Isola di natura

Piante e animali rari da osservare, montagne da scalare, sentieri che attraversano paesaggi dal fascino avventuroso: perfettamente attrezzati per le escursioni e le visite turistiche, i parchi del Borneo malese tutelano ambienti di eccezionale bellezza e una biodiversità fra le più preziose del pianeta.

Indice dell'itinerario

E’ una terra misteriosa e affascinante, dove la natura incanta per la sua prorompente bellezza. Ma quando pensiamo alla Malesia e al Borneo la fantasia ci porta per prima cosa ai racconti di Emilio Salgari, alle avventure di Sandokan e dei suoi Tigrotti in lotta per riconquistare la loro terra colonizzata dagli inglesi, o alle vicissitudini di Lord Jim, il marinaio creato dalla penna di Joseph Conrad. A differenza di Salgari, che ambientava i suoi romanzi in mondi esotici visitati solo con l’immaginazione, Conrad approdò nel Borneo nell’agosto del 1887 e vi rimase fino al gennaio dell’anno successivo: quanto bastava per rimanere estasiato da quel lembo dell’Asia sud-orientale tappezzato di antiche foreste pluviali, abitate da animali singolari e da una miriade di uccelli dalle piume variopinte.
Nonostante sia passato oltre un secolo, da quei tempi poco è cambiato. Adagiata tra la penisola malese e l’arcipelago indonesiano, la terza isola del mondo dopo la Groenlandia e la Nuova Guinea resta un paradiso per gli amanti della natura, le cui particolarità possono essere descritte solo facendo ricorso ai superlativi.

Un condominio nella foresta
Al centro del Borneo corre un’alta catena montuosa che funge da spartiacque: il versante settentrionale appartiene politicamente alla Malesia (con la sola eccezione del piccolo sultanato del Brunei), mentre quello meridionale, di più ampia estensione, fa parte del territorio dell’Indonesia.
Questa suddivisione geografica è di per sé un motivo di curiosità, ma da queste parti l’eccezione sembra essere la norma. Prendiamo ad esempio la Koompassia excelsa o tualang, uno degli alberi più maestosi del pianeta che può superare gli 80 metri di altezza, oppure la rafflesia, una pianta parassita piuttosto diffusa nel Sud-Est asiatico: vanta il fiore più grande del mondo, che in alcune specie può raggiungere un metro di diametro e ben 10 chili di peso. A paragone, sono davvero un nonnulla i soli 20 grammi dello scoiattolo pigmeo! Le incontaminate foreste che celano questi tesori della flora e della fauna sono più accessibili di quanto si potrebbe immaginare. E’ sufficiente infatti un’ora e mezzo di volo dai grattacieli della capitale della Malesia, Kuala Lumpur, per arrivare a Kuching, capoluogo del Sarawak, uno dei tredici stati della federazione malaysiana. All’epoca delle vicende di Mompracem, in questa piacevole cittadina affacciata sulla riva meridionale del Sungai Sarawak si stabilì James Brooke – non tutti gli estimatori di Salgari sanno che si trattava di un personaggio realmente esistito – allo scopo di combattere la resistenza della popolazione nei confronti dei britannici e di altri signorotti locali. Fu però suo nipote Charles Brooke, il successivo rajan bianco, a chiamare la città Kuching, che in malese significa gatto. Secondo alcuni l’origine del nome sarebbe legata a una pianta dai frutti che ricordano gli occhi del felino, mentre per altri sarebbe da attribuire all’abbondanza di questi flessuosi animali. Il vivace mercato domenicale allestito lungo la Jalan Satok offre una piacevole passeggiata lungofiume e l’occasione di visitare alcuni fra i più interessanti musei dell’intera Asia, come il Sarawak Museum.
La città è la base di partenza per la scoperta del Sarawak, con le sue bellezze naturali e gli insediamenti tradizionali abbracciati dalla foresta dove vivono i Dayak, discendenti di antichi cacciatori di teste. L’odierno turista, comunque, non abbia timore: la pratica di decapitare i nemici è scomparsa da lungo tempo e l’accoglienza nei villaggi della giungla è improntata alla massima gentilezza. Fra quelli più caratteristici si può visitare Nanga Kesit, un piccolo abitato posto ad oriente di Kuching in direzione del parco di Batang Ai, che si raggiunge in mezza giornata di viaggio percorrendo la rotabile fino a Lemanak Jetty e da qui proseguendo in canoa sulle acque limacciose dell’omonimo fiume. Il villaggio è composto da diverse abitazioni su palafitte in legno e bambù, accessibili grazie a una scala ottenuta intagliando il tronco in un albero: si tratta delle cosiddette case lunghe, che misurano diverse decine di metri e comprendono un lungo ballatoio dove si fanno essiccare le piante e si effettua la battitura dei cereali. Nella foresta, poco lontano, a vegliare e a proteggere i luoghi e chi li abita si trovano alcune statue di legno scolpite a mano, dette penjaga. Purché annunciato, il visitatore viene accolto con cordialità ed è possibile pernottare nelle long-house.
Legata una lunga fusciacca in vita e indossati i monili d’argento, le collane e il copricapo rituale ornato di penne, il capo del villaggio dà il benvenuto agli ospiti in un’ampia stanza comune. E’ un uomo anziano, dall’età indefinibile, ma ancora forte, magro e scattante; il dorso e le braccia sono tatuati con motivi stilizzati, i lobi mostrano grossi fori per gli orecchini. E’ una figura davvero speciale, che non ignora di vivere all’inizio del terzo millennio ma è il custode di una sapienza millenaria, sa come cacciare con la cerbottana, conosce i segreti della foresta e i momenti più propizi per coltivare il riso. Dopo aver offerto ai presenti un bicchiere di tuak, il vino ricavato appunto dal riso, dà inizio alle danze rituali alle quali si uniranno le donne, avvolte in tradizionali abiti colorati dai quali pendono tintinnanti dischetti di metallo. E’ un ballo semplice e armonioso, reso ancora più coinvolgente dal ritmico e sonoro incalzare dei tamburi che lo accompagnano. Più tardi, con il sopraggiungere della notte, la musica e le danze lasciano il posto ai rumori della foresta, alle grida delle scimmie, allo stridulo verso della civetta, al gracidio delle rane, fino al canto del gallo che annuncia un nuovo giorno.

Facili avventure
La giungla è in continuo fermento, sembra come ribollire tra le brume regalando scenari incredibili: un patrimonio inestimabile, oggi in parte tutelato. Nel solo Borneo malese si contano una quindicina di aree protette, alcune remote, altre facilmente raggiungibili e dotate di valide strutture ricettive. Il parco nazionale di Gunung Mulu, il più vasto e celebre del Sarawak, è accessibile da Mulu, una località servita da più voli giornalieri della Malaysia Airlines con partenza da Miri, Marundi e Limbang. L’area protetta, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, si stende su circa 530 chilometri quadrati e comprende ben otto tipi di foresta dove sono state identificate migliaia di piante, più di centocinquanta specie di orchidee e una decina di nepenthes, le piante carnivore. Queste ultime allignano soprattutto in torbiere acide o su rocce spoglie, dunque in ambienti poveri di elementi nutritivi; alcune varietà, facilmente individuabili lungo i sentieri del parco, presentano una sorta di bicchierino atto ad intrappolare e a digerire gli insetti. A Gunung Mulu sono state inoltre catalogate oltre settantacinque specie di mammiferi, centinaia di farfalle e duecentosettantacinque di uccelli.Il momento migliore per fotografare gli animali è sicuramente il mattino presto, quando anche nelle vicinanze dei lodge si possono avvistare lo scoiattolo pigmeo e alcuni volatili, tra i quali il bulbul e, più difficilmente, il falchetto del Borneo, ritenuto il più piccolo rapace del mondo. Anche di sera lo spettacolo è garantito: basta recarsi all’imbocco della Deer Cave, un’enorme caverna utilizzata dall’uomo in epoche ormai lontane come cimitero, dove hanno trovato ricovero milioni di pipistrelli pronti a prendere il volo all’imbrunire. Poco distante c’è la Lang’s Cave, ricca di spettacolari formazioni rocciose dalle sagome bizzarre esaltate dall’illuminazione artificiale.
La scoperta del parco è facilitata da una buona rete di sentieri, in parte dotati di passerelle sopraelevate o di gradini per agevolare il cammino in punti che potrebbero diventare particolarmente scivolosi durante gli acquazzoni. Alcuni percorsi sono alla portata di tutti, anche dei bambini, mentre altri richiedono maggior allenamento e sono riservati ad escursionisti più preparati: l’ascensione alla vetta del Gunung Mulu, ad esempio, impegna quattro giorni di cammino, mentre ce ne vogliono tre per la salita ai pinnacoli, singolari lame di calcare alte una cinquantina di metri e circondate dal verde della vegetazione.

Il tetto del Borneo
Nella regione del Sabah una delle mete più ambite dai naturalisti e dagli appassionati di trekking è invece il Kinabalu, nell’omonimo parco. Con i suoi 4.101 metri di altezza, la montagna sacra agli antenati degli indigeni Dusun (oggi chiamati Kadazan) è la cima più elevata tra la Nuova Guinea e l’Himalaya. Si presenta come uno sperone roccioso di granito, in balìa della foresta e delle nebbie che spesso avvolgono il massiccio. Un’antica leggenda narra che l’imperatore della Cina ordinò ai suoi tre figli di recuperare una favolosa perla custodita su questo monte: due di loro fallirono l’impresa e solo il terzo ebbe successo, ma fu sorpreso dal drago che sorvegliava il sito. Riuscì però a nascondersi nella foresta, mentre il terribile mostro inseguì gli uomini al servizio dell’imperatore prima di trovare la morte nelle acque del mare. Nella giungla il principe conobbe una fanciulla e la sposò, ma dopo qualche anno decise di tornare dal padre. Non avendo più sue notizie, la consorte disperata cercò di raggiungere la vetta della montagna per chiedere aiuto agli dèi, ma morì sopraffatta dalla fatica e dal dolore. In memoria del suo sacrificio venne coniato il nome Kinabalu unendo le parole Kina, ovvero Cina, e balu, vedova.
Il picco più alto, denominato Low’s Peak, offre invece lo spunto per un curioso gioco di parole, visto che in inglese low significa basso. Ma il riferimento è a Hugh Low, il funzionario britannico che nel 1851 ne raggiunse la cima in quattro giorni. Le difficoltà maggiori non furono legate alla rocciosa dorsale finale bensì all’attraversamento della foresta, a quell’epoca priva di sentieri, per arrivare alla base della montagna. Oggi la salita a Low’s Peak è diventata una classica, facilitata da ampi percorsi spesso dotati di gradini, tettoie per ripararsi dalla pioggia, panchine e corde fisse che agevolano il cammino sulle rocce del tratto finale. La scalata dal Timpohon Gate (1.866 m) alla sommità richiede due giorni: dal quartier generale del parco, dove bisogna registrarsi e prenotare una guida, al rifugio Laban Rata (3.272 m), posto circa a metà dei 13 chilometri del percorso, si impiegano cinque ore di cammino, alle quali se ne aggiungono altre quattro o cinque per toccare la cima. C’è però chi necessita di molto meno, come il giovane atleta spagnolo Kilian Jornet Burgada che detiene il record di velocità nel salire e ridiscendere dal picco, appena due ore e 39 minuti. Il primato è stato conseguito nell’ambito della Mount Kinabalu Climbathon Race, una gara ormai classica – l’estate prossima si terrà la ventitreesima edizione – alla quale partecipano atleti di tutto il mondo, anche italiani (nel 2006 Fulvio Dapit è arrivato terzo). Il tracciato, sempre ben segnalato, non presenta difficoltà tecniche ma non va sottovalutato sia per l’altezza, sia per l’impegno complessivo: ogni anno infatti quest’impresa richiama nel Borneo migliaia di escursionisti, ma meno della metà riescono a raggiungere la vetta, anche per problemi di acclimatazione.
Naturalmente ci si può accontentare di itinerari che richiedono un impegno più modesto ma non per questo sono meno affascinanti, andando alla scoperta dei tesori della foresta pluviale. Nel parco, che copre una superficie di oltre 750 chilometri quadrati, crescono oltre un migliaio di specie di orchidee, centinaia di piante endemiche, piante insettivore e la rafflesia, simbolo dell’area protetta. Lungo i sentieri potrete inoltre avvistare lo scoiattolo di Prevost, le tupaie e un gran numero di uccelli, anche endemici. Per godere di una particolare vista della foresta dall’alto bisogna invece recarsi a Poring Hot Springs, a una quarantina di chilometri dall’ufficio informazioni del parco. La zona è conosciuta per le terme di acqua sulfurea e per il canopy walkway, un emozionante camminamento fra gli alberi su passerelle sospese ad oltre 30 metri d’altezza: è un percorso assolutamente privo di rischi che conviene effettuare al mattino presto, quando è più probabile avvistare gli animali.
Un’esperienza da non perdere, affascinante anche se piuttosto turistica, è la visita del celebre Sepilok Orang-Utan Rehabilitation Centre che si trova nell’entroterra a una ventina di chilometri da Sandakan, cittadina adagiata sulla costa nord-orientale dello stato del Sabah. Dall’inizio degli anni ’60 gli animali orfani o feriti vengono condotti in quest’area protetta, articolata su una superficie di oltre 4.000 ettari. Due volte al giorno i responsabili del parco servono banane e frutta agli uomini rossi , uniche scimmie antropomorfe al di fuori dell’Africa.
Infine, prima di lasciare il Borneo vi consigliamo la visita del parco marino di Tunku Abdul Rahman, un arcipelago di sole cinque isole adagiate poche miglia al largo di Kota Kinabalu, il capoluogo del Sabah. E’ un piccolo paradiso per rilassarsi, praticare lo snorkeling e le immersioni tra i coralli, i pesci farfalla, i pesci pagliaccio e altre specie dai colori sgargianti. E su questi fazzoletti di terra coperti dalla foresta, in bilico tra l’azzurro del mare e il blu del cielo, è facile sentirsi protagonisti di un’avventura come quelle di Sandokan.

PleinAir 439 – Febbraio 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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