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Proteso sull'alto Tirreno come il dirto di una mano, il promontorio di Capo Corso è un piccolo mondo a sé nel panorama e nella storia della Corsica. Lo abbiamo visitato in camper e gustato al meglio grazie alla bassa stagione.

Indice dell'itinerario

Ci accingiamo a visitare il promontorio montuoso di Capo Corso, lasciando Bastia per compiere il periplo a iniziare dalla costa orientale. Per mezzi piuttosto alti come i camper questa scelta ha tra l’altro un motivo di sicurezza: quando infatti saremo arrivati alla sponda occidentale, dove la stretta strada che taglia a mezza costa i dirupi richiede occhio e prudenza, non dovremo stringerci alle rocce che a volte sporgono dal lato a monte. Comincia dunque a far capolino il quadro ambientale dei due volti della penisola. Mentre a est i rilievi si affacciano alla costa dolcemente, creando allo sbocco delle valli qualche modesta zona pianeggiante, a ovest la montagna precipita in acqua con sponde scoscese non facilmente addomesticabili. Per questo sul versante orientale la strada si snoda abbastanza larga e scorrevole a qualche decina di metri sul mare, mentre l’alta costa occidentale è più varia e, nel complesso, più luminosa e pittoresca. Ancora: tutto il Capo Corso è regno dei venti, ma quelli orientali (più rari in estate) apportano un’umidità che ferma a volte le nebbie sul fianco delle alture e accentua la nuvolosità di questo versante.
Più di altre regioni dell’isola, il capo conserva tradizioni e cultura che si legano a rapporti e commerci duraturi con le sponde italiane, come mostrano costumi e parlata. D’altra parte nel chiuso ambiente isolano, essenzialmente montanaro e pastorale, gli abili pescatori, marinai e commercianti di Capo Corso erano i soli capaci di intessere fruttuosi rapporti con la Penisola, mentre i contadini adattavano alla coltivazione le parti più scoscese con terrazzamenti simili a quelli usati in Liguria. Oggi quelle terrazze sono quasi scomparse e specie nell’interno s’incontrano villaggi irrimediabilmente spopolati.
Nei primi chilometri dopo Bastia è tutto un susseguirsi di abitati serrati alla breve cimosa litoranea, a volte di un certo carattere, come Miomo, dalle torri di vedetta genovesi. Parcheggiare è problematico fino a Erbalunga, unico centro che sia riuscito a dotarsi di una vera e capace area di sosta libera. Ma chi intende effettuare l’escursione ai 1307 metri del monte Stello, dovrà deviare due chilometri prima verso Menasina, per poi fermarsi al villaggio di Pozzo. Erbalunga, frequentato in passato dagli artisti che ne apprezzavano gli angoli suggestivi, merita la sosta. Accanto al piccolo porto e all’antica torre corrosa dal tempo le case poggiano su rocce scure aggredite dal mare. Più oltre la marina di Sisco, deserta fuori stagione, fu qualche secolo fa lo scalo di una piccola industria che includeva tessiture e forge. Sisco si trova alcuni chilometri nell’interno, e ricalca il modello territoriale comune a tutto il versante: una larga valle nella cui parte alta si situano le varie frazioni separate del paese; giù a mare l’approdo, che poteva anche essere una semplice spiaggia creata dalle alluvioni dotata di depositi per merci e attrezzi.
Più o meno analoghi gli ingredienti territoriali per le altre marine che seguiranno: quella di Pietracorbara (divieto di sosta per i camper), dove si favoleggia sorgesse una volta il paese di Ampuglia, portato via da un maremoto; la marina di Porticciolo, consistente in un vero e proprio villaggio di pescatori dove fino a una trentina d’anni fa un cantierino sfornava piccoli velieri; di Santa Severa, dove sorge oggi un minuscolo porto turistico con ottimo scivolo, collegato al paese di Luri con le sue numerose frazioni perdute nel verde; infine, le poche case della marina di Meria.
Macinaggio è l’ultimo e il più dotato degli approdi dell’est del capo. Si tratta di un vecchio paese di mare che nella sede del vecchio porto ha ricavato un importante bacino diportistico attrezzato con acqua, carburante, scivolo e altro ancora. Prima che turistico fu porto di commercio, nel quale piccoli velieri imbarcavano tra l’altro le botticelle di un moscato del capo, ormai praticamente scomparso. Nella seconda metà del Settecento, durante i tredici anni di indipendenza della Corsica, sebbene priva delle piazzeforti costiere in mano a Genova, Macinaggio visse anche una stagione di porto militare. Il presidente Pasquale Paoli fece partire da qui nel 1767 una spedizione che riuscì a impadronirsi per qualche tempo dell’isola genovese di Capraia.
Da Erbalunga in poi è Macinaggio il primo centro costiero a disporre di magazzini aperti tutto l’anno. Possiede un parcheggio ed è buon punto di partenza per escursioni nei siti deserti del nord del capo: Santa Maria, per esempio, una singolare chiesa romanica con doppia abside che fu in passato meta di pellegrinaggi. Di fronte ad essa le piccole isolette Finocchiarola ospitano una riserva ornitologica. Il sentiero per Santa Maria, che non esclude l’uso della bici, attraversa l’interno per quasi quattro chilometri, ma si può poi continuare lungo le cale della costa. Sul tetto del capo
A monte di Macinaggio saliamo a Tomino, bel villaggio con estesa veduta sulla costa. Delle due torri, una è a rischio di crollo ma la chiesa, di un bel barocchetto ligure senza fronzoli, si direbbe ridipinta da poco. Più impressionante, sempre in alto, la solitudine di Rogliano, il comune dal quale dipende lo stesso Macinaggio e che fu feudo del casato genovese dei da Mare, tra i più influenti del capo. Osservato dal basso, questo paese appare un centro cospicuo, con chiese e palazzetti signorili che confermano la passata opulenza. Ma quando si sale al nucleo principale, dal singolare nome di Bettolacce, si scopre che è poco meno che deserto. Ecco le due chiese del Seicento, sprangate. Ci inoltriamo nel labirinto di scalinatelle e vicoli in cui non abita che il silenzio. Certo, con l’estate torneranno alcuni di quelli che ora vivono lontano, ciò non toglie che questi siano ormai paesi morti. Cosa li distingue dalle tante lottizzazioni turistiche che si convertono fuori stagione in villaggi fantasma? Il fatto che qui puoi immaginare i giorni delle vite che ospitarono: non sono luoghi anonimi ma luoghi di memorie. Salendo più in alto, oltre le frazioni di Olivo e Vignale (meglio lasciare il mezzo), si trovano i ruderi del castello che fu dei da Mare e un antico convento francescano, convertito ad abitazione, con la chiesa in abbandono.
All’estremo nord di Capo Corso la perimetrale D80 non arriva. Bisogna deviare a Ersa per la strada – non larga – che attraverso una valle a lecci con qualche dispersa frazioncina scende ai villaggi di Barcaggio e Tollaro. Anche fuori stagione alcuni arrivano da Bastia e a Barcaggio trovano aperta la baracca-bar accanto al porticciolo: ma questo paese resta un luogo in capo al mondo, solitario e poetico. Non poteva esserci nome più giusto che Barcaggio per un borgo di pescatori dove, benché fuori stagione, non manca qualche gozzo e le reti sulla banchina. Di fronte, a circa un miglio, l’isola della Giraglia col suo faro da 22 miglia di portata. Il porto ha uno scivolo e una tabella mostra i prezzi dell’ormeggio estivo per le barchette da diporto: gli scafi fino a 5 metri pagano 90.000 lire la settimana.
Le casette del passato sono state restaurate e il borgo non si è dilatato come si vede su certe altre coste dell’isola; insomma si è conservato l’invidiabile posto al quale eravamo in altre occasioni approdati dal mare. Qui facciamo una scoperta: i segnali indicano che le auto non possono sostare nell’abitato, ma il comune ha predisposto presso il mare all’esterno del villaggio un parcheggio sterrato dove a 12.000 lire al giorno possono fermarsi anche i v.r. Con una passeggiata a piedi si raggiunge un’ampia spiaggia. Questa scelta intelligente per un sito risparmiato da ville, alberghi e seconde case, è una conferma del fatto che certi ostracismi nei riguardi del turismo itinerante si devono ai padroni del cemento.
Il villaggio di Tollaro, al quale si arriva sfiorando rocce verdi caratteristiche del capo, è non meno amabile di Barcaggio. Qui invece del porticciolo ci sono un paio di piani inclinati, dove si alano le piccole imbarcazioni in caso di mare cattivo. L’antica torre di vedetta è stata trasformata in abitazione, ma il borgo è nel complesso ben conservato. Lo sterrato vicinissimo alle prime case (dotato di fontanella, e adiacente a una spiaggia di ghiaia) è ancor più ampio di quello di Barcaggio. Comunque non ne abbiamo conferma, avendo trovato chiusa ad Ersa la sede comunale cui volevamo chiedere informazioni.
Ed eccoci “girare l’angolo” per discendere il versante occidentale di Capo Corso. Mentre a est esistono campeggi come quelli di Miomo, Sisco, Santa Severa, Pietracorbara, Macinaggio, qui l’unica struttura del genere si trova presso l’abitato di Centuri, per raggiungere il quale dobbiamo deviare ridiscendendo al livello del mare. E’ un piacevole paese, il maggiore incontrato fin qui. Le sue case, disseminate in varie frazioni come nell’uso di Capo Corso, conservano in genere l’antica copertura grigioverde in lastre di scisto cristallino tratte dai giacimenti del territorio.
Il porto di Centuri ha un’origine singolare: fu costruito nel Settecento da un benefattore che intendeva spingere gli abitanti a sfruttare le pescose acque circostanti. Nell’Ottocento l’approdo venne portato alle attuali condizioni da Napoleone III. Gli effetti si ripercuotono ancor oggi sulla presenza di una redditizia pesca delle aragoste, specialità dei ristoranti del posto.
Il campeggio Isolottu, distante qualche chilometro, ci pare integri molto bene le aree di sosta di Barcaggio e Tollaro, prive di un pozzetto di scarico. A pagamento infatti offre la possibilità ai camper non residenti di vuotare i loro serbatoi. Ma il campeggio di Centuri è da tener presente anche per altri motivi, essendo non solo l’unico esistente sul versante occidentale del Capo, ma anche il solo aperto quasi tutto l’anno dell’intero Capo Corso (chiusura dal 20/12 al 20/1). Dispone inoltre di lavabiancheria a gettone. Riviera dei belvederi
I paesi di Morsiglia, patria di quell’Antonmarchi che seguì Napoleone nell’esilio di Sant’Elena come medico personale, e di Pino, occupano una zona ricca di vegetazione e presentano entrambi svariate torri, a pianta quadrata e di tipo differente da quelle di vedetta e comunicazione a distanza, che sono spesso circolari. Queste torri quadre cinquecentesche che si notano nei paesi del capo appartenevano a notabili che se ne servivano come rifugio nel caso di attacchi dei barbareschi, oppure a funzionari di obbedienza genovese che potevano trovarvi protezione anche nel caso di torbidi. Oggi sono quasi sempre adattate ad abitazioni private, non prive di una loro nobiltà.
Poco prima di Pino, una panoramica strada sale ai quasi 400 metri del passo di Santa Lucia: da qui parte, sulla destra, una pista asfaltata che arriva ai piedi di una torre, usata nei secoli feudali per scopi militari. La leggenda la vorrebbe residenza del filosofo Seneca durante gli otto anni del suo esilio corso. Quanto al panorama sui due versanti e fino alle isole toscane che se ne dovrebbe godere, non siamo in grado di riferirne date le nuvole basse fra le quali scompariva a intermittenza la stessa torre. Al di là del passo la strada si ricollega tra i boschi a Luri e alle sue solitarie frazioni.
Poco oltre Pino scende al mare una stradina che non ha larghezza per due mezzi e porta a un antico convento (minimo spazio di parcheggio) con alcune case. Più ampia e con un bizzarro approdino a S la ciottolosa spiaggia di Giottani, dove c’è spazio per sostare. Microscopica la marina di Canelle, con un piccolo ristorante estivo e uno scivolo. Luoghi, insomma, da gommoni in passeggiata, per i quali con mare buono tutta la costa occidentale è prodiga di aspri ambienti di scoglio.
Da qui ci portiamo di nuovo in quota. Per salire su a Canari ci sono due strade. Quella nei pressi di Mariana lasciatela perdere, l’abbiamo sperimentata! Prendete invece quella che sale tre chilometri più avanti, dopo la marina di Canelle: è un po’ più larga e di fondo buono, ma anch’essa poco raccomandabile a chi soffre di vertigini. Comunque, arrivati nell’abitato, al bivio prendete a destra salendo fino al piazzale del Comune, dove vi convincerete di essere arrivati in una specie di paese pensile. C’è tutto lo spazio per sostare e una torre civica bianca campeggia al margine di un immenso belvedere marino. Duecento metri lontano si trova l’unica chiesa pisana di Capo Corso, di un romanico piuttosto tardo e stilizzato.
Ripresa la litoranea, appare un cospicuo edificio abbandonato, di aspetto vagamente inquietante: è una miniera che fu chiusa negli anni Sessanta. Più avanti la marina d’Albo, con l’immancabile torre di vedetta, presenta un’ampia spiaggia e un villaggio semidisabitato d’inverno con larghi spazi di sosta. Da qui si incunea una strada che sale agli sperduti villaggi di Ogliastro e Olcani. In quest’ultimo borgo la strada termina e parte una pista che taglia il capo per collegarsi con Sisco e quindi con la costa orientale. Può essere una bella escursione a piedi o in mountain bike attraverso luoghi appartati e selvatici.
C’è però, vento permettendo, un’alternativa particolarmente interessante: dal punto più elevato della pista (quota 950 circa) si stacca sulla sinistra un sentiero che permette di raggiungere la cima più alta del capo, i 1324 metri del monte Folicce (opportuno provvedersi in anticipo a Bastia della relativa carta I.G.N. in scala 1:25.000).
Il paese di Nonza è a nostro avviso quello con maggiore personalità di tutto il capo. Aggrappato a una sella tra la montagna e un ripido contrafforte a picco sul mare, è accessibile attraverso un’unica porta che conduce a viuzze serpeggianti e vecchie case ricoperte da tetti di scisto. La sella è fronteggiata dalla semplice ma armoniosa facciata della chiesa di Santa Giulia, risalente al tardo Seicento. Per visitare il paese non c’è altra possibilità che parcheggiare lungo la rotabile: ma vale la pena fermarsi anche per raggiungere, sul punto più alto dell’abitato, una torre che (una volta tanto) non si deve ai Genovesi ma a Pasquale Paoli, e ai brevi anni dell’indipendenza corsa sul finire del Settecento. Raccontano i monzesi che durante la resistenza, quando la guarnigione fu costretta alla resa dagli assedianti francesi, questi videro uscire dalla torre un solo difensore, certo Casella, per giunta zoppo: aveva tenuto testa da solo a tanti assalitori azionando con un sistema di fili tutte le armi disponibili.
Un chilometro abbondante a sud di Nonza, dallo slargo accanto a una cappella, parte per un ampio sentiero la passeggiata che scende a un diruto monastero sul mare. Più avanti si sfiora la marina di Negro, piccola foce con un gruppo di case sorvegliate da una torre. Ma siamo ormai agli sgoccioli del nostro periplo che, preso il bivio per Bastia, attraversa i soleggiati appezzamenti da cui nasce uno dei più rispettabili vini corsi: il Patrimonio, che prende il nome dal paese che lo produce.
Prima dell’abitato sostiamo alla “Cave des vignerons” per qualche assaggio e per acquistare alcune bottiglie del robusto rosso così adatto ai formaggi e ai salumi dell’isola. Ci resta ancora da superare uno spartiacque: la strada prende quota fino agli oltre cinquecento metri del passo di Teghime, dall’esteso panorama, per discendere infine verso la città.

PleinAir 323 – giugno 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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