In pace nel golfo

Una coppia di italiani munita di pick-up fuoristrada con cellula scarrabile ha attraversato l'Iran e oltrepassato lo Stretto di Hormuz, per visitare anche gli Emirati Arabi e il Sultanato dell'Oman. Un memorabile viaggio di oltre quattro mesi tra città e deserti, oasi e piste lungo l'oceano.

Indice dell'itinerario

«Il vostro carnet è scritto a mano, e non dattiloscritto come vuole il regolamento: pertanto la vettura non può entrare in Iran». Un piacere sottile sembra animare il capo della dogana di Bazargan, transito quasi obbligato fra Turchia e Iran. Il traghetto della Anek Line che collega Ancona con Igoumenitsa e Patrasso ci ha sbarcati solo pochi giorni fa, Grecia e Turchia attraversate tutto d’un fiato e ora, per un difetto di forma, tutto sembra andare in fumo.
Najafi è un uomo minuto che lavora all’interno della dogana espletando le formalità per il transito delle merci in entrata e uscita. Deve aver intuito il mio disappunto e si avvicina per prospettare la soluzione: un’importazione temporanea garantita da una polizza assicurativa ottenibile… pagando un premio di 100 dollari.

Colori d’Iran
Ottenuto il sospirato pezzo di carta, naturalmente scritto a mano, bruciamo la distanza che ci separa da Isfahan. Le strade sono in ottime condizioni, e spesso è possibile utilizzare lunghi tratti autostradali (vedi PleinAir n. 304).
Isfahan, ricca di monumenti, è senz’altro una tappa obbligata. Come in tutte le città iraniane, il traffico è quanto mai caotico, ma impariamo presto a seguirne il flusso, la mano sul clacson, evitando la gente che si butta in mezzo alla strada per chiedere un passaggio. Chi ha la fortuna di possedere una vettura offre infatti volentieri, a pagamento, questo servizio; anche noi carichiamo in macchina un passeggero, che conosce il Touristic Camp e ci indica il percorso. Quando le nostre strade si dividono, non è facile fargli capire che il passaggio è gratuito: alla fine ci offrirà un pieno di gasolio (senza nulla togliere alla gentilezza del nostro giovane ospite, ricordiamo che in Iran il prezzo è di circa 30 lire al litro!).
La splendida piazza di Meidun-e’ Emam, una delle più grandi del mondo, è il cuore della città; le fa da cornice la moschea di Masjed-e’ Emam, completamente ricoperta di mattonelle azzurre dalle tonalità cangianti. Più piccola e non più adibita al culto è la Masjed-e’ Sheikh Lotfollah, anch’essa finemente decorata; sul lato opposto il palazzo di Kakh-e’ Ali Ghapu domina la piazza coi suoi sette piani. Vicino è l’enorme bazar, in un dedalo di stradine con miriadi di negozi e artigiani.
Lasciamo Isfahan per puntare a nord, verso la sterminata distesa del deserto di Kavir che, assieme al Lut, occupa un vasto territorio dell’Iran centrale.
Dopo Na’in il paesaggio si fa ancora più brullo e deserto, con qualche minuscolo villaggio di fango qua e là. Laghi salati di un bianco accecante che si perdono all’orizzonte e caravanserragli perfettamente conservati rendono interessante la strada che ci conduce a Tabas, al confine tra le due aree desertiche.
E poi ancora a sud verso Kerman e quindi Bam, in pieno Baluchistan iraniano. Immersa nel verde delle palme, importante centro carovaniero, Bam è dominata a nord da una imponente e ben conservata cittadella medioevale. Il centro è molto animato: ci si prepara ad affrontare il mese del Ramadan. Le strade del mercato sono particolarmente affollate, le donne baluci nei loro colorati vestiti sono ancor più evidenti, circondate da una moltitudine di altre ricoperte dal tradizionale velo nero. Il nero è il colore predominante nelle piazze e lungo le strade: un’imposizione alla quale non possono sottrarsi neppure le donne occidentali. I capelli devono essere rigorosamente nascosti, i vestiti non devono lasciar intendere nessuna forma femminile. Ma fra le ragazze più giovani, al riparo delle mura domestiche, tolto il lungo velo fanno la loro comparsa jeans attillati e calzature alla moda d’occidente.
Lasciamo il Belucistan in direzione di Bandar Abbas, capoluogo dell’Hormozgan, regione affacciata sullo Stretto di Hormuz. Maggior porto iraniano, la città è un passaggio obbligato se si intende attraversare lo stretto e raggiungere la penisola arabica.
Nonostante sia dicembre inoltrato fa molto caldo. Anche qui è l’abbigliamento femminile a colpirci: il lungo velo nero è sostituito da drappi colorati, il volto è celato da maschere che rendono irriconoscibili i lineamenti.Nei vari spostamenti in città utilizziamo un taxi. L’aver offerto un passaggio alla signora che esce trafelata e sovraccarica dal mercato della frutta ci aprirà le porte di un intero quartiere. La donna parla inglese e ci invita a sostare presso la sua abitazione, nelle vicinanze del vecchio porto, dove passeremo i giorni che ci separano dall’imbarco.
La notte di Natale la trascorriamo a casa del Mullah della vicina moschea; una cena superba ci viene offerta a mo’ di saluto: domani la Hormuz 24 ci traghetterà oltre il golfo, a Shariqah. Ci commuoverà l’inattesa comparsa sul molo di tanta gente accorsa per salutarci, dai volti divenuti familiari.Las Vegas d’Arabia
In poche ore siamo catapultati in uno dei paesi più ricchi del mondo. Rapide le formalità al porto, sintomo di un efficiente apparato burocratico-amministrativo.
Raggiungiamo la vicina Dubai. Dove un tempo c’era il deserto, ora sfilano moderne e ampie autostrade. Molti dei miliardi derivati dal petrolio sono spesi nell’intento di sottrarre sempre più spazio al deserto, rendendo il territorio fertile e produttivo.
Il turismo è l’altra grande sfida degli Emirati Arabi (vedi PleinAir n. 304). Un turismo ricco, “tutto compreso”, che muove grandi capitali. Alberghi faraonici, centri commerciali sempre più grandi ed esentasse, imponenti insegne luminose si susseguono lungo le strade. La città ha un ritmo frenetico; solo i ristoranti, in ossequio al Ramadan, hanno le serrande chiuse: si rifaranno durante la notte, rimanendo aperti fino all’alba. I luccicanti grattacieli riflettono la loro immagine nel canale che divide in due la città. Sulle rive sono ormeggiati centinaia di dhown, imbarcazioni in legno che per secoli sono state le uniche a solcare le acque del Golfo Arabico, alimentando il commercio. Ancora oggi sulle banchine del canale non c’è mercanzia che non sia esposta in una sorta di bazar all’ingrosso. Poco lontano, il mercato del pesce offre una notevole varietà di pescato, mentre in centinaia di vetrine l’oro fa luccicante mostra di sé.
Abu Dabi, capitale amministrativa, risulta molto più tranquilla e meno frenetica di Dubai. Lungo la pista che conduce all’oasi di Liva, decine di bulldozer al lavoro livellano le dune: presto una strada collegherà il polmone verde degli Emirati.
Quando alla fine prendiamo la direzione di Al’ Ayn per raggiungere il confine del Sultanato dell’Oman, una fitta nebbia proveniente dall’oceano ci avvolge. Mazad, poco distante da Al’ Ayn, è l’unico punto transitabile per gli stranieri se si vogliono espletare le formalità di ingresso in Oman (vedi PleinAir n. 290). Tra le due nazioni infatti non esiste frontiera.

I wadi e l’Oceano Indiano
Raggiungiamo velocemente Jabrin e il suo castello ben restaurato, dove insieme alle bellezze architettoniche abbiamo modo di apprezzare la doccia ‘offerta’ da Mohamed Alì, uno dei tre guardiani del forte. Quest’ultimo, isolato dal paese più vicino, costituisce un’ottima base di partenza per escursioni nelle zone circostanti. Il nord dell’Oman è caratterizzato da alte montagne e una serie innumerevole di wadi (fiumi): spesso l’unica pista disponibile è il loro letto, che si riempie d’acqua molto raramente.Le oasi si susseguono punteggiando col verde dei palmeti il brullo paesaggio. L’ambiente montano comporta invece ripide salite; perlustriamo tutta l’area ai margini del Jebel Akhdar per poi affrontare i tornanti che ci porteranno fino alla sommità del Jabel Shams.
Oltrepassata Al Hamra (interessante la parte vecchia), una breve deviazione ci porta a Misfah, villaggio incastonato nella roccia che sovrasta un rigoglioso palmeto. Risaliamo quindi Wadi Gul. Sulla sinistra, il vecchio villaggio abbandonato in pietra, alla sommità del wadi il minuscolo nuovo abitato. Man mano che la pista sale costeggia numerosi canyon sino a raggiungere la sommità della Montagna del Sole. Nei villaggi è possibile acquistare le coperte prodotte a mano dagli uomini che filano, colorano e tessono la lana.Scendendo a valle, ci soffermiamo nel forte di Bahla, massiccio e imponente, con una cinta muraria di oltre dieci chilometri. Il piccolo souk settimanale richiama un discreto afflusso dalle montagne circostanti.Più grande è il mercato di Nizwa, pieno all’inverosimile sin dalle prime ore del mattino. In un improvvisato recinto vengono rinchiusi gli animali in vendita, dove un intermediario li mostra al pubblico. Anche tra i beduini a colpirci sono le donne, coi volti nascosti dietro le maschere; sono loro a gestire il mercato delle pecore e delle capre, a stabilire i prezzi e condurre le trattative. Si salutano sfregandosi il naso l’un l’altra. Agli uomini è riservato il commercio degli animali di grossa taglia, mucche e dromedari. Il mercato è particolarmente affollato in quanto il mese del Ramadan volge al termine; macellai esperti ininterrottamente all’opera lasciano intuire che la festa è imminente.
Per raggiungere Muscat ritorniamo inizialmente verso il confine, poi attraversiamo le montagne occidentali. Prima, però, un’ulteriore deviazione ci porta alle necropoli presso il fiume di Bat e Ayn.Prima di raggiungere Rustaq ci infiliamo nel Wadi Sahtan, incantevole via di accesso per numerosi villaggi, caratterizzato da ripide pareti di liscia roccia e fitta vegetazione. Per trascorrere la notte scegliamo un’abitazione appena al di fuori della pista interna. Seppur cordiali, Alì e la sua famiglia restano a tutta prima chiusi nella loro riservatezza. Ma la sera successiva, al nostro ritorno, cadranno le invisibili barriere che ci dividono. Saremo invitati a dividere il cibo con la famiglia, seduti tutti assieme sulla stuoia fuori dell’abitazione, gli uomini da una parte, le donne e i bambini sul lato opposto. Aspettano che finiamo di servirci dall’unico enorme piatto comune, per mangiare quindi a loro volta quanto rimasto. Pur avendo a disposizione delle posate insisto nel voler mangiare come loro solo con le mani, sforzo molto apprezzato, pur non mancando di suscitare l’ilarità collettiva.Ritrovato l’asfalto a Rustaq puntiamo verso Muscat, moderna e ordinata capitale dell’Oman dove ci fermiamo giusto il tempo per una visita alla nostra ambasciata e poi di nuovo via verso Sur. Dopo Al Qurayyat, raggiunta Dibab, l’asfalto termina; la pista ci riporta sul mare e corre parallela all’oceano, offrendo da Fin in poi scenari mozzafiato e spiagge solitarie. Diversi wadi scendono dalla montagna per perdersi nella sabbia sulla costa, come l’incantevole Wadi Shab, una pozza d’acqua verde a far da contrasto alle pareti rossicce del canyon.
Qalat, nell’entroterra collinare, è una delle più antiche città in Oman, della quale rimangono i resti del mausoleo di Bibi Miriam, che sul culmine di una collina domina il paesaggio circostante. Dopo Sur ritroviamo la pista che prima di portarci a Ras al Hadd si inerpica di nuovo all’interno. Al capo (ras) ritroviamo l’oceano; con l’ausilio della bassa marea si possono attraversare a piedi le baie, coi dhawn all’ancora adagiati su un fianco in attesa della successiva marea. La prossima costruzione di un mega villaggio turistico, apertamente osteggiata dalla popolazione locale, e quella di una nuova reggia ad opera del sultano Bin Qabos, minacciano di compromettere questo scenario. Poco distante si trova l’oasi protetta di Ras al Junayz, dove un breve tratto di spiaggia conta la più alta concentrazione di tartarughe marine dell’Oceano Indiano, che hanno scelto questo tratto di costa per deporre le uova.
Dopo aver raggiunto Al Ashkharah inizia il tratto più impegnativo della pista costiera che ci condurrà sino a Salalah, nell’estremo sud del paese. Le numerose tracce presenti sulla sabbia, se da un lato indicano che siamo sulla giusta direzione, non facilitano certo la motricità del fuoristrada. Molti sono i passaggi obbligati e il rischio di rimanere insabbiati è frequente. In alcuni tratti, sfruttando la bassa marea, è possibile procedere direttamente sulla spiaggia, talora tra cordoni di dune. A Ras ar Ruways, altro villaggio di pescatori, lasciamo alle spalle il tratto sabbioso. Ci riforniamo di gasolio attingendolo direttamente dai bidoni: come sono lontane le belle stazioni di servizio della capitale!
Dopo Ras al Madrakah il paesaggio si fa meno interessante. Al minuscolo villaggio di pescatori di Sawqrah ci dirigiamo verso la stazione di pompaggio dell’acqua; anche qui come in molte aree, l’unica possibilità di ottenere acqua dolce è desalinizzare l’acqua marina o quella del sottosuolo. Alla stazione lavorano orientali, indiani e pakistani. In Oman, come in tutti i paesi della penisola arabica che si affacciano sul golfo, la mano d’opera e tutte le attività commerciali sono svolte da asiatici, che qui sembra siano bene integrati.Il pieno d’acqua è l’occasione per farci “adottare” dai tre lavoratori della stazione. In breve anche qui si apriranno a noi le porte dell’intero villaggio.
Ed eccoci nel Dhofar, la regione più meridionale del Sultanato, celebre sin dall’antichità perché vi nasce l’albero dell’incenso. Verso Salalah, seconda città dell’Oman, la vegetazione diventa lussureggiante e quasi tropicale: alberi di cocco, papaia, banani, e lungo la strada bancarelle stracolme di frutti colorati.
A est della città ci attendono invece le spiagge infinite di Taqah. Il fuoristrada corre veloce ai bordi dell’oceano, la spiaggia bianca si perde all’orizzonte interrotta solo da esili corsi di acqua dolce che scendono dalle vicine sorgenti. Siamo scortati da un gruppo di delfini che con le loro evoluzioni spingono verso riva numerosi banchi di pesci. I pescatori ne approfittano per lanciare in acque le reti circolari.Appena lasciata Taqah, ecco Khar Rowri: duemila anni fa era un fiorente porto naturale da dove partiva tutto l’incenso prodotto nel Dhofar; oggi è un’oasi di intatta bellezza popolata da colonie di fenicotteri rosa. L’asfalto prosegue sino a Marbat costeggiando un’altra spiaggia deserta. Altrettanto interessanti sono le escursioni sul Jebel Qara che domina la piana di Salalah e la delimita a nord, impedendo ai monsoni di procedere più all’interno. Gli abitanti delle montagne sono chiamati Jabalis; gli anziani indossano ancora tradizionali vestiti, lunghi drappi ripiegati e buttati sulle spalle scoperte, i lunghi capelli raccolti e intrecciati. Passeggiando a Salalah incontriamo rare figure femminili che indossano una tunica nera sopra un lungo vestito colorato. Un velo nero ricopre il volto lasciando intravedere gli occhi, resi ancor più evidenti dal kajal, mentre mani e piedi sono finemente decorati con l’henné. Ripresa la veloce e monotona strada asfaltata che riporta verso Muscat, capiamo che è tempo di pianificare il ritorno. L’Oman ci ha però piacevolmente impressionato: non si vive la sbornia da petrolio che ha invaso gli Emirati Arabi. Anche se il fuoristrada ha ormai soppiantato il dromedario nella vita quotidiana dei beduini, i loro ritmi, la loro cordialità e la loro allegria sono rimasti inalterati. Per strada come al supermercato, al souk come nel distributore di carburante, ovunque siamo stati accolti dal cordiale saluto «kek alek’» (come stai’).

Sulla via del ritorno
Traghettati nuovamente in Iran, anche il nostro secondo passaggio a Bandar-e’ Abbas è salutato da molte dimostrazioni di affetto e cordialità. C’è un clima di festa: la gente si prepara a festeggiare il No Ruz (nuovo giorno), ovvero l’inizio del calendario solare persiano, che coincide con il nostro 21 marzo.
Prima di intraprendere definitivamente il viaggio di ritorno, però, approfittiamo del visto ancora valido per puntare verso Kashan ed esplorare l’Iran degli spazi infiniti e dei minuscoli villaggi di fango e terra. Una deviazione dalla strada principale ci porta alla rossa Abyaneh, dove la strada finisce. Il villaggio è popolato da seguaci di Zoroastro, che adorano il fuoco quale simbolo divino; differente anche il loro abbigliamento: niente veli ma colorate e ampie gonne a balze per le donne, ampi e ricamati pantaloni neri per gli uomini. Ripresa la strada principale, dopo Kashan, è la volta delle regioni del Loristan e del Kurdistan, dove il deserto cede il passo ai monti Zagros. Il sito archeologico di Takht e’ Soleiman (Trono di Salomone) sarà una delle ultime deviazioni prima di rientrare in Turchia. E qui, in Cappadocia ritroviamo la neve dell’inverno.

PleinAir 329 – dicembre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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