Il tricolore del golfo

Intorno a Trieste c'è un pleinair tutto da sperimentare lungo i percorsi dell'altipiano carsico: tra il mare e la montagna, un piccolo mondo di confine da visitare in camper, a piedi... e persino in tram.

Indice dell'itinerario

Il verde delle conifere si mescola al bianco delle rocce calcaree e al rosso dei cespugli di scotano, contro l’azzurro del cielo reso ancora più terso dai primi freddi. Adagiato a est e a sud-est di Trieste, il Carso offre grandi contrasti mostrando proprio in questa stagione un volto meno ruvido: da un lato ci sono la città, il golfo, il castello di Miramare, le scogliere che vegliano sulle barche dei pescatori, la vegetazione dai profumi mediterranei, dall’altro un territorio più inospitale, desolato e roccioso. Mezzo secolo dopo la Grande Guerra e la disfatta di Caporetto, scriveva Giuseppe Ungaretti: “…E’ incredibile, il Carso appare ridente. Pensavo: ecco il Carso non è più un inferno, è verde di speranza”. Diverse erano state le impressioni dei cartografi che nel Cinquecento stesero una mappa ufficiale della zona per conto di Gerardo Mercatore: per la prima volta veniva menzionato il nome che deriva da carsa, pietra, per definire quella che era una vasta e brulla distesa di calcare solo in parte ricoperta da bassa vegetazione.

Il paesaggio era il risultato di massicci disboscamenti effettuati in epoche remote per favorire l’allevamento di pecore e capre; con il passare dei secoli il territorio divenne sempre più arido, non solo per la mancanza d’acque superficiali ma soprattutto perché il pascolo delle greggi ostacolava la crescita delle piante. Fu Maria Teresa d’Austria a limitare le aree destinate al nutrimento del bestiame, ordinando inoltre la riforestazione del territorio: si piantò il Pinus nigra, il rustico pino nero in grado di adattarsi senza problemi a terreni poveri e di resistere alla bora, il vento di nord-est che spesso causa repentini sbalzi di temperatura. Oggi della landa carsica italiana resta ben poco: solo un ventesimo dei 19.000 ettari complessivi dell’altipiano.
Il Carso stupisce dunque non per la monotonia, bensì per l’inaspettata varietà del paesaggio.

Una foglia di scotano in dettaglio
Una foglia di scotano in dettaglio

Grazie a particolari microclimi, a breve distanza sono presenti ambienti naturali molto diversi e il territorio è un vero paradiso per gli appassionati di trekking e della fotografia naturalistica. E’ abbastanza facile scorgere caprioli e cinghiali, che a volte raggiungono le porte della stessa Trieste; occorrono invece pazienza e molta fortuna per avvistare l’orso, la lince e il raro sciacallo dorato. E poi c’è Antonio, il più grande dinosauro mai trovato in Italia. Negli anni Ottanta, in una cava presso il Villaggio del Pescatore di Duino, furono individuate delle singolari tracce fossili: erano quelle di un esemplare di 7 quintali, lungo 4 metri e alto un metro e mezzo. Dopo anni di meticoloso lavoro, gli esperti del gruppo triestino Stoneage sono riusciti a liberare dalla pietra lo scheletro dell’adrosauro (altrimenti noto come dinosauro dal becco d’anatra, un bipede vegetariano dotato di un’impressionante dentatura adatta a triturare le piante di cui si cibava) e oggi Antonio – che conserva il suo nome maschile nonostante sia stato accertato che si trattava di una femmina – è esposto nel capoluogo presso il Museo di Storia Naturale. Ma non è tutto: negli ultimi anni sono stati rinvenuti altri sauri, tre coccodrilli e numerose piante acquatiche, tanto che in un prossimo futuro la cava del Villaggio del Pescatore di Duino potrebbe essere trasformata in un museo paleontologico.

 

 

 

 

Brindisi sull’altipiano

La costa che da Duino si snoda a strapiombo in direzione di Sistiana
La costa che da Duino si snoda a strapiombo in direzione di Sistiana

Duino, con il bel castello in bilico tra l’Adriatico e il Carso, è anche il punto di partenza del Sentiero Rilke, un piacevole itinerario immerso nella macchia mediterranea. La passeggiata, che inizia sulla destra della statale 14 e si sviluppa per poco meno di 2 chilometri, ci riporta al poeta praghese Rainer Maria Rilke e alla sua opera più importante, le Elegie duinesi. Il percorso s’insinua tra falesie a picco sulla costa, frequentate da numerosi volatili tra i quali il gheppio e il falco pellegrino. Quanto alla flora, «…è un’anticipazione e un riassunto di quella che si sviluppa su scala ben più vasta e maestosa lungo le coste balcaniche» nota il botanico Livio Poldini. A pochi metri dal mare crescono specie mediterranee ma anche l’orniello e il carpino nero, piante tipiche di climi più continentali. Il sentiero termina nella deliziosa baia di Sistiana; da qui, in auto o il bicicletta, si continua sulla Strada del Vino Terrano, un itinerario di circa 25 chilometri tra Sistiana e Villa Opicina, località raggiungibile anche con il più antico tram della penisola che puntualmente parte da Piazza Oberdan a Trieste (vedi il relativo approfondimento di questo itinerario).La Strada del Terrano lega il suo nome a un vino dal colore rosso rubino, vigoroso, che rispecchia la natura del terreno carsico. Si sposa perfettamente con i piatti della cucina carsolina e con gli insaccati disponibili nelle osmizze, che si riconoscono da una frasca appesa in prossimità dell’ingresso. Insaccati, formaggi e vino di produzione locale sono le specialità da gustare in questi spacci la cui origine è legata a un decreto, emanato nella seconda metà del Settecento, che riconobbe ai contadini il diritto di vendere per otto giorni i prodotti della loro terra (il nome deriva infatti dallo sloveno osem, che per l’appunto significa otto). Lungo il percorso s’incontrano diverse osmizze ma anche i resti di antichi castellieri, come a Sliva e a Rupinpiccolo, e numerose costruzioni tradizionali in pietra erette per difendersi prima dalle invasioni barbare e poi da quelle turche.

Mezzo di trasporto e luogo d'incontro per i triestini, il tram di Opicina scala il colle con le sue splendide vetture d'epoca
Mezzo di trasporto e luogo d’incontro per i triestini, il tram di Opicina scala il colle con le sue splendide vetture d’epoca

Sgonico conviene fermasi alla Carsiana, un giardino botanico di circa mezzo ettaro, nel quale prospera la metà delle 1.200 specie presenti in tutto il territorio carsico, compreso quello montano sloveno; si articola in una caratteristica dolina profonda più di 20 metri, formatasi milioni di anni fa a seguito del crollo di grotte sotterranee causato dall’azione erosiva dell’acqua. Nella parte più bassa si sviluppano le specie alpine, sul versante settentrionale del piano superiore crescono piante tipiche degli ambienti più freschi, mentre su quello meridionale troviamo specie della macchia mediterranea.

Le splendide vetture storiche del tram di Opicina
Le splendide vetture storiche del tram di Opicina

Da Sgonico, dopo Rupinpiccolo, si arriva a Sagrado del Carso dove inizia la carrareccia (interdetta ai veicoli non autorizzati) diretta al Monte Lanaro: molto frequentata da escursionisti e biker, in circa un’ora e tre quarti di cammino fra andata e ritorno offre un paesaggio superbo sulla costa e sulle Alpi Giulie.
Tornati a Rupinpiccolo, conviene raggiungere Rupingrande e il Borgo Grotta Gigante, che trae il nome dalla più grande grotta turistica del mondo. E’ veramente straordinaria: la sala principale larga 65 metri, lunga 280 e alta più di 100 potrebbe ospitare la Basilica di San Pietro. La sua esplorazione iniziò nella prima metà dell’Ottocento, ma solo all’inizio del secolo scorso fu aperta al pubblico e attrezzata per consentirne la visita. Un efficace impianto d’illuminazione, realizzato dalla Società Alpina delle Giulie a cui spetta la gestione della grotta, valorizza al meglio le strutture dell’ipogeo. A volte le concrezioni raggiungono dimensioni notevoli: la colonna Ruggero, ad esempio, è alta ben 12 metri. Prima dell’uscita si può ammirare lo scheletro originale di un esemplare di Ursus spelaeus, il più grande mammifero che frequentò il Carso fino al Quaternario, quando si estinse.

Un particolare delle concrezioni della Grotta Gigante
Un particolare delle concrezioni della Grotta Gigante

La Grotta Gigante è sicuramente la più famosa, ma il Carso è ricchissimo d’ipogei creati dallo stillicidio dell’acqua e da fiumi che spariscono nei meandri della terra, per riemergere all’improvviso dopo chilometri. L’unico oggi visibile alla luce del sole è il Rosandra, nell’omonima valle posta a occidente della Grotta Gigante. E’ un luogo incantevole, frequentato da escursionisti e scalatori che da più di un secolo si allenano su pareti opportunamente attrezzate. Nei pressi della Val Rosandra termina anche il sentiero dedicato all’alpinista e scrittore Julius Kugy, un percorso lungo più di 20 chilometri in bilico tra rocce e mare, tra la dolcezza dell’Adriatico e la ruvida bellezza del Carso.

 

 

Sui colli intorno al golfo

Dalla varie fermate del tram di Opicina è possibile effettuare escursoni a piedi o con la bici che, a modesto costo, si può caricare a bordo dei vagoni
Dalla varie fermate del tram di Opicina è possibile effettuare escursoni a piedi o con la bici che, a modesto costo, si può caricare a bordo dei vagoni

Il sentiero Kugy collega Aurisina a San Dorligo della Valle e può essere percorso in entrambi i sensi. Il tracciato, classificato per escursionisti (livello di difficoltà E), si sviluppa per più di 23 chilometri e richiede in media da 11 a 14 ore; se si è ben allenati si possono ridurre i tempi e ultimarlo in una giornata, altrimenti è preferibile percorrerlo in due giorni. Lungo il tragitto ci sono diverse possibilità di pernottamento; consigliamo di dotarsi di una cartina della zona e di una buona guida. Le vedette incontrate durante il cammino sono balconi aperti tra il mare e la montagna, tra acqua e rocce; nelle giornate limpide si scorgono le cime delle Alpi Giulie, ma anche il campanile di Venezia o gli edifici più alti della vicina Istria. Da ricordare una giacca a vento per far fronte, durante il trekking, agli improvvisi abbassamenti di temperatura che possono essere causati dalla bora. Dalla stazione di Aurisina (tabella del percorso, indicazioni, 144 m) si raggiunge la Cava Romana; nei pressi di questa ci si mantiene sulla sinistra, prima su una strada bianca, poi su una rotabile asfaltata. Si prosegue fino a una seconda cava, alla strada ferrata e al sottopassaggio che porta all’inizio del sentiero contrassegnato dal numero 23. Si sale nel bosco fino alla Vedetta Tiziana Weiss (belvedere dedicato a una scalatrice triestina caduta durante un’arrampicata sulle Dolomiti). In direzione sud-est, lungo un tracciato ben visibile, si giunge al bivio ferroviario d’Aurisina e, superato il ponte sulla ferrovia, si continua sulla destra per la cosiddetta Strada della Salvia.

Il cimitero militare austro-ungarico di Prosecco
Il cimitero militare austro-ungarico di Prosecco

Arrivati al sentiero numero 7, lo si imbocca in direzione del paese di Santa Croce (206 m, 2 ore da Aurisina). A destra della chiesetta di San Rocco s’incontra la strada asfaltata diretta al Monte San Primo e alla Vedetta Slataper (278 m, panorama splendido; segnavia 6a). Da qui si scende lungo il sentiero che s’insinua lungo la cresta e poi si collega al tracciato 6 per Prosecco (248 m, circa un’ora e mezzo da Santa Croce). Dopo il paese si continua fino a Borgo San Nazario e all’inizio della Strada Napoleonica che porta all’Obelisco (segnavia 12, poco meno di 2 ore da Prosecco) nei pressi di Opicina. Attraversata la strada asfaltata si perviene all’ex Albergo Obelisco, di fianco al quale parte la strada per il campeggio; si prosegue attraverso i boschi fino a Conconello (segnavia 1, circa 50 minuti dall’Obelisco). Dopo un tratto su asfalto si giunge alla Sella di Banne da cui si continua (sempre con segnavia 1) fino al Monte Belvedere e alla Vedetta Alice (452 m). Seguendo il tracciato di cresta, inizialmente stretto ma via via più ampio, si guadagna il valico di Monte Spaccato. Passati sotto l’autostrada, si procede lungo il tracciato 49 in direzione di Basovizza; incrociata la strada asfaltata diretta a Padriciano, si continua lungo il sentiero che, dopo aver fiancheggiato i campi da golf, porta alla statale 14 per Basovizza (massimo 3 ore da Conconello). Attraversata la rotabile, si segue ancora il tracciato 49 diretto a San Lorenzo; attraversato il bosco Venezian Bazzoni si risale fino a vedere le ardite pareti calcaree – chiamate anche Rose d’Inverno – che dominano la Val Rosandra.

Antichi volumi al Centro Naturalistico Didattico di Basovizza
Antichi volumi al Centro Naturalistico Didattico di Basovizza

Arrivati alla Vedetta di San Lorenzo in breve si raggiunge l’omonimo paese (un’ora dalla strada per Basovizza). Da qui il sentiero 15 porta alla vecchia ferrovia e alla Vedetta Moccò; scesi in Val Rosandra, prima del Rifugio Mario Premuda e dopo un ponte, si trova di nuovo una strada asfaltata e si scende verso valle fino ad incontrare, sulla sinistra, il tracciato 37 che risale al tavolato del Monte Carso (circa 2 ore e mezzo da San Lorenzo; la cima vera e propria è in Slovenia). Lungo il sentiero 46 si raggiungono la Vedretta di Crogole e San Dorligo della Valle. Da qui si può tornare a Trieste con il bus della linea 40); dalla città, a Piazza Oberdan, parte il bus numero 44 che va ad Aurisina e a San Giovanni del Timavo.

 

 

Passeggiando in Val Rosandra

La chiesetta arroccata di Santa Maria in Siaris, in Val Rosandra
La chiesetta arroccata di Santa Maria in Siaris, in Val Rosandra

Punto di partenza di questa escursione è Bagnoli della Rosandra, che si trova a est di Trieste ed è facilmente raggiungibile anche dalla strada costiera. Dalla piazza del paese si diparte la rotabile (interdetta ai veicoli non autorizzati nei giorni festivi e prefestivi) che porta al Rifugio Mario Premuda della Società Alpina delle Giulie (82 m). Alle spalle dell’edificio, in prossimità dei resti romani si trovano le indicazioni per il Sentiero dell’Amicizia. Si prosegue sulla destra seguendo il sentiero 37 e, giunti a un bivio, si imbocca il panoramico sentiero di destra contrassegnato dallo stesso segnavia.

I colori dei vigneti carsici in autunno
I colori dei vigneti carsici in autunno

Risalito il crinale, si attraversa la boscaglia fino a un promontorio; più avanti si trovano la cosiddetta Grotta delle Antiche Iscrizioni (circa un’ora di cammino dal Rifugio Premuda) e un altro bivio dove il sentiero si collega con quello proveniente da San Dorligo della Valle. Senza raggiungere la sommità del Monte Carso, si procede a sinistra (segnavia 46) e ad un ulteriore bivio si svolta sulla destra nel bosco. Oltrepassata una tabella che indica il confine con la Slovenia, si continua per il cammino che porta al crinale con il Cippo Comici, eretto in memoria del celebre scalatore. Un evidente sentiero porta in prossimità della chiesetta di Santa Maria in Siaris, dalla quale si scende alla mulattiera che si collega al Rifugio Premuda. Il percorso richiede poco più di 2 ore e mezzo di cammino; il sentiero (classificato E) supera un dislivello complessivo di circa 300 metri ma non presenta difficoltà tecniche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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