Immersioni nel tempo

L'attenzione della cultura internazionale rivolta ai Sassi di Matera trova un'eco a Castellaneta, Laterza e Ginosa, dove popolazione e amministrazioni locali si stanno impegnando a valorizzare e a tutelare l'eccezionale ambiente delle gravine.

Indice dell'itinerario

Così scriveva Franco Patini introducendo un suo servizio sull’area delle gravine (vedi PleinAir n. 272): “La maggiore concentrazione di chiese rupestri in Italia si trova tra la Puglia e la Basilicata. Qui, disseminati a ventaglio nel raggio di poche decine di chilometri, antichissimi luoghi di culto oggi ricevono piuttosto l’insulto dell’ignoranza. Grazie al camper è però possibile visitarne più di quanti permetterebbe una efficiente organizzazione turistica, peraltro tutta da inventare”. A distanza di cinque anni, vogliamo sperare anche grazie a quella provocazione, le cose stanno cambiando decisamente. Non soltanto è prevista l’istituzione del Parco Naturale delle Gravine (nell’ambito del progetto nazionale Parchi 2000), ma è anche sorta una libera associazione tra i comuni della provincia di Taranto (Lacota), proprio con lo scopo di valorizzare le eccezionali peculiarità di questo territorio. Ginosa, Castellaneta, Laterza, Mottola, Grottaglie, Statte, Palagiano, Palagianello e Massafra sono tra i primi comuni associati delle Murge, e tutti direttamente interessati a salvaguardare le testimonianze della civiltà rupestre nella quale affondano le loro stesse radici. Prime conseguenze di questo cambiamento sono un promettente fiorire di cooperative e di imprese individuali per servizi turistici, la rinascita di un certo artigianato tradizionale, la promozione di importanti manifestazioni di richiamo (vedi “Buono a sapersi”).
Siamo perciò tornati per una breve ricognizione nelle gravine di Castellaneta, Laterza e Ginosa, a verificare anzitutto come siano migliorate le condizioni di accesso e di visita trovate approssimative dal collega Patini. Le note che seguono vanno perciò lette a compendio del suo più ampio reportage. Ma, soprattutto, vogliono essere l’invito ad un viaggio fuoristagione che lo straordinario ambiente, la nascente organizzazione turistica e il clima mite possono rendere gratificante come pochi.

Castellaneta
Con una lunghezza di circa dieci chilometri e una profondità massima di centocinquanta metri, la gravina presenta caratteristiche del tutto particolari a causa delle ripide e inaccessibili pareti verticali, ricche di vegetazione, che hanno consentito un limitato sviluppo della civiltà rupestre. Tutti gli insediamenti sono ubicati lungo costoni rocciosi posti alla sommità, così come il primo nucleo del centro storico che si sviluppò proprio sul ciglio del canalone. Lungo il bordo della Gravina Grande è visitabile l’insediamento rupestre di Santa Maria del Pesco, così chiamato a ricordo di una miracolosa fioritura invernale. Alle spalle si trova la chiesa di Santa Maria dell’Assunta, detta anche della Luce poiché, secondo una leggenda, la costruzione fu voluta da un naufrago guidato in salvo da una luce apparsa sulla sommità della gravina. Tra Castellaneta e Laterza un fitto bosco di pini e querce ricopre la collina di Montecamplo, la più alta della zona (411 m), e poi s’immerge nell’omonimo canalone, un altro fantastico canyon che per la lontananza dall’abitato e l’asprezza dell’ambiente è poco frequentato. Un’oasi di tranquillità dove gli unici suoni vengono dalla natura: il gracchiare di un corvo imperiale, il vento che agita i rami, mentre dalla sommità si traguarda il mare.

Laterza
Larga 400 metri, profonda 200, con ripide pareti verticali, la gravina di Laterza si presenta come uno degli esempi più spettacolari del fenomeno carsico. Anch’essa povera di insediamenti rupestri, presenta tracce di attività pastorali: rifugi in grotta con muretti a secco per la protezione delle greggi, chiamati jazzi.Notevole interesse assume la vegetazione che, a causa del particolare microclima (si parla di “montagna alla rovescia”), permette la crescita sul fondo dell’olmo e dell’acero. Dai belvedere lo sguardo spazia ora sul lontano orizzonte, ora sulle grotte (Santa Croce), ora sulla vegetazione, soffermandosi a osservare le lunghe chiome del cappero, i cespugli di euforbia arborea, le campanule e, come a ben altre quote, i ciclamini.

Ginosa
La gravina presenta due rami denominati “del Casale” e “di Rivolta” a indicare, rispettivamente, le abitazioni e il movimento avvolgente attorno all’abitato.
Tracce della sua frequentazione, risalente sin dal Paleolitico medio, sono conservate presso il Museo Archeologico di Taranto; i reperti, manufatti silicei, provengono da una campagna di scavo organizzata dalla Lega Ambiente in collaborazione con l’Università di Siena che opera nel sito da ben due anni. Abitate successivamente nel Neolitico, vengono abbandonate nell’età classica per lo spostamento delle genti nelle vicine campagne. Dopo l’VIII – IX secolo d.C. si riapre, con l’avvento dei monaci basiliani, la storia della civiltà rupestre di Ginosa: i villaggi a terrazze, scavati in rupe, ridiventano parte della città con le sue case bianche, gli orti, gli uliveti, i frantoi, le cantine, le chiese e le farmacie dei monaci, spesso irraggiungibili. Delle presunte 36 chiese, censite nel 1490 su commissione di Federico II d’Aragona, oggi ne restano dodici: tra cui le bizantine San Biagio, San Domenico, Parrocchia del Casale, Santa Barbara, Parrocchia della Rivolta, la latina Santa Sofia.
La gravina è popolata sino al 1957 quando il Prefetto di Taranto giudica la zona malsana e assegna agli abitanti case popolari di nuova costruzione. Ma a determinare il degrado dell’ambiente non è stato solo quell’abbandono. Nel 1857 un terremoto fece crollare una vasta area ricca di grotte e chiese; la leggenda racconta che in quell’evento perì una coppia di giovani durante la loro prima notte di nozze, sotto un enorme masso ancora oggi visibile. Nel 1962 Pier Paolo Pasolini, che stava girando tra i Sassi di Matera Il Vangelo secondo Matteo, scelse la gravina di Ginosa per ricostruire il terremoto della crocifissione, e vi fece brillare alcune mine. Ma non è finita. Nel 1988, quando sulle copertine della guida telefonica regionale la Sip pubblicò le foto degli affreschi di alcune grotte, in poco tempo gli stessi furono trafugati con la tecnica dello strappo.
Girando intorno all’abitato, oggi si può percorrere agevolmente il fondo della gravina, seguendo l’ansa un tempo scavata dalle acque. La piacevole passeggiata richiede circa un’ora, comprendendo le visite ad alcune case-grotta, dove sono ancora evidenti le tracce dell’insediamento. Con qualche difficoltà in più si possono raggiungere le chiese con le residue testimonianze delle architetture e degli affreschi. In questi è da osservare che spesso le immagini sacre sono decapitate; si riteneva infatti che, dietro i volti, i monaci usassero murare i loro tesori.

PleinAir 331 – febbraio 2000

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