In vacanza nella preistoria

Sull'Appennino Ligure, intorno alla Val di Vara, l'archeologia racconta la vita quotidiana di un popolo che lavorava la pietra e viveva di caccia, allevamento e baratto. Ma le ripide stradine che si arrampicano su queste montagne riservano molte altre sorprese...

Indice dell'itinerario

Schegge di pietra volano tutt’intorno, accumulandosi ai piedi della parete di roccia rossa. Colpendo ripetutamente il diaspro, i durissimi percussori creano un rumore continuo, sordo e rimbombante: è una tranquilla giornata di lavoro alla cava neolitica della Valle di Lagorara, Età della Pietra, 5.000 anni fa. Al riparo sotto il costone sud della montagna non lontano dall’area di estrazione, un gruppo di neolitici lavora alacremente a delle ogive, poco più che abbozzi tondeggianti: le baratteranno con pelli, carne e sale nei villaggi verso il mare, dove saranno trasformate in punte per lance, asce e frecce. I più giovani si cimentano nei chopper, rozzi raschiatoi, i bambini spazzano via gli scarti mentre le donne, attorno al fuoco, scolpiscono la morbida steatite, una pietra verdastra e saponosa al tatto, ideale per monili, perle e pendagli.
Il clan che viveva alle pendici del Monte Zenone a Maissana è una delle prime testimonianze di popolamento di questa parte dell’Appennino Ligure: il sito (a una trentina di chilometri dall’odierna Sestri Levante) fu abbandonato nell’Età del Bronzo, con la diffusione dei metalli, ma è rimasto praticamente intatto permettendoci di scoprire la vita quotidiana dei suoi abitanti. Dallo studio degli strati di foresta e dai resti degli incendi sappiamo che erano cacciatori, capaci di diradare il fitto bosco di noccioli e abeti bianchi in radure nelle quali attiravano caprioli, cervi e daini. Dai ritrovamenti di macine e frammenti di coccio si intuisce che mangiavano pane, probabilmente di cereali selvatici conservati in recipienti di terracotta. I coproliti, escrementi fossili che ricoprono il pavimento dei ripari sotto roccia, ci rivelano che passarono presto all’allevamento, mentre il corredo sepolcrale di una grotta verso il mare, con punte di diaspro rosso, ci fa sapere che avevano contatti con villaggi distanti.
Molto meno sappiamo degli enigmatici costruttori delle statue stele, monoliti di pietra dalle fattezze umane – maschili, femminili e asessuate – talora armati di pugnale. Risalenti a circa 2.500 anni prima di Cristo, sono stati ritrovati in gruppi o file nelle zone pastorali di collina della Val di Vara e soprattutto della Val di Magra. Non si conosce ancora la funzione di questi simulacri: c’è chi li considera opere d’arte, chi cippi di confine, chi simboli della Dea Madre, di guerrieri defunti, di eroi mitici, di antenati, di demoni o sciamani. In ogni caso il loro culto, con offerte di cibo e pasti rituali provati dal ritrovamento di ciotole, pollini, focolari e ossa animali, perdurò ben oltre l’arrivo di Liguri, Etruschi, Romani e della cristianità, e su molte statue si trovano incisioni in lingua etrusca o latina, come in quella rinvenuta a Zignago.
Le nuove religioni cercarono di sconfiggere quelle remote credenze, costruendo santuari sui luoghi di ritrovamento e seppellendo le stele appositamente mutilate nei pavimenti, nelle pareti, negli altari. Ma l’epoca dei metalli era ormai arrivata e i nuovi conquistatori, i Liguri, già si ritiravano sulle montagne sotto la spinta dei popoli provenienti da sud, costruendo villaggi e fortificazioni di collina – i cosiddetti castellari – tuttora disseminati di reperti di grande valore documentario: spille, macine, focolari, attrezzi per la pastorizia e lo sfalcio del fieno di queste comunità di allevatori, che rimasero volutamente isolate in alta quota per più di mille anni. Attorno al 600 d.C. la storia entra di prepotenza anche in Val di Vara. Mentre nell’ex colonia romana di Luni il vescovo acquisiva importanza crescente, alcuni abati si rifugiarono a Brugnato, nel cuore della valle, entrando abilmente nello scontro tra Longobardi e Franchi; appoggiati da Carlo Magno, dichiararono l’indipendenza della loro abbazia, sottomessa esclusivamente al Papa. Nel 1133 Brugnato divenne città e diocesi autonoma, sotto la protezione di Genova: da allora fu contesa tra i Malaspina di Lunigiana e i Fieschi della Repubblica Marinara. Lo stesso destino toccò a molti borghi fortificati di queste montagne, facilmente difendibili ma ben raggiungibili grazie al fiume: feudi, torri e bastioni sorsero in tutto il ricco e strategico territorio di confine tra l’area d’influenza genovese e quella pisana. Il castello di Calice al Cornoviglio e quello di Madrignano, all’apice delle colline con un’incomparabile vista sulla valle, restano a ricordo degli scontri di quegli anni e della dolce vita delle famiglie nobili riparate quassù.Misteri scolpiti
La nostra esplorazione della Val di Vara segue il corso del fiume, salendo ogni tanto sulle vette per incontrare le civiltà pastorali che preferirono la protezione di alture e foreste alla piana alluvionale, fertile ma insidiosa. Dalla confluenza con il Magra, portatore della diversa cultura agricola romana e cristiana, risaliamo verso le sorgenti: a Ceparana svoltiamo per Beverino, Calice al Cornoviglio e Borghetto Val di Vara. Al primo bivio che si incontra per Madrignano consigliamo la salita solo ai mezzi integrali, ai camper puri o ai mansardati di dimensioni ridotte: il panorama che si gode dal castello non ha eguali, ma la strada per raggiungere il paese è piuttosto faticosa con dislivelli, curve e tornanti a gomito.
Pur essendo percorsa anche dai pulmini di linea, è stretta e tortuosa anche la strada che collega Madrignano con Calice al Cornoviglio, più facile da raggiungere prendendo il secondo bivio dalla provinciale 13 proveniente da Ceparana. Nel Castello Doria Malaspina sono ospitati il Centro di Educazione Ambientale, la Pinacoteca del pittore seicentesco Davide Beghè, il Piccolo Museo Pietro Rosa e un interessantissimo Museo dell’Apicoltura (per la visita parcheggiare il veicolo sulla strada, chiedendo autorizzazione alla caserma dei Carabinieri che si trova di fronte: uno stretto arco medioevale impedisce l’accesso all’interno del borgo ai mezzi più alti di 3 metri e più larghi di 2).
Con un camper puro o un piccolo integrale, a questo punto si può proseguire sulla strada di montagna per Santa Maria seguendo poi le indicazioni per Monte Cornoviglio, il Rifugio Alpicella e il Rifugio Pietre Bianche, a quota 800. Da qui lo sterrato ben battuto e piuttosto liscio dell’Alta Via dei Monti Liguri porterà ai Casoni di Suvero di Zignago restando sempre attorno ai 1.000 metri, con una visuale a 360 gradi dalle vette delle Apuane al mare. E’ l’area dei castellari dove prosperarono i neolitici e i costruttori delle statue stele e si rifugiarono i Liguri cacciati dai Romani, le popolazioni medioevali in fuga dalle invasioni barbariche e i signorotti con il loro seguito durante le guerre di potere tra le città-stato.
A Zignago ha sede la Mostra Permanente dell’Archeologia dei Monti dell’Alta Val di Vara che conserva le statue stele della zona, i ritrovamenti del Neolitico (in particolare monili di steatite e oggetti d’uso quotidiano) e la ricostruzione di un villaggio del Medioevo distrutto da un incendio. Da Calice al Cornoviglio, chi non se la sente di affrontare curve e strettoie del percorso in quota sopra descritto può portarsi nuovamente a fondovalle, attraversare il Vara a Beverino e risalire a Zignago passando per Borghetto di Vara e Brugnato.
Nel borgo dell’abbazia indipendente non ci sono problemi di parcheggio: il camper può essere lasciato nel piazzale circondato da platani all’inizio dell’abitato. Passeggiando all’interno della curiosa struttura urbana a ferro di cavallo si arriva alla cattedrale, dove un curioso affresco del Quattrocento – sulla terza colonna verso la navata maggiore – raffigura San Colombano armato di un bastone per scacciare demoni e malocchio. Nell’adiacente Museo Diocesano, all’interno del palazzo vescovile, si può visitare la sala di rappresentanza con il soffitto a cassettoni lignei intarsiati, ammirare un pastorale del XVI secolo in avorio e argento e una mitra in seta, fili d’oro e pietre preziose, curiosare nello studio vescovile con dipinti seicenteschi; interessanti anche la camera da letto del vescovo, l’esposizione di paramenti sacri dal Cinquecento ad oggi e il Tesoro della Vergine, una raccolta di ex voto in argento e oro.
Affrontando di nuovo una lunga sequenza di tornanti per Rocchetta e Brugnato si scende lungo il Vara sulla scorrevole statale 566 che porta a Sesta Godano (ma i più intrepidi amanti delle vette possono arrivarvi direttamente da Zignago passando per Valgiuncata e Torpiana sulla strada per il Passo del Rastrello, scendendo da Scogna). Proprio qui incontriamo un altro dei misteri di quest’angolo di Liguria: strani volti e figure terrificanti – forse una ripresa della mai dimenticata tradizione delle statue stele – si profilano sulle pareti delle chiese e delle abitazioni, sugli stipiti delle porte, al bordo delle fontane e dei pozzi. Sono sculture apotropaiche collocate, sino in tarda età cristiana, a protezione di case o luoghi sacri per cacciare demoni e malocchio. Sesta Godano ne offre un campionario quanto mai rappresentativo, per il quale è stato allestito dal Comune un apposito percorso di visita su richiesta, ma ne sono pieni anche Beverino e la tappa finale del nostro itinerario, San Pietro Vara. Dal paese, proseguendo in direzione di Varese Ligure, in breve si giunge al bivio per Cembrano, Ossegna, Santa Maria e Maissana, i luoghi delle cave di diaspro, visitabili anche autonomamente con l’ausilio delle schede descrittive da prelevare al punto informazioni del Comune.
Sulla strada per San Pietro Vara non avremo trascurato la piccola deviazione per il borgo fortificato di Groppo, che ci propone l’ultimo enigma di questo viaggio. Sul muro della chiesa una serie di raffigurazioni di cavalieri, lance e croci greche sono attribuibili al culto dei Templari: forse qui sorgeva un santuario per i pellegrini sulla via dell’Oriente, o i famosi monaci guerrieri vi si rifugiarono di ritorno dalla Crociate. Di più non si sa, ma perché non immaginare che i Cavalieri del Tempio abbiano lasciato qualche tesoro nascosto tra i verdi boschi dell’Appennino Ligure?

PleinAir 393 – aprile 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio