Valle d'Aosta in camper: la valle di Champorcher

Solcata dal torrente Ayasse, che ha profondamente scavato la roccia formando bellissime gole, la valle di Champorcher è una delle meno conosciute del territorio valdostano: una realtà nascosta e preziosa, che oggi investe in un turismo non di massa accogliendo felicemente chi viaggia in camper. E poi non resta che partire alla scoperta di borgate alpine, laghi d'alta quota, antichi ponti in pietra e prodotti del bosco, non ultime le castagne che a fine ottobre sono protagoniste di una grande festa dei sapori.

Indice dell'itinerario

Il viaggiatore frettoloso che entra in Valle d’Aosta, diretto verso i centri turistici più rinomati, difficilmente noterà dall’autostrada il bivio che porta a Champorcher e la sua valle. Questa è la prima valle del versante occidentale per chi arriva da sud, si lasciano infatti scoprire con gioia solo da chi sa fermarsi e godere della pace dei luoghi. Usciti al casello di Pont-Saint-Martin e proseguendo brevemente in direzione di Verrès, è necessario attraversare la tortuosa statale e aggirare la mole imponente del Forte di Bard per addentrarsi in questo mondo silenzioso e incantato, fatto di strette gole scavate da impetuosi corsi d’acqua che, con il passare dei secoli, hanno lavorato la roccia creando angoli di grande suggestione.

All’opera della natura si è aggiunta la mano dell’uomo che ha costruito arditi ponti in pietra perfettamente fusi con l’ambiente, senza alterare l’aspetto dei villaggi allineati lungo il torrente Ayasse, restituendo intatta l’atmosfera di una terra antica e ricca di magia: lo confermano storie e leggende che formano il patrimonio culturale della valle, prima fra tutte quella della mitica Legione Tebea – interamente composta da soldati di fede cristiana – che nel III secolo, sotto l’imperatore Massimiano, sarebbe stata decimata dagli stessi Romani perché si era rifiutata di attaccare le popolazioni della Gallia che professavano lo stesso culto.

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Ai piedi del forte di Bard

Scavalcata la Dora Baltea per imboccare la strada regionale 2, Hône è il primo centro abitato del comprensorio. Di origine preromana, ebbe grande importanza strategica durante il Medioevo proprio per l’ubicazione ai piedi della massiccia fortezza di Bard, cui era legato. Il nome si pensa derivi da un antico vocabolo indoeuropeo che significa acqua, dovuto probabilmente al fatto che è situato alla confluenza dell’Ayasse nella Dora: questa posizione lo rendeva particolarmente esposto alle alluvioni, e sino a qualche tempo fa il paesaggio era costellato dalle murgères, muri di pietra la cui funzione era di arginare almeno in parte le intemperanze delle acque. Le abbondanti risorse idriche hanno d’altro canto sviluppato la vocazione industriale della zona, tanto che l’attività metallurgica era già presente nel XV secolo.

Passeggiando lungo le vie selciate della borgata si nota l’aguzzo campanile della parrocchiale dedicata a San Giorgio, che risale al 1713 e conserva tre altari barocchi in legno finemente scolpiti e dipinti in oro. La religiosità popolare, forse stimolata dalla presenza di numerose cavità naturali che venivano considerate vie d’accesso al mondo degli inferi, vanta invece un ampio novero di leggende, la più curiosa delle quali ha per protagonista una vecchina che continuò a filare anche se la campana che chiamava a messa aveva già suonato. Uno sconosciuto dall’aspetto distinto si avvicinò e le domandò se poteva rimanere ad osservarla: ella acconsentì, ma ad un certo punto le sfuggì di mano il fuso e, chinandosi a raccoglierlo, vide che il misterioso visitatore aveva zoccoli caprini al posto dei piedi. Facile immaginare la rapidità con cui si recò in chiesa…

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Rocce fatate a Pontboset

Anche il borgo di Pontboset, il secondo centro abitato della vallata, faceva parte della signoria di Bard, e in passato rivestì una certa importanza per la posizione intermedia fra l’alta valle di Champorcher, i valichi per la Valchiusella e il fondovalle valdostano. Negli ultimi decenni ha purtroppo patito un forte spopolamento, anche a causa del territorio aspro e poco generoso, ma ciò ha permesso all’abitato di conservare l’aspetto tipico di un tempo e chi cerca pace e tranquillità si troverà senz’altro a proprio agio.

Qui il toponimo si riferisce ai ponti che costellano il circondario, sei in tutto, i più belli dei quali sono in pietra e rivelano una maestria non comune: i muratori di Pontboset, infatti, erano apprezzati in tutte le Alpi Occidentali. Le case appaiono serrate fra la parete rocciosa e il corso dell’Ayasse, che in questo tratto si è scatenato dando vita a una serie impressionante di forre selvagge e impervie caratterizzate da rocce levigate, mentre la presenza di castagni fa sì che, soprattutto nei mesi autunnali, il paesaggio diventi una fiabesca tavolozza di colori. I saporiti frutti del bosco sono la principale ricchezza del luogo, da apprezzare nella tradizionale Castagnata che si tiene ogni anno alla fine di ottobre.

La morfologia del paesaggio e la complessiva suggestione dell’ambiente hanno ispirato anche qui una corposa narrativa popolare. Si dice ad esempio che a Terisse, una delle frazioni, sia nascosto in una grotta un grande tesoro che si può vedere solo a Natale; un’altra storia racconta invece della fata che ogni domenica si mostrava sulla riva del torrente pettinandosi i lunghi capelli dorati.

Pascoli e laghi della valle del Champorcher

L’ultimo comune della valle è Champorcher, formato da diverse piccole borgate sparse in un’ampia distesa verdeggiante. A causa del suo isolamento suscitò per lungo tempo interesse militare e si ipotizza fosse in origine un caposaldo dei Salassi, popolazione celtica che abitava queste zone intorno al 1200 a.C. Nel Medioevo il paese fu invece sede di un castello, del quale rimane l’imponente torre. Champorcher era inoltre uno dei luoghi privilegiati per le battute venatorie da Vittorio Emanuele II, il quale nel 1862 fece costruire una mulattiera che conduceva alla Real Casa di Caccia sopra la frazione di Dondena: il tracciato, tuttora percorribile, porta a una conca spettacolare (pur se deturpata dai tralicci dell’alta tensione) in cui spiccano il Lago Miserin, dal quale nasce l’Ayasse, e il santuario di Notre-Dame-des-Neiges.

La tradizione vuole che esso sia stato fondato a seguito del ritrovamento di una statua della Vergine attribuita al soldato Porzio – Porcier in francese – il quale apparteneva alla Legione Tebea e, rifugiatosi in questi luoghi per sfuggire al massacro ordinato da Massimiano, avrebbe dato inizio alla cristianizzazione della valle. Da lui deriverebbe anche l’appellativo del paese, ossia “Champ de Porcier”.

Oggi la vocazione della località è prettamente turistica: d’inverno è possibile sciare lungo i 25 chilometri di piste che si estendono fino a 2.500 metri di altitudine oppure lungo la pista da fondo che misura 8 chilometri, mentre nelle altre stagioni si possono compiere escursioni di ogni tipo o ci si può rilassare nelle aree attrezzate con tavolini e punti fuoco lungo il torrente. La borgata principale, Château, si stringe attorno alla torre medioevale e alla chiesa di San Nicola sorta sulle rovine del castello, con viuzze che si snodano fra le tipiche case in legno e pietra a picco sulle gole formate dall’Ayasse.

Passeggiata in famiglia

Una delle più belle escursioni nella valle del Champorcher, ambientata nel parco del Monte Avic, ci vede impegnati con i nostri nipoti Lorenzo e Mauro, che hanno aderito con entusiasmo alla proposta degli zii. Da Château prendiamo dunque la strada asfaltata in direzione Borgata Mont Blanc e Miserin, fino a raggiungere l’inizio dello sterrato dove parcheggiamo (1.800 m circa). Sulla destra ha inizio il sentiero, segnato in giallo con il numero 10.

La partenza richiede ovviamente una serie di articolate manovre, al termine delle quali ci avviamo lasciando indietro Mauro che gironzola con uno scarpone ancora in mano: solo quando lo abbandoniamo, imboccando il sentiero, si affretta a indossarlo e a raggiungerci, urlando minaccioso il numero di Telefono Azzurro. L’aria è frizzante, il cielo screziato da nuvole bianche filanti: un vero spettacolo. Il tracciato parte ripido ma non ci scoraggia, e l’uso dei bastoncini da nordic walking affascina i ragazzi che, dopo un primo tentativo di usarli come corpo contundente l’uno sulla testa dell’altro, si rassegnano ad un impiego più consono.

Sul Colle Lago Bianco della valle del Champorcher

Superati i primi 300 metri di dislivello, in tre quarti d’ora si raggiunge il piccolo Lago Muffè (2.100 m) circondato da pascoli. Incontriamo alcuni vitellini che socializzano volentieri e che riconoscono subito Lorenzo come compagno, leccandogli di gusto gli scarponi. Il luogo merita una pausa per una seconda colazione che le due “macchine da guerra” spazzolano senza pietà.

Per evitare che i cari nipoti divorino tutte le scorte li incitiamo a riprendere la marcia lungo il sentiero, che in una mezz’ora risale 200 metri di dislivello al Colle Lago Bianco (2.309 m) per poi scendere al Rifugio Barbustel (2.200 m). La vista che si gode da questo punto è stupenda e cominciamo ad elencare vette e bacini: «Cervino, gruppo del Monte Rosa, Lago Vallette, Lago Bianco, Lago Nero, Lago Cornuto…», mentre i due pargoli procedono spediti in direzione del rifugio declamando a loro volta con aria ispirata: «Polenta concia, acciughe al verde, peperonata…».

Tutt’intorno sono stati installati pannelli illustrativi su geologia, fauna e flora del parco e leggiamo quello relativo ai licheni, simbiosi «tra un fungo e un’alga», come precisa Lorenzo affermando di averlo già studiato a scuola. Con Mauro che si arrampica su tutti i sassi di altezza superiore al mezzo metro e Lorenzo che si toglie continuamente gli scarponi per saggiare la temperatura dei laghetti, proseguiamo lungo il sentiero 5C che si snoda praticamente in piano toccando prima il Lago Bianco, poi il Lago Nero e infine il Lago Cornuto, dove si svolge una gara di resistenza con i piedi a mollo.

Noi cediamo subito mentre le due pesti stringono i denti pur di non arrendersi, e solo quando cominciamo ad affilare il coltellino da campeggio offrendoci di amputare le parti congelate accettano una vittoria ex aequo. Per premio ci concediamo un altro spuntino saccheggiando le ultime scorte, ma la bellezza dei luoghi ci ha fatto indugiare oltre il voluto ed è tempo di tornare a valle. Ancora una cioccolata calda al rifugio prima di affrontare, piacevolmente stanchi, il lungo ritorno verso casa accompagnati dalle prime ombre della sera e dal maestoso fascino del paesaggio.

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