In barca nel Vecchio West

Sul confine tra Utah e Arizona, il Glen Canyon è stato completamente trasformato nella seconda metà del '900 da una diga che ha sbarrato il fiume Colorado. E quello che era un desertico vallone è oggi lo splendido Lake Powell, da percorrere in houseboat.

Indice dell'itinerario

Ci sono voluti tre giorni, prendendosela con calma, per arrivare da Los Angeles al Lake Powell, meta di questa mia vacanza nel sud-ovest degli States. Dalla metropoli del Pacifico, dove abbiamo ritirato il camper, bisogna percorrere 540 miglia (poco meno di 860 chilometri) attraversando la California e la parte meridionale del Nevada e dello Utah, per poi entrare in Arizona e far rotta sulla cittadina di Page. Il mio recreational vehicle ha una taglia decisamente superiore a quelle europee, ma ben presto si è rivelato facile da guidare, a maggior ragione su queste larghe strade che meno di due secoli fa erano poco più che carrarecce tracciate dai pionieri del West.
Dopo paesaggi dall’aspetto desertico, dove Las Vegas sembra un’immensa astronave piovuta da un’altra dimensione, lasciamo la Interstate 15 e ci addentriamo su una secondaria passando per tranquille cittadine che non lasciano immaginare cosa ci attende all’arrivo. E’ stato l’amico Navigator (che si è meritato il soprannome per la sua abitudine a fare il punto sulle carte e a leggere le guide turistiche) a suggerirci di visitare il Lake Powell: uno dei più grandi bacini artificiali degli Stati Uniti, creato da una gigantesca diga che sbarra il Colorado River nel suo scorrere verso il profondo Glen Canyon. Il vallone, scoperto nel 1776 dai padri missionari Dominguez ed Escalante, fu però esplorato quasi un secolo dopo, nel 1869, dal geologo John Wesley Powell che lo percorse in navigazione su un fiume insolitamente tranquillo. Dobbiamo però arrivare al 1956 perché a Page, nata all’epoca della grande corsa all’oro, fosse posata la prima pietra della diga, un’opera di tale imponenza che ci è voluto quasi un trentennio per riempire il canyon d’acqua così come lo si vede oggi, formando il lago.
Lungo 150 chilometri sulla dorsale principale e profondo oltre 150 metri, il Lake Powell è divenuto un’attrazione per gli appassionati della vacanza in houseboat, le case galleggianti che si possono affittare per intere settimane e che consentono di scoprire gli angoli più remoti e spettacolari del Glen Canyon National Park. La base di partenza, sede delle maggiori agenzie di noleggio e di charter nautico, si trova a Wahweap Marina, dove pernottiamo in un comodo e ben attrezzato campeggio studiando sulle mappe il nostro itinerario: considerando le distanze, in una giornata dovremmo riuscire ad esplorare il tratto sud-occidentale del lago.
Al mattino, dopo aver affittato il natante e superato un piccolo esame di conduzione (in pratica una semplice manovra di accostamento al molo), facciamo il pieno e iniziamo a navigare nello stretto canale che conduce alla prima ampia insenatura, la Padre Bay. Il panorama, davvero insolito ed emozionante, ricorda quello della vicina Monument Valley in una singolare variante acquatica. Enormi torrioni rocciosi, resi celebri da tanti film western, si innalzano lungo le rive mentre l’aria limpida avvicina l’orizzonte come una lente d’ingrandimento: ma non bisogna farsi ingannare, perché da una sponda all’altra della Padre Bay ci sono oltre 15 miglia, cioè quasi 28 chilometri. Lungo le rive gli equipaggi di alcune houseboat ormeggiate, con tanto di tavolini e ombrelloni piantati sulle spiagge di terra rossa, si apprestano a fare uno spuntino arrostendo sulla griglia fette di pane e salsicce.Attraversata la baia, il canyon si biforca in una serie di fiordi che tagliano a pettine l’altopiano. Il maggiore è il Last Chance Bay, un ramo che si addentra per 27 chilometri nell’Escalante Staircase National Park con una moltitudine di stretti rami secondari che si insinuano tra alte pareti rocciose. Noi proseguiamo sul corso principale, scandito da boe rosse e verdi per segnalare alle imbarcazioni il centro del canyon evitando secche e guglie sommerse; ogni boa è numerata a crescere man mano che ci si allontana da Wahweap ed è indicata sulla carta nautica in dotazione alla barca, permettendo così di capire in ogni momento dove ci si trova anche senza ricorrere al GPS o a complicati calcoli nautici. Le segnalazioni aiutano inoltre a mantenere la rotta perché, come scopriamo, non sempre è agevole mantenerla a causa del dedalo di canali, fiordi e insenature che orlano il lago. All’altezza delle boe 41 e 42 si entra nella Dangling Rope Marina Bay, una piccola insenatura in cui si trovano alcuni moli galleggianti con distributori di benzina, un bar e un piccolo negozio di generi alimentari. Distratti dagli spettacoli della natura, non ci sembra vero, guardando la mappa, di avere percorso oltre 100 chilometri dalla partenza.
Fatto il pieno di benzina, ma anche di bevande e di qualcosa per il pranzo, ripartiamo alla volta della boa 49 dove, entrando in un piccolo canyon secondario, dopo una serie di spettacolari passaggi tra le alte scogliere rossastre ci troviamo di fronte il Rainbow Bridge National Monument, un arco di pietra alto quasi 90 metri (come un palazzo di trenta piani, per dare l’idea): ormeggiata la barca a uno dei courtesy dock, i moli flottanti così riportati sulla carta, lo si può raggiungere con una breve passeggiata.
Se Rainbow Bridge lascia il visitatore a bocca aperta, altrettanto suggestiva è la navigazione nello stretto e tortuoso fiordo di Oak Creek. Pareti alte decine di metri si innalzano verticalmente su un canyon così stretto che le houseboat non riescono nemmeno ad entrare; in alcuni punti, angusti passaggi obbligano a fermarsi per dare la precedenza alle altre imbarcazioni che escono dal fiordo. Non c’è vento, e l’aria umida dovuta all’evaporazione delle acque aumenta il senso di caldo: indossare il costume e fare una nuotata è un vero piacere. Quando il cielo lassù in alto comincia a tingersi di rosa, a malincuore riprendiamo la navigazione per tornare alla base.

Attorno al lago
In campeggio, davanti a una grigliata di grosse bistecche, si inizia a discutere su quali meraviglie sono scomparse sott’acqua e come poteva essere il Glen Canyon prima di venir riempito dal Colorado River. Per scoprirlo decidiamo allora di effettuare un percorso ad anello intorno al lago, alla ricerca dei motivi d’interesse del territorio: archi rocciosi, popolazioni indigene, orografia, natura di fondovalle. A rendere più facile l’esperienza è il fatto che buona parte di questi luoghi sono tutelati da parchi e riserve più o meno celebri.
La prima tappa non può che essere Monument Valley, meta mitica del Nordamerica ma anche lo scenario ideale per capire com’era fatto in origine l’altipiano. Diverse piste in terra battuta, percorribili anche con il nostro camper, uniscono giganteschi torrioni di roccia erosa dal vento e dalle piogge che, seppur scarse, con l’aiuto dalle rigide temperature invernali hanno sgretolato e modellato centinaia di monoliti nelle forme più varie e bizzarre.Proseguendo verso est, non lontano dalla cittadina di Cortez, si ha invece l’occasione di approfondire la storia locale al Mesa Verde National Park. Un antico villaggio di pietre incastonate sotto una grande volta rocciosa compare all’improvviso dietro una curva del sentiero che scende nel canyon: percorrendo gli stretti camminamenti, si ha modo di osservare come vivevano i nativi americani, in particolare i Navajo (siamo infatti nel territorio di quella che anche oggi è definita come la loro nazione). Anche nel Glen Canyon si trovavano alcuni insediamenti che, pur meno importanti di quelli di Mesa Verde, erano altrettanto significativi dal punto di vista antropologico e culturale, e ciò costituì una delle principali ragioni di dissidio tra chi era favorevole all’allagamento e chi era invece contro. Questi e altri temi si possono conoscere visitando l’area protetta, dove si trovano anche informazioni sulle lotte politiche e ambientali che negli ultimi decenni hanno accompagnato la realizzazione del Lake Powell.
Da Cortez, risalendo a nord verso la città di Moab, si incontra il Canyonlands National Park, uno dei luoghi più affascinanti dell’altipiano, che permette di capire in che modo si sono sviluppati nel corso dei millenni i processi erosivi. Affacciandosi dalle colline che sovrastano il parco si osserva uno sterminato territorio solcato da centinaia di canyon grandi e piccoli, più o meno profondi, alcuni dei quali ancora oggi inesplorati. Qui il Colorado riceve un importante affluente, il Green River: a seguito di questa fusione e del nuovo, potente afflusso, a valle della congiunzione inizia il Cataract Canyon, un’infernale strettoia dove, in una successione di sedici impressionanti cascate, il fiume si getta nel Lake Powell. Proseguendo in senso antiorario intorno al bacino, a nord di Moab si visita un’altra importante area protetta: l’Arches National Park, dove sono raggruppati oltre duemila archi naturali di pietra fra cui il Landscape Arch, il più grande del mondo, che vanta una lunghezza di ben 92 metri sospesi sul vuoto. Qui ci rendiamo conto di come anche un semplice rigagnolo sia in grado di scavare la roccia friabile di questa zona, formando una prima galleria che con il tempo, complici le frane e gli smottamenti, si trasforma in un arco sempre più grande; così ad esempio è nato il Rainbow Bridge, che abbiamo già ammirato nella nostra escursione in barca.
Ci portiamo ora ad ovest del lago per visitare il Bryce National Park, un fronte eroso di montagne che forma, per chilometri e chilometri, un anfiteatro di migliaia di alte guglie rocciose dai mille colori: predominano il giallo, l’arancione, il rosso, appena macchiati dal verde e dal marrone della vegetazione che cresce negli anfratti. Si tratta di una conformazione simile a quella di certi tratti di scogliera lungo il Lake Powell, e passeggiando fra queste guglie si comprende pienamente il significato delle boe che consigliano ai naviganti di allontanarsi dalle insidie della costa.
Eccoci ora allo Zion National Park, dove ci si offre la possibilità di osservare l’aspetto naturalistico del fondo di un canyon primordiale. La vegetazione, le coltivazioni, i prati erbosi, i fitti boschi di conifere offrono riparo e cibo a decine di specie di animali selvatici, fra cui cervi e scoiattoli: lo stesso habitat dei rami secondari del Glen Canyon, selvaggio o parzialmente addomesticato dalle popolazioni Navajo nei secoli passati e prima che la valle finisse sommersa.
Non ci potrebbe essere miglior conclusione del viaggio che il Grand Canyon National Park, l’esempio più grandioso di come il Colorado River è riuscito a modificare l’ambiente e il paesaggio dell’altipiano: lo sconfinato canalone, con i mastodontici picchi rocciosi dalla sommità che pare tagliata di netto, offre inquadrature indimenticabili. Il Glen doveva offrire lo stesso spettacolo ai primi esploratori del selvaggio West: e noi, moderni turisti, ci sentiamo piccoli piccoli di fronte a questa grande America.

PleinAir 418 – maggio 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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