In vacanza con i diavoli

Non hanno le corna e le zampe caprine, ma la pelliccia e il marsupio: sono tra i più popolari abitatori della Tasmania, un vero paradiso di natura selvaggia a sud dell'Australia. Tutto da esplorare con le scarpe da trekking e un camper a noleggio.

Indice dell'itinerario

Dove Lake, ore 5 del mattino. Un’eterea nebbiolina danza sulle fredde acque del lago più famoso della Tasmania. La sottile cortina di vapore sfiora la superficie liquida appena increspata, gioca con le onde, sale arrotolandosi su se stessa e poi, più in alto, si accende d’oro nei primi raggi del sole. Tutt’intorno un silenzio appena interrotto da qualche folata di vento che dolcemente spinge lontano la nebbia. Ma è uno strano silenzio, accompagnato dalla sensazione di non essere soli: al di là dei cespugli, delle erbe, delle felci e di strani alberi, cento, mille occhi scrutano, guardano incuriositi e forse si pongono delle domande. Sono i simpatici wallaby della famiglia dei canguri, i temuti diavoli della Tasmania, i tozzi wombat le cui femmine sono tutte accomunate dalla presenza di una tasca sul ventre, spazio intimo dove i piccoli maturano dopo il parto. Strani animali di questa strana isola all’estremo sud-est dell’Australia che ad ogni angolo odora di selvatico e ha il sapore della preistoria, come se qualcuno avesse bloccato le lancette dell’orologio. Lo scenario è vasto – la Tasmania si estende per circa 68.000 chilometri quadrati, come dire due volte e mezzo la Sicilia – e piuttosto eterogeneo: laghi, montagne, cascate, boschi di eucalipti, foreste pluviali temperate, savane, coste intervallate da baie, faraglioni e immense spiagge di dune sabbiose.
Di tutte queste bellezze, in parte ancora inesplorate, la più conosciuta e visitata è proprio il lago Dove nel Cradle Mountain-Lake Saint Clair National Park, 1.262 chilometri quadrati di natura selvaggia dichiarati World Heritage Area. Durante l’estate australe, cioè il nostro inverno, frotte di turisti vengono a visitare questo luogo di sogno: sarà perché si ha l’impressione di trovarsi in una culla (è appunto il significato della parola cradle) o perché da qui parte l’Overland Track, un’ottantina di chilometri di sentiero da percorrere a piedi attraverso un paesaggio mozzafiato. Comunque sia, i turisti li vedi di sera con la torcia in mano mentre procedono chini a cercare, accompagnati da una sussurrante guida naturalistica, i marsupiali che dopo il tramonto diventano più attivi ed escono allo scoperto, con gli occhi che brillano alla luce della luna e le orecchie tese verso il cielo.

Il rame e il ferro
Il nostro viaggio continua verso sud lungo la Murchison Highway in direzione di Queenstown, che fu la terza più importante città della Tasmania e dal 1881 lega la sua storia a quella dell’attività mineraria. Alla fine del XIX secolo venne infatti trovato l’oro, subito dopo il rame e poi l’argento; la prevalenza del rame convinse infine le compagnie minerarie a concentrare i loro sforzi nella ricerca di vene di questo metallo. Oggi ci si trova davanti a un panorama spettacolare dalle sfumature rossastre che ricorda certe immagini dei deserti di Marte; molte colline sono rosicchiate, altre completamente abbattute e l’estrazione continua, sebbene il prezzo del rame sia sceso considerevolmente. La linea ferroviaria costruita nel 1899 per collegare Queenstown con Strahan è stata restaurata pochi anni fa per permettere ai turisti di effettuare un appassionante viaggio di tre ore attraverso paesaggi vergini, su vagoni d’epoca trainati da una locomotiva a vapore: percorrendo l’Abt Railway si oltrepassano ponti vertiginosi e si costeggia il King River per giungere infine al capolinea, l’unico importante centro abitato della costa occidentale, fondato nel 1821 come colonia penale (la prigione fu edificata su Sarah Island) per diventare poi il porto minerario legato a Queenstown attraverso la strada ferrata. Ora, con il ridursi dell’attività estrattive e l’apertura di nuove vie di comunicazione, Strahan si è trasformato in un importante polo turistico, da cui partono crociere fluviali sul Gordon River e sul Macquarie Harbour e gite in mare per osservare le balene. L’attrazione più grande resta però l’interminabile Ocean Beach, una spiaggia lunga addirittura 40 chilometri, con dune alte più di 10 metri che si alternano in un mutevole ondeggiare di sabbie spazzate dal vento e continuamente trasformate dalle onde. Fra le erbe che trattengono la rena si possono trovare delle aree per campeggiare, a patto di non sprofondare in qualche terreno insidioso.
Tornati a Queenstown, nella luce calda del tardo pomeriggio imbocchiamo la Lyell Highway, costeggiamo il lago artificiale di Burbury e nell’oscurità arriviamo al Lake Saint Clair, verso il centro del parco. All’albeggiare, dopo una notte allietata dalla visita di un simpatico opossum alla ricerca di cibo e per nulla intimorito dalla nostra presenza, percorriamo a piedi una parte del sentiero che costeggia il bacino, uno dei due terminali dell’Overland Track che inizia al Dove Lake, immersi in una natura lussureggiante.
Ripreso il camper, maciniamo chilometri lungo la Marlborough Road. Si alternano paesaggi diversi, ma i più emozionanti sono le vaste praterie ingiallite dalla recente scarsità di pioggia. Greggi di pecore sembrano letteralmente nuotare in un mare d’erba color dell’oro, reso ancora più acceso dai bagliori del sole calante.
Prima di raggiungere i centri abitati del nord ci tuffiamo nel verde assoluto delle Liffey Falls, cascate letteralmente inghiottite da felci giganti. Intimiditi da questo ambiente che sembra uscito da un romanzo di Verne, trascorriamo ore indimenticabili ad ascoltare in religioso silenzio lo scrosciare dell’acqua e ogni più segreto suono o rumore della foresta.

Tutti in sella
Il giorno seguente, strada facendo, notiamo uno striscione pubblicitario che annuncia un rodeo. Seguiamo le indicazioni e ci ritroviamo in un ambiente da vero western australiano. Il pubblico radunato intorno all’arena segue le peripezie di mandriani che faticano a domare tori per nulla mansueti o cavalli decisamente imbizzarriti; la nutrita schiera di spettatori appoggiati alle stampelle o con gambe e braccia fasciate o ingessate ci dà subito la certezza che questa gente fa davvero sul serio. Proseguono le gare, e chi se la cava senza danni può passare il tardo pomeriggio danzando nell’unico bar della zona, saturo di fumo, dove si accendono i ritmi locali che ricordano certe ballate inglesi o irlandesi: c’è chi gioca a biliardo, chi si spupazza la biondona di turno e chi annega nell’alcool la vergogna dell’ultima sconfitta.
Launceston, la seconda città della Tasmania, non è lontana e ci offre un altro ritratto dell’isola. I palazzi sono molto ben curati e l’ambiente ha un che di aristocratico: da qui inizia infatti la Tamar Valley, una fertile striscia di terra lungo il Tamar River dove abbondano i frutteti, i vigneti e le coltivazioni di fragole. Un po’ più ad est, vicino Nabowla, si entra in un inatteso mondo di profumi il cui caposaldo è la Bridestowe Estate Lavender Farm, probabilmente la più grande coltivazione di lavanda dell’emisfero meridionale: con l’odorosa essenza si producono saponi, deodoranti, prodotti per la pulizia e perfino gelati. Il Tamar si incontra con il mare a Low Head, non lontano da George Town, dove sorge un vecchio faro ancora in funzione: l’atmosfera è piacevole e molti uccelli marini nidificano nella zona.
Ridiscendendo verso sud, poco oltre Launceston passiamo per Evandale, che conta numerosi edifici del XIX secolo. In febbraio vi si svolgono i Penny Farthing Championships, divertenti campionati nazionali degli antichi velocipedi, proprio quelle altissime bici prive di catena con i pedali sulla ruota anteriore e il ruotino posteriore.
La nostra prossima meta è il Freycinet National Park, il più visitato della costa orientale. La Highway 1 ci porta a Campbell Town, per svoltare subito dopo a sinistra sulla B34 che conduce fino alla A3; si svolta ancora a sinistra, risalendo per una ventina di chilometri verso nord attraverso un’area ricca di vigneti, e si prende poi a destra la C302 (viaggiando a velocità ridotta per non travolgere gli animali che spesso attraversano la strada) fino a raggiungere il parco. Verso est si apre una successione di faraglioni, mentre ad ovest si stendono le spiagge: su tutto domina la mole di alcuni affioramenti di granito rosa, chiamati The Hazards, e quella del Mount Freycinet. Da non perdere l’alba nella zona orientale, uno spettacolo veramente indimenticabile se ammirato dal faro di Cape Tourville. La penisola rocciosa all’interno dell’area protetta rappresenta inoltre un autentico paradiso per gli amanti del trekking, che possono percorrere numerosi sentieri panoramici.

Storie di forzati
Una tirata di oltre 400 chilometri, da dividersi in due o più giorni, divide il Freycinet National Park dal Tasman National Park, nella Tasman Peninsula, nota per i resti di un’altra antica colonia penale e di nuovo una serie di spettacolari faraglioni a picco sull’oceano. Port Arthur, costruito interamente in mattoni rossi, fu creato nel 1830 come cantiere forestale dove i forzati producevano materiale per i progetti governativi; vi erano rinchiusi solo uomini, in particolare criminali recidivi. Oltre a varie costruzioni e a una chiesa in stile gotico, si possono ancora vedere le buie celle che potevano contenere una sola persona. Nel 1840 più di 2.000 detenuti affollavano il penitenziario, che si trasformò ben presto in un importante centro commerciale: vi si producevano navi e battelli, mobili, mattoni, scarpe e stivali ma anche derrate alimentari. Dopo il 1853, con la fine delle deportazioni, il numero dei reclusi iniziò a calare, fino a quando la colonia venne definitivamente chiusa nel 1877 dopo che oltre 12.000 prigionieri avevano scontato la loro pena. Port Arthur fu invece gradualmente acquisito dal governo che lo trasformò in uno dei più importanti siti storici di tutta l’Australia. Altri penitenziari e aree di lavoro forzato erano disseminati in tutta la penisola e nel resto del paese: Eaglehawk Neck, Coal Mines, Saltwater River, Wedge Bay, Macquarie Harbour e Sarah Island che abbiamo già visitato a Strahan.
Meno di 100 chilometri ci separano dalla nostra ultima tappa, Hobart. Stretta fra le pendici del Mount Wellington e le acque del Derwent River, la seconda più vecchia capitale dell’Australia sfoggia tutto il suo charme di città coloniale dai mattoni rossi. Da sempre il porto è il punto di partenza per le spedizioni scientifiche che raggiungono il Polo Sud, ma non meno interessanti sono i pub, gli hotel e i ristoranti la cui architettura abbina il design moderno alla storia del passato. Da non perdere Battery Point, il cuore antico della città, i palazzi in stile georgiano e Salamanca Place, dove il sabato mattina si tiene un chiassoso mercato: pittori, fotografi, scultori e artigiani di ogni sorta mostrano le loro opere, mentre i piccoli agricoltori espongono formaggi, miele, ciliegie giganti, susine e prelibati frutti di bosco. Il profumo che emana dai banchi dei fiorai si mescola con quello dei cibi cucinati dai venditori ambulanti, mentre le note di gruppi musicali riempiono l’aria già densa del vociare della folla. Ed è qui che, dopo la natura selvaggia e la storia curiosa di quest’isola all’altro capo del mondo, ritroviamo in pieno lo spirito di un popolo festoso, vivace e ospitale: un altro motivo per farci desiderare che il nostro viaggio non finisca qui.

Testo e foto di Andrea Alborno

PleinAir 414 – Gennaio 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio