos, accanto al severo castello che appartenne ai Cavalieri di Rodi, ai Veneziani e poi ai Turchi, ai resti della città antica e alle eleganti architetture civili che ricordano i trentaquattro anni di occupazione italiana (il tricolore ha sventolato su queste isole dal 1911 al 1945), fa ancora ombra ai cittadini e ai turisti l’enorme platano intitolato al grande medico. Vuole la tradizione che due millenni e mezzo fa sia stato lui in persona a piantare quest’albero ormai vetusto; secondo alcuni botanici, invece, il nome del figlio più illustre di Kos è stato attribuito a una pianta decisamente più giovane. Altre fonti, però, raccontano che quasi duemila anni fa l’apostolo Paolo abbia predicato davanti alla gente dell’isola sfruttando proprio la fresca e accogliente ombra di quella maestosa pianta. Che ciò sia accaduto o meno, il vecchio e contorto patriarca sorge nella zona più piacevole di Kos: il riparo offerto dalle sue fronde, i vicini giardini, un sarcofago antico trasformato in fontana, la moschea turca oggi divenuta bazar fanno della piazza fra il centro antico e il castello un luogo particolarmente piacevole. Il sole che arroventa le terrazze e i gradini nelle settimane più calde dell’estate rende meno gradevole, almeno nelle ore centrali della giornata, la visita dell’Asklepìon, il santuario dedicato al dio della medicina che si alza a qualche chilometro. Un po’ ospedale e un po’ tempio, l’imponente complesso (scavato da archeologi tedeschi a partire dal 1902 e circondato da un fitto bosco di lecci) è il più fotografato e famoso dei trecento santuari analoghi costruiti nell’antichità in tutta la Grecia. A rendere l’Asklepìon di Kos diverso dagli altri è proprio il passaggio di Ippocrate, che apprese l’arte della medicina dagli asclepìadi che qui esercitavano. La città, che reca evidenti i segni del suo passato veneziano, ottomano e italiano, invita a lunghe passeggiate fra i ruderi dell’antica agorà sui quali si affacciano le mura, le moschee e le case dell’abitato medioevale e moderno. Seguendo con attenzione i viottoli dell’area archeologica si scoprono splendidi mosaici (i più belli sono quelli della cosiddetta Casa di Europa), l’Odeion, un minuscolo e delizioso teatro, e una villa romana del III secolo in ottimo stato di conservazione.
Ma tra i visitatori che arrivano da tutta Europa in aereo la fama di Kos è affidata, com’è ovvio, soprattutto alle spiagge. La più vasta e spettacolare si allunga sulla costa meridionale prendendo via via i nomi di Aghios Stefanos, Paradise, Banana, Markos: è attrezzata con ombrelloni e lettini, un bel parco giochi acquatico con scivoli e piattaforme galleggianti, alcuni centri sportivi che propongono corse su gommoni o canotti trascinati da motoscafi, voli in paracadute ascensionale e sci d’acqua. Meglio invece evitare Kardamena, la spiaggia più amata dai turisti britannici low cost, affiancata da una fila ininterrotta di pensioni e di pub dall’aspetto francamente desolante. Chi cerca un mare più tranquillo può dirigersi sul versante settentrionale dell’isola dove gli arenili di Tingaki e Marmari offrono uno splendido colpo d’occhio su Kalymnos, l’isolotto di Psèrimos e la vicina costa turca. Regala emozioni analoghe Mastichari, spesso battuta dalle onde, che si affianca da ovest al porto da cui partono i traghetti di linea per Kalymnos. Nella direzione opposta, la strada che aggira la punta orientale di Kos arriva alle sorprendenti sorgenti calde di Thermes, che sgorgano proprio sulla costa e dove si può fare un insolito bagno nell’acqua di mare riscaldata da quella termale. Se poi si vuole tranquillità assoluta si dovrà puntare verso l’angolo sud-occidentale, dove una breve ma tortuosa strada che inizia dall’abitato di Kèfalos scende alle due spiagge gemelle di Limniònas e un lungo tracciato di montagna permette di raggiungere Aghios Theològos, l’arenile più solitario dell’isola, che guarda verso l’Egeo aperto ed è molto frequentato dai nudisti.
D’altro genere le attrattive offerte dall’entroterra. Ad Antimahia, nel centro dell’isola e a un paio di chilometri dall’aeroporto, un bellissimo mulino restaurato racconta come i contadini dell’Egeo, per secoli, siano stati capaci di sfruttare la forza del vento. Poco più a sud, in vista di Kardamena e delle sue brutture edilizie, si alza un bellissimo kastro voluto dai Veneziani. Sulla strada principale, fra Tingaki e Antimahia, meritano una sosta le cantine (la più nota è la Hatzimihàlis) che producono il profumato vino bianco locale.
E poi, come tutte le isole greche, anche Kos ha la sua piccola ma vera montagna: si chiama Dikeos, si lascia osservare da buona parte dell’isola ed è coronata da una chiesetta ortodossa costruita su uno spuntone roccioso a 825 metri di quota. Il sentiero che la raggiunge inizia da Zià, villaggio di montagna ormai trasformato in una fila ininterrotta di trattorie, segue per un tratto una strada sterrata (che può senz’altro essere percorsa con una piccola auto a nolo), si fa ripido, sale in un canalone e prosegue per aspri pendii di erba e sassi fino al punto più alto, che offre uno straordinario panorama. Pochi metri più avanti, su uno sperone proteso verso la Turchia, si incontrano un piccolo rifugio, una gigantesca croce e un’enorme bandiera ellenica dipinta con vernice bianca e azzurra sulla roccia. La distanza è brevissima e i tempi ormai sono cambiati: i greci, però, continuano a non amare i loro vicini turchi.
Dalla grande grotta lo sguardo spazia sul mare. Verso l’orizzonte si allunga il promontorio di Emboriòs, alle sue spalle appaiono le alture di Leros. Pendii coperti di erba e di pietre, percorsi da capre al pascolo, scendono verso le case di Masoùri e il mare; di fronte si alza l’isola rocciosa di Tèlendos. Sulle acque increspate dal vento passano le barche dei pescatori, e tra le rocce e il mare sorge una chiesetta bianchissima. Chi ama le discoteche e le vaste spiagge di sabbia non deve venire a Kalymnos; al contrario, chi è in cerca di una Grecia autentica è il benvenuto.
L’isola è stata famosa per secoli grazie ai pescatori di spugne, che è ancora possibile incontrare al lavoro sulle banchine accanto al porto di Pothia. Nella grande grotta, però, in ogni stagione arrivano da ogni parte del mondo turisti che vanno in giro attrezzati con corde, imbracature e moschettoni al posto di maschera e pinne. Da qualche anno, infatti, Kalymnos è diventata una delle mete più frequentate dagli arrampicatori europei, e non solo. Amanti del mare e della montagna convivono bene, e la recente apertura di un aeroporto rimasto in costruzione per vent’anni non sembra aver alterato le cose. «A scoprire queste pareti è stato il romano Andrea Di Bari» racconta Aris Theodoropoulos, il climber ateniese che ha tracciato molti itinerari su queste rocce descritti anche in una sua guida. «E’ arrivato nell’estate del 1996 in cerca di mare e sole, si è accorto che il calcare è straordinariamente solido, è tornato e ha chiodato le prime vie. A diffondere la notizia, oltre al passaparola tra gli appassionati, è stata la stampa specializzata, e oggi gli itinerari sono un migliaio».
Negli ultimi dieci anni le pareti di Kalymnos sono state affrontate da alcuni degli alpinisti più famosi del mondo, dai francesi Patrick Gabarrou e Catherine Destivelle agli italiani Simone Moro e Manolo Zanolla. Insieme a loro sono giunti a migliaia gli arrampicatori “normali”, spesso con bambini al seguito, che hanno iniziato ad affollare gli alberghi, le camere in affitto e i ristoranti di Masoùri, di Myrtiès e degli altri villaggi ai piedi delle rocce. Anche l’amministrazione locale, dopo le iniziali diffidenze, ha aperto le braccia ai climber attivando due punti informazioni e organizzando raduni e meeting. Dice il bavarese Alex Huber, che ha compiuto straordinarie imprese in Patagonia, sulle Dolomiti, in Karakorum ed è stato più volte indicato da Reinhold Messner come il migliore alpinista del mondo: «Ho arrampicato in tutto il mondo, pochi posti sono così affascinanti». Ma Kalymnos non è fatta solamente di roccia. Aspra e solitaria, più ripida e rocciosa di Kos, l’isola offre ai suoi visitatori poche spiagge (le più belle sono quelle di Akti, di Masoùri, di Vlyhàdia e dell’isolotto di Tèlendos), molti fiordi rocciosi, un’infinità di eremi e santuari arroccati sui fianchi delle montagne. Mentre i fedeli locali visitano il bellissimo monastero di Aghios Savvas, a picco sulla città e sul porto di Pothia, gli escursionisti seguono il ripido sentiero che sale ai 725 metri del Profìtis Ilìas, la cima più alta, dove una chiesa bianca offre uno straordinario panorama sul Dodecanneso e la costa turca, o prendono il comodo viottolo a mezza costa che inizia dalla spiaggia di Kantoùni e raggiunge con modesti saliscendi l’eremo di Aghia Fotini, ai piedi di un’alta parete di roccia. Gli amanti del più limpido mare di scoglio restano a bocca aperta davanti alle acque cristalline di Embòrios, dove la strada che inizia da Masoùri si conclude, o affacciandosi sull’impressionante fiordo roccioso di Vathy. Chi ama la storia dell’uomo, ricchissima come in tutte le isole greche, non deve invece mancare il bizzarro museo del mare realizzato da una ricca famiglia di Vlyhàdia, la vecchia casa trasformata in museo sulla strada per Aghios Savvas, e soprattutto le rovine del kastro, il fortilizio veneziano costruito al centro dell’isola, che si raggiunge per un breve ma ripido sentiero da Hòrio. Ruderi, chiesette restaurate, panorami sulle montagne e sul mare sono l’ultimo tocco a un quadro straordinario.
Benvenuti a Nisyros, la Stromboli dell’Egeo. Anche se meno ripida e aguzza della sorella eoliana, l’unica isola vulcanica del Dodecanneso mostra con chiarezza la propria origine a chi la osserva dalle alture di Kos o dal piccolo traghetto che fa la spola tra Kardamena e Mandràki. Selvaggia, spettacolare e solitaria, quest’isoletta dove vivono meno di mille persone è stata percorsa per l’ultima volta dalla lava nell’ormai lontano 1422: ciò spiega perché i suoi scuri pendii, che culminano nei 698 metri del Profìtis Ilìas (omonimo del monte principale di Kalymnos), siano oggi in buona parte occupati da oliveti e piccoli campi coltivati e percorsi da un’antica rete di mulattiere e viottoli. Nel cuore dell’isola, invece, il cratere centrale offre l’incontro con un paesaggio aspro e ribollente, ancora ricco di fumarole, di crepacci, di colorati cristalli di zolfo. Nel capoluogo Mandràki si passeggia tra vicoli, piazze, spiaggette sassose sulle quali il mare batte con forza anche nel pieno dell’estate; un viottolo pianeggiante raggiunge quella di Hohlakà, dove la forza delle onde rende spesso problematico fare il bagno. Una serie di ripide scalinate porta al monastero della Panagìa Spiliàni, la Madonna della Grotta circondata dalle mura in parte crollate del castello, dove i fedeli ortodossi fanno la fila per entrare nella chiesetta scavata nella viva roccia; il terrazzo dell’eremo, soprattutto all’alba e al tramonto, offre una vista straordinaria sul paese. L’unica vera strada di Nisyros si stacca verso est da Mandràki, costeggia le insenature della costa per toccare il bel porticciolo di Pali e prosegue passando sulla sponda orientale, priva di case e paesi, fino alla bella spiaggia di Lies. Ancora più bella quella di Pahia Ammos, raggiungibile in venti minuti di cammino per un sentiero a mezza costa che taglia ripidi pendii di pomice.
Prima di Pali si incontra la deviazione per il vulcano che sale a zigzag tra gli olivi, lascia a destra il villaggio di Emboriòs e poi scende verso la caldera. Una diramazione sulla sinistra porta in pochi chilometri a Nikea, il più bello tra i villaggi montani di Nisyros, che regala frescura e vento tutto l’anno e uno straordinario colpo d’occhio dall’alto sulla cavità vulcanica. Dal posteggio sul fondo della caldera un sentiero conduce allo Stefàni, il cratere più grande e visitato dell’isola. In basso non c’è un percorso obbligato, ed è bene tenere d’occhio i bambini quando si passa accanto alle numerose fumarole o ci si inerpica verso le spettacolari incrostazioni di zolfo accumulatesi negli anni accanto alle bocche più attive. Dal piccolo bar accanto al posteggio un altro viottolo porta al grande e al piccolo Polyvotis, due spettacolari crateri molto meno frequentati dello Stefàni; alcuni sentieri non segnati sulle lave permettono inoltre di avvicinarsi (sempre con un po’ di attenzione) alle altre bocche del vulcano, oggi nove in tutto.
La maggioranza dei visitatori estivi si limita a trascorrere poche ore a Nisyros, utilizzando i traghetti che partono al mattino da Kos, sciamando nei crateri a mezzogiorno e tornando indietro al tramonto: ciò fa sì che, nelle prime ore della giornata e nel tardo pomeriggio, si possa ammirare lo spettacolo del vulcano senza folla. Consigliamo senz’altro a chi ne ha il tempo di fermarsi almeno per una notte sull’isola, in modo da scoprire il volto migliore e più vero di Nisyros.
La primavera e l’autunno, invece, sono le stagioni migliori per partire alla scoperta dei suggestivi sentieri segnati che percorrono l’isola in lungo e in largo: l’itinerario più bello, che inizia da Mandraki, sale alla vetta del Profìtis Ilìas e ridiscende per un tratto fino nella caldera del vulcano attraversando uno stretto canyon roccioso. E quando non c’è nessuno, sembra di essere fuori dal mondo.

PleinAir 416 – Marzo 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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