Inverno al sole

Tra le sabbie del Sahara e quelle della costa atlantica, una vacanza fuoristagione che per molti camperisti si trasforma in una lunga primavera da trascorrere al tepore del sud. Un itinerario di 4.000 chilometri per fare la prima, entusiasmante conoscenza con il Marocco: in camper, e con i bambini.

Indice dell'itinerario

Il Marocco è grande. All’incirca una volta e mezzo l’Italia, oppure due volte e mezzo se si conta anche quel luogo a sé che è il Sahara Occidentale, la parte più meridionale del paese. Il Marocco conta spazi infiniti, dove vivono solo trenta milioni di persone, perlopiù arabi e berberi arabizzati. Il Marocco è sorprendentemente vario, come nessun paese del Nordafrica. La costa atlantica offre per centinaia di chilometri lo spettacolo maestoso dell’oceano, la catena dell’Atlante supera i 4.000 metri di altezza con lo Jebel Toubkal, a Merzouga e Mhamid le prime dune del deserto più grande del mondo formano erg in miniatura ma non per questo meno affascinanti.
Il Marocco è vicino, ma anche lontano. Due giorni non bastano dall’Italia per chi scarta l’aereo e vuole percorrere quelle strade con il proprio mezzo e con il proprio autonomo stile di viaggio. Ma vale la pena: anche perché, giunti a destinazione, una rete sorprendente di campeggi offre a chi viaggia in camper la più capillare delle ospitalità, ancora sconosciuta in altri e pur accoglienti paesi vicini come la Tunisia o la Libia.
Oltre ai paesaggi sono le città, la natura e il clima, i sapori a tavola, il costo della vita quanto mai invitante e soprattutto il calore umano tipico di queste zone a comporre il puzzle di un assortito e vincente invito a partire. Per il resto, mai come in questo caso, quella che segue è soltanto una traccia: un itinerario pensato per una prima volta in una terra dalle mille risorse e dai mille contrasti. Il filo di una scoperta che si segue finché il calendario lo permette. Perché a tornare, questo è chiaro, si fa sempre in tempo.

Tradizioni in piazza
Arriviamo ad Algeciras dopo aver percorso, da Roma, 2.500 chilometri attraverso Francia e Spagna. In 40 minuti di traghetto, sfiorando lo Stretto di Gibilterra, si sbarca a Ceuta, ancora in territorio spagnolo. La frontiera è poco distante e, come sempre accade in Africa, decisamente caotica: nessuno ti dice cosa devi fare, nemmeno un cartello, tranne i soliti locali che propongono assistenza a pagamento. Occorre fare due file, una per le persone e una per i veicoli; noi ce la caviamo in un’oretta e sperimentiamo con successo nel non lontano e ben tenuto campeggio di Martil il primo pernottamento in Marocco, ancora sulle sponde mediterranee. Ma puntiamo subito all’oceano, rimandando a un altro viaggio la visita di Tangeri.
In un paesaggio del tutto verdeggiante, passando prima per Tetouan e poi per Larache, scegliamo verso sud la bella laguna di Merdja Zerga presso il paese di Moulay Bousselham. E’ una lama di acqua azzurra riparata da una grande duna costiera, sulla sponda della quale si estendono i prati di alcuni piacevoli campeggi. Chi vuole divertirsi con un po’ di birdwatching deve cercare il simpatico e preparato Hassan Dalil, sempre in giro a portare in laguna con la sua barchetta i turisti stranieri che contatta sul posto oppure al Cafè Milano in paese. D’inverno qui non è difficile avvistare autentiche rarità come il gabbiano roseo e la sterna maggiore, per non dire dei numerosi fenicotteri.
Non ci vuole molto, andando più a sud – c’è anche l’autostrada! – per raggiungere prima Rabat e poi Casablanca. La capitale è una città in gran parte moderna ma con una medina interessante, la torre di Hassan e il vicino mausoleo di Mohammed V, le rovine della necropoli di Chellah; in periferia si estende lo zoo nazionale, piuttosto malmesso anche se ricco di animali come l’aquila del Bonelli e il leone berbero. Quanto a Casablanca (in realtà tre volte più popolosa di Rabat), a parte il traffico davvero caotico si fa ricordare soprattutto per la splendida e gigantesca moschea di Hassan II: il massiccio minareto si eleva sul lungomare per 210 metri di altezza, un record assoluto, ma a deliziare il visitatore sono in special modo gli interni riccamente decorati, i preziosi materiali, geometrie e gusto architettonico (di scuola francese, la costruzione è stata eretta nel 1993). Nelle vie del centro sono invece deludenti gli edifici liberty segnalati dalle guide, poco significativi oppure in rovina.Tra enormi pianure verdeggianti e i primi scorci sull’Atlante innevato, con i venditori che lungo la strada offrono asparagi e galline, un lungo trasferimento ci conduce alla porta del Marocco vero, o almeno quello più caro ai viaggiatori: Marrakech. Il campeggio si trova una decina di chilometri prima del centro, lungo la strada di accesso appena dopo una stazione di servizio (fare attenzione, è facile superarlo). In città, dove si sistema il camper senza problemi lungo la circonvallazione, la grande piazza Djemaa el Fna è all’altezza della sua fama: la occupa una folla di incantatori di serpenti la cui musica assordante fa da sottofondo, venditori d’acqua, portatori di macachi, giocolieri, danzatrici del ventre, cantastorie, donne che tatuano l’henné e altra varia umanità. Assieme alle file di carretti che vendono frutta secca, datteri e succo d’arancia e alle carrozze che portano in giro i tanti turisti, è la compagnia stabile di uno spettacolo quotidiano che non ci si stancherebbe mai di guardare, certo oggi ad uso prevalentemente turistico ma irrimediabilmente perduto in Occidente. Una vera sorpresa la offrono i souk appena dietro alla piazza, enormi, rifornitissimi e con i commercianti che pressano i potenziali acquirenti assai meno del previsto. E poi il cibo: sedetevi senza remore a un tavolo tra i banchi di questo perenne mercato e ordinate una deliziosa tajine di montone e verdure. A questo punto sì, il viaggio può dirsi davvero iniziato.

Natura atlantica
Torniamo sulla costa, e quello di Essaouira è il più romantico degli oceani. Il grande arco della spiaggia abbraccia le onde alzate dall’aliseo tra le isole di Mogador, riserva naturale dove in estate nidifica il raro falco della regina, e il porto gremito di barchette turchesi e pescherecci. Parcheggiato il camper sul lungomare andiamo a curiosare nell’animato viavai di fine giornata, tutto un passarsi cassette di triglie e aguglie, sacchi di granchi giganti, pescioni mai visti nei nostri lidi mediterranei. E’ un’esperienza anche per il palato, perché nei chioschi vicini basta scegliersi la cena a vista e farsela cuocere alla griglia, sapori d’alto bordo a prezzi low cost. Oltre gli scenografici bastioni percorsi da un cammino di ronda, dov’è disposta una lunga fila di cannoni, il centro storico offre piacevoli passeggiate tra le viuzze e i laboratori artigianali. Non stupisce apprendere che qui si sono stabiliti molti occidentali, attratti dalla dolce vita e dal clima di questa incantevole cittadina.
Anche verso Agadir cantano le sirene del Sud. La strada corre a ridosso della costa solo nell’ultimo tratto, a partire da Tamri dove un nuovo grande campeggio offre finalmente standard occidentali di qualità e servizi. Doppiato il capo di Rhir s’incontrano piccoli centri noti fra i turisti come Banana Village, per via dei bananeti presenti: approfittate dei soliti venditori ambulanti, le piccole banane locali sono buonissime. Ancora pochi chilometri ed ecco le grandi spiagge nei pressi di Agadir, il posto giusto dove fermarsi a fare il bagno e inviare sms da invidia a parenti e amici rimasti a svernare a casa. La sabbia è finissima e il rumore incessante delle onde quasi copre la voce. Pochi chilometri dopo, la città invece non offre praticamente alcunché se non strade moderne – Agadir è stata ricostruita dopo un devastante terremoto nel 1960 – e negozi al servizio della nutrita comunità di europei che si è trasferita qui. A misurare la portata del fenomeno è sufficiente anche una notte al centrale campeggio, dove lo spazio per infilare il nostro camper va elemosinato tra centinaia di mezzi assiepati uno accanto all’altro, in maggioranza pensionati italiani e francesi; il proprietario della struttura ci dice che i soggiorni durano tre o quattro mesi e le prenotazioni si effettuano un anno per l’altro.
Delizie del clima a parte, l’offerta turistica locale è concentrata su due mete: la cosiddetta Medina di Agadir e il parco nazionale di Souss Massa. Nonostante il nome ingannevole, la prima è in pratica un centro commerciale con botteghe, artigiani, piazzette e portici realizzato con materiali e tecniche tradizionali da un architetto italiano nato a Rabat. Di ben altra qualità sarebbe il richiamo del parco, il più famoso tra quelli marocchini, se la fruibilità turistica fosse all’altezza delle sue straordinarie risorse: gli oltre 30.000 ettari comprendono le foci dei due fiumi Souss e Massa nonché i territori adiacenti, compresi sette villaggi. Il settore settentrionale si può visitare a partire da Agadir, inoltrandosi a piedi nella zona palustre delle foci del Souss lungo un sentiero che parte alla fine della strada per la direzione del parco (a Inezgane, subito a sud di Agadir, dopo il palazzo reale svoltare a destra seguendo le indicazioni per il Golf des Dunes). Tra salicornie e tamerici si avvistano con facilità fenicotteri, cavalieri d’Italia, pittime e aironi. Decisamente spettacolare è invece il settore meridionale del parco, dov’è meglio recarsi con una guida: noi ci siamo rivolti con soddisfazione a Lahsen Ahuilat Ben M’Bark. Subito dietro le povere case del villaggio di Sidi r’Bat – dove potreste chiedere direttamente di Lahsen, ma è sconsigliabile giungerci in camper – si apre l’incanto dell’estuario del Massa, sbarrato nella sua corsa verso l’oceano da un cordone sabbioso; costeggiando a piedi la laguna si avvista una ricca avifauna tra cui spatole, cormorani, anatre, ma la star indiscussa del parco è l’ibis eremita, presente in circa 400 esemplari. Osservarlo non è facile, se si eccettua il periodo primaverile quando si avvicina ai villaggi per razzolare nei campi assieme a capre e galline; per fare il nido, quest’uccello dal piumaggio nero e con lunghe zampe da trampoliere sceglie curiosamente la roccia, per l’esattezza le bellissime falesie erose dal vento che fronteggiano l’oceano in questo tratto di parco (le più belle sono a sud di Massa), le stesse dove alcune famiglie di pescatori vivono entro dimore ricavate in grotte e anfratti. Luoghi e storie di un Marocco straordinario e inaspettato.

Fortezze tra i monti
Da Agadir ci spostiamo verso le montagne, passando per Taroudant e le sue belle e antiche mura. La strada è lunga, ma il paesaggio vario e affascinante: a un valico, che segna quota 1.800, incontriamo ulivi e palme. E’ il tramonto quando raggiungiamo la fiabesca casbah di Ait-Benhaddou, accanto al fiume. Il saperla in parte ricostruita come location di numerosi film, da Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli a Il gladiatore di Ridley Scott, non ne sminuisce il gran fascino; l’intero insediamento di case e torri costruite in paglia, legno e fango è oggi sotto la tutela dell’Unesco (ticket all’ingresso).
Pochi chilometri ci separano da Ouarzazate, il capoluogo posto alla confluenza delle valli dell’Atlante, del Draa e del Dadès. Nella piana desolata all’ingresso della città visitiamo gli Atlas Studios, dov’è divertente aggirarsi fra i set di architetture egizie, forti e templi tibetani. In centro merita invece la bella casbah di Taourirt, con un dedalo di stanze e torrette all’interno, e intorno le abitazioni in fango della vecchia medina.
Imbocchiamo la strada per la valle del Draa, che sale a scavalcare impressionanti montagne pietrose e senza un filo di vegetazione. Le rocce hanno sfumature viola e verdi e gli strati geologici a nudo disegnano forme e geometrie inconsuete. Lungo la via i venditori di lucertoloni e di datteri (non acquistare i primi scoraggia questa triste forma di commercio, che depaupera le risorse naturali) fanno la posta ai turisti; poi, oltre il valico, si scende verso il verdeggiante fondovalle. E’ un susseguirsi continuo di palmeti, con decine di casbah ridotte a poche rovine o talvolta integre, abitate o desolatamente vuote, e il fiume ricco d’acqua che serpeggia accanto: un miraggio lungo un centinaio di chilometri, fino a Zagora dove decidiamo a malincuore per il dietrofront. Di nuovo a Ouarzazate, è il turno della zona del Dadès. Così ampia che non sembra neppure una valle, è una spianata pietrosa con l’Atlante su un fianco e sull’altro lo Jebel Sarhro. A El-Kelaa M’Gouna si sosta per visitare un gruppo di grandi rocce in bilico accanto alla statale, accompagnati da una gioiosa brigata di bambini, e fare acquisti presso alcuni rivenditori di magnifici fossili e minerali. Al bivio di Boumalne imbocchiamo verso nord la via per le gole del Dadès, dove s’incontrano altre antiche cittadelle e formazioni rocciose davvero bizzarre; una delusione, invece, le gole vere e proprie dove accanto allo strapiombo la strada si alza in una serie di tornanti. Conviene tornare sui propri passi fino alla statale e riprenderla verso est: a Tinerhir c’è il bivio per le gole del Todra, queste sì assolutamente spettacolari, dove le pareti di roccia si stringono ai lati del camper per un lungo e gelido tratto. E finalmente è il turno del deserto, di quell’infinita distesa di sabbia che anche in Marocco forma le splendide dune del Sahara, qui ai suoi estremi confini occidentali. Per raggiungere il piccolo erg di Chebbi – l’unico di tutto il paese insieme a quello di Chigaga, a sud di Zagora – bisogna raggiungere Erfoud, quindi Rissani e infine il villaggio di Merzouga. Alcuni campeggi (noi ci troviamo bene al Sahara) permettono di sistemare il camper proprio a ridosso delle dune – la più alta raggiunge i 100 metri – e passeggiare su e giù per queste montagne russe che formano un ambiente assolutamente unico.

Incontri ravvicinati
E’ giunto il momento di puntare di nuovo la prua del camper verso nord. Dopo Er-Rachidia le gole del Ziz si fanno ammirare per le alte pareti stratificate; superate Midelt e Boulojoul s’inizia a salire sulle montagne del Medio Atlante, e il paesaggio s’imbianca di neve. A un valico si toccano i 2.100 metri, restando comunque sempre al di sopra dei 1.500.
Subito prima di Azrou ecco la stupenda foresta di cedri del parco nazionale di Ifrane. Sulla strada per l’omonima cittadina – costruita dai francesi negli anni Trenta, ha case dai tetti spioventi in perfetto stile alpino – s’incontrano a un bivio le indicazioni per un albero secolare, il Cèdre Gouraud. E’ lì che, schivando i rivenditori di noccioline (il luogo è assai turistico) e inoltrandosi a piedi nel bosco, tra le monumentali conifere seppellite dalla neve si vive un’emozione particolare per un europeo, cioè l’incontro con autentiche scimmie selvatiche. Dopo qualche decina di minuti lungo il sentiero, gli animali scendono dagli alberi e si avvicinano incuriositi: si tratta di macachi di Barberia, le uniche scimmie che vivono allo stato selvatico in Nordafrica. Oggi questa è una specie minacciata in particolare dalla distruzione del suo habitat, appunto la foresta di cedri, e ne restano meno di 15.000 esemplari, esclusivamente in Marocco e in una ristretta area dell’Algeria, oltre al piccolo nucleo che vive a Gibilterra.
Dopo Ifrane la statale N8 conduce a Fès, la più antica e raffinata delle città marocchine. Una lunga cinta merlata su cui scendono ad appollaiarsi le cicogne racchiude l’enorme e interessantissima medina di Fès el Bali, ricca di vie strette e tortuose, botteghe artigiane, palazzi decorati con gusto, mederse (le scuole coraniche) e moschee. Lungo le mura corre una circonvallazione, dove si trovano alcuni parcheggi adatti a lasciare il camper: assai comodo è quello presso la porta Bab Bou Jeloud, da cui scendere a piedi lungo le vie principali Talaa Kebira e Talaa Seghira. Qui più che altrove vale la pena di cedere alle insistenti offerte di ragazzi che si propongono come guide: il dedalo di strade della medina è tale che risulta veramente difficile per un forestiero non perdere l’orientamento. Uno dei quartieri più caratteristici è quello delle concerie, famoso per i colori vivaci delle vasche – da ammirare salendo sulla terrazza di uno dei tanti negozi di pellame – utilizzate per la conciatura e la tinta delle pelli ma anche per l’odore penetrante delle sostanze ivi contenute.
A poche decine di chilometri da Fès si trova l’altra e più piccola città imperiale di Meknès dove ci sono la medina e altre moschee, mederse e souk da visitare. Nella fertile pianura a nord della città, un’ultima tappa ci aspetta prima di raggiungere nuovamente Ceuta e il traghetto per il rientro in Europa: fra colline pietrose ammantate di ulivi e macchia mediterranea sorgono le rovine di Volubilis, il sito archeologico più importante del Marocco, avamposto romano in cui vivevano nel periodo di maggior sviluppo circa 20.000 abitanti. Immerse nella campagna solitaria e di modesta estensione, le rovine sono assai interessanti da visitare: splendidi mosaici ancora decorano il pavimento di diverse abitazioni, e le cicogne nidificano sui capitelli del foro. Pare che gli scavi abbiano finora riguardato meno della metà dell’area e che gli archeologi continuino a fare interessanti scoperte: e sarà un altro motivo per ritornare in Marocco.

PleinAir 412 – novembre 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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