Il sapore dell'oro

Nel Friuli nord-orientale, sulle scoscese colline attorno a Nimis intagliate dalla mano dell'uomo, i filari delle viti disegnano un paesaggio unico e danno vita a un nettare di saggezza antica e qualità riconosciuta, il Ramandolo. Andiamo a scoprirne i segreti là dove nasce, nella conca morenica che alla fine di ottobre è lo scenario della tradizionale vendemmia tardiva.

Indice dell'itinerario

”Delizioso Ramandolo, il vino che, sin dal Medioevo, raggiungeva a dorso di mulo la mensa papale, e che ha dato fama alla plaga. Nella quale il sole, la terra e la gente diventano uno stesso elemento” Così Chino Ermacora, scrittore e regista di Tarcento, descrive la prima cru del Friuli Venezia Giulia, unica della regione a portare il nome della zona di provenienza contendendo a un altro DOC, il Picolit, il primato di vino dolce locale. Se infatti sono in molti a conoscere e apprezzare le sapienti fragranze di questo passito, non tutti sanno che Ramandolo è anche il nome di una minuscola località dei Colli Orientali, area di per sé vocata alla produzione di eccellenze vinicole che non temono paragoni.
Le uve sono quelle del Verduzzo, che come il Refosco è un vitigno autoctono del Friuli. Ma, si badi bene, non la varietà Verduzzo Verde, da cui nasce un vino secco, fruttato, di colore giallo con trasparenze verdognole e ideale da accompagnare a pesce e antipasti; bensì il Verduzzo di Ramandolo dal quale, con apposito procedimento, ha origine un passito color oro, leggermente tanninico, amabile ed equilibrato.
Insignito della DOC nel 1992 e quindi della DOCG nel 2001, il Ramandolo ha origine in un territorio di una sessantina d’ettari appena fra il comune di Nimis, dove si concentra la maggior parte dei produttori, e quello di Tarcento: benvenuti nella zona vitivinicola più settentrionale del Friuli, una magica conca protetta dal Monte Bernadia a nord e dalle fasce collinari a est, tra “piccoli terrazzamenti costruiti col badile al prezzo di fatica immane” – per usare le parole dell’enologo Piero Pittaro – dove la mano dell’uomo ha ridisegnato il paesaggio con geometrie peculiari e irripetibili.
La posizione geografica non è il solo segreto del Ramandolo: l’altro grande alleato è la marna arenaria, terreno argilloso e ricco di sali minerali capaci di aggiungere fragranze a un vino che, scrive ancora Pittaro, “ha colore giallo dorato, quasi oro antico o buccia di cipolla; odore di miele di castagno, con sfumature di miele di tiglio e, invecchiando, di frutti di bosco, muschio, fieno”. Sentori oggi forse ancora più suadenti che in passato poiché la produzione tende a un recupero controllato del tannino naturale, caratteristico del Verduzzo, che bilancia gradevolmente l’aroma dolce con l’effetto di rendere il prodotto più equilibrato e interessante. «Niente è affidato al caso» spiega Pierluigi Comelli, erede di una storica famiglia di produttori e presidente, dal 1996, del consorzio che riunisce una ventina di aziende della zona. «Siamo convinti che la qualità del vino è legata soprattutto alla cura della pianta, piuttosto che alle lavorazioni successive. E noi abbiamo scelto di puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità». Proprio per questo i vigneti rendono al 45% anziché al 70%, come avviene nelle normali produzioni vinicole.
Le uve del Ramandolo vengono raccolte con vendemmia tardiva, che si effettua nella seconda metà di ottobre e, in annate eccezionali, può essere ritardata fino ai primi di dicembre. Dopo la raccolta, rigorosamente a mano, i grappoli vengono sottoposti a un periodo di appassimento di un mese o più in luogo chiuso, ben aerato, a temperatura costante e adeguatamente deumidificato (soprattutto nei primissimi giorni, quando l’eccesso di acqua nell’ambiente potrebbe favorire l’insorgere di muffe). Dopo la vinificazione il prodotto riposerà per un anno prima di essere consumato e potrà venire sottoposto, nelle annate che lo meritano, a un passaggio in barrique.

Un weekend tra le vigne
Utile tappa per iniziare la visita al comprensorio del Ramandolo è il punto informazioni turistiche sulla piazza principale di Nimis dove, oltre a ricevere indicazioni su percorsi, eventi e visite guidate, è possibile noleggiare direttamente biciclette da strada o mountain bike. Da qui si raggiunge in breve la chiesetta dei Santi Gervasio e Protasio, risalente al VI secolo (è la più antica del Friuli dopo la basilica di Aquileia); e non è un caso se il simbolo riportato sull’etichetta del Consorzio del Ramandolo è costituito dal cerchio celtico e dalla ruota longobarda, entrambi incisi su un’antica pietra esposta all’interno della chiesa sulla parete di sinistra.
Converrà quindi portarsi fino alla cappella votiva della Madonna delle Pianelle, luogo di una leggendaria apparizione della Vergine, dove ogni anno a fine agosto si svolge una caratteristica sagra paesana. Nei pressi è stata da poco realizzata un’area attrezzata comunale per la sosta dei camper, e proprio da qui parte un sentiero segnalato che si addentra fra i vigneti della conca e, in un’oretta di cammino, sale alla chiesetta di San Giovanni. Sul luogo si arriva anche in bici, lungo lo stesso percorso, o ben più comodamente con il camper o l’auto, seguendo da Nimis le indicazioni per la frazione Ramandolo e parcheggiando nelle immediate vicinanze della chiesa (se si ha un veicolo di lunghezza superiore ai 6 metri e mezzo bisogna però prestare attenzione perché gli spazi di sosta e di manovra sono ridotti). Il piccolo tempio, che custodisce sculture lignee del XVII secolo, è una tappa irrinunciabile di qualunque incursione enoturistica nella zona: sia per il panorama che da qui si apre sui vigneti sia per la possibilità di sorseggiare, nell’attigua osteria, un calice di vino accompagnato da un piatto tipico.
Passeggiando con calma tra i filari, meglio ancora se in compagnia di una persona esperta, si impara a interpretare i segni del paesaggio, a leggerne le trasformazioni. Noteremo ad esempio che i vigneti più antichi utilizzano il sistema di crescita a cappuccina, tipico delle coltivazioni collinari, mentre quelli di recente impianto sono a guiot, che consente di limitare la produzione dei ceppi a tutto vantaggio della qualità del grappolo; e sarà facile scorgere tanti appezzamenti con viti impiantate da poco, segno che qui l’enologia è una risorsa sulla quale si continua a credere e investire.
Per addentrarsi ancora meglio nei segreti della produzione non rimane che recarsi direttamente in visita presso una o più aziende vinicole. Alcune di loro sono state premiate più volte dalla Guida ai Vini del Friuli Venezia Giulia, altre sono guidate da imprenditori appassionati che hanno contribuito a far conoscere e apprezzare il Ramandolo al di fuori dei confini italiani. Vi sono aziende familiari, dove la cantina fa parte dell’abitazione, e altre di medie dimensioni, dotate di strutture modernissime che sintetizzano anche nelle innovative architetture l’esigenza di progresso pur senza rinunciare al legame con le tradizioni. Altre ancora sono agriturismi, che oltre alla possibilità di acquistare e degustare i prodotti offrono una genuina accoglienza all’interno di una tipica casa friulana. E sarà attorno al vecchio fogolar che l’anziano padrone di casa si lascerà andare ai racconti del passato: storie di tempi lontani e difficili, storie di guerra, di emigrazione, di una terra profondamente lacerata dal terremoto del 1976; ma anche storie di passione, di ritorno alle origini, di ricostruzione, storie di gente rude e genuina dalla rustica cordialità. Assaporando intanto il sapore dell’oro, e il lento scorrere delle ore.

Testo di Michela Bagatella
Foto dell’autrice e dell’Archivio Tommasoli

PleinAir 459 – ottobre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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