Il sale della vita

Nel Norte cileno, a 1.600 chilometri da Santiago, il Salar de Atacama offre al pleinair leggero i suoi fantastici scenari di sabbia, rocce e acque minerali, circondati da maestose vette vulcaniche. Un luogo dall'impronta mistica, che prima dell'arrivo dei conquistadores vide il fiorire di una delle più importanti civiltà preincaiche.

Indice dell'itinerario

Distese rocciose dalle tinte calde si alternano ai salar ricamati di bianco salgemma, che la sabbia portata dall’oceano tinge di beige e di rosa. Dune sinuose nei toni dell’ocra lasciano spazio a oasi inaspettate mentre lo sguardo spazia lontano, oltre le nuvole in marcia verso lontani orizzonti, tra i colori accesi dall’aria asciutta e cristallina. E’ il paesaggio incontaminato della Puna de Atacama, nel Cile nord-orientale al confine con la Bolivia e l’Argentina: unici punti di riferimento sono le cime innevate dei vulcani Láscar e Licancabur, insieme alle misteriose sculture di roccia e sale che si alzano qua e là fra le alture sabbiose.
Il nostro viaggio è cominciato a San Pedro de Atacama, un villaggio di 3.000 anime che si trova 1.670 chilometri a nord di Santiago del Cile ed è il punto di partenza ideale per una visita ai luoghi più affascinanti della regione del Norte Grande. Dalla capitale cilena è consigliabile arrivare in aereo a Calama, la città più vicina, e quindi prendere uno degli otto pullman che ogni giorno in un’ora e mezzo portano a San Pedro. Sorto in un’oasi in mezzo al deserto a 2.500 metri di altitudine, il paesino offre alloggi per tutte le tasche – compresi due campeggi ben alberati – e la possibilità di effettuare numerose escursioni a piedi, in bicicletta e a cavallo nelle località più vicine, o in fuoristrada verso quelle più distanti.
Centro della cultura atacameña, San Pedro merita una visita di un giorno: il tempo necessario anche per adattarsi alla quota elevata, soprattutto nell’ottica di proseguire con trekking più impegnativi. Nonostante sia diventato uno dei più importanti centri turistici della regione, l’abitato ha mantenuto l’aspetto originario e anche per questo è stato dichiarato monumento nazionale. Sulle vie sterrate si addossano le casette in adobe, intonacate di bianco secondo il caratteristico stile andino, che oggi ospitano botteghe di souvenir per i turisti. Una di queste, in Plaza Mayor, risale all’epoca incaica, ovvero al XV secolo, e si pensa che sia servita da abitazione a Pedro de Valdivia, una delle figure più importanti nella conquista spagnola dell’America Latina. Altro edificio di rilievo sulla stessa piazza è la candida Iglesia de San Pedro, eretta nel XVII secolo in stile atacameño, dal curioso tetto a travi di legno di algarrobo legate con strisce di cuoio e coperte da tavole di cactus, fango e paglia.
Per farci un’idea della cultura delle popolazioni preispaniche non possiamo invece mancare la visita al Museo Arqueológico, che conserva una delle collezioni più interessanti del Cile ed è intitolato a Gustavo Le Paige, un gesuita belga che si era trasferito a San Pedro negli anni ’50 e che raccolse il primo nucleo di reperti esponendoli nella parrocchia. Dei pezzi in mostra ci impressionano le mummie umane risalenti all’età paleolitica, fra cui una donna e un bambino sepolti insieme in un’urna funeraria, e alcuni crani di persone appartenute a famiglie nobili, riconoscibili dalla caratteristica malformazione ottenuta schiacciando le ossa fra tavolette di legno. Non meno interessante è la sala del tesoro dell’Atacama, che raccoglie vasi, gioielli d’oro e collane di pietra di influenza Inca.

Cultura nativa
Completamente differente per lingua, tradizioni e costumi da quella delle altre popolazioni preispaniche, la cultura di San Pedro de Atacama ha origini antichissime. Circa 12.000 anni fa gli Atacameños, provenienti dagli altopiani settentrionali, si trasferirono nella depressione andina che dal Salar de Atacama si estende a nord fino a Chiu Chiu e a sud fino alle Ande argentine. Ben diverso da oggi dovette apparire loro il salar, quando il livello più alto dell’acqua e le piogge più abbondanti consentivano il fiorire di una ricca vegetazione sulle rive del lago e lungo i torrenti, habitat ideale per varie specie animali. Proprio l’abbondanza di cibo favorì l’insediamento di comunità sempre più numerose, in grado di sfruttare le risorse degli ambienti andini alle diverse altitudini: le praterie ricche di selvaggina dei freddi altopiani nella bella stagione, le fertili distese del Salar de Atacama durante l’inverno. Qui le comunità nomadi si stabilirono definitivamente intorno al II millennio a.C., dedicandosi all’agricoltura e alla pastorizia; gli Atacameños furono i primi a introdurre la coltivazione terrazzata di legumi e di altre specie commestibili. I reperti di pietra, metallo, ceramica mostrano l’evoluzione delle tecniche e della cultura di questo popolo, che raggiunse il massimo splendore nel XII secolo con la costruzione di villaggi fortificati e l’espansione in Argentina, Bolivia e Perù. Nel 1473 vennero sconfitti dagli Inca, a loro volta sottomessi nella metà del XVI secolo da truppe ben più minacciose, quelle spagnole guidate da Diego de Almagro e Pedro de Valdivia.
Con le testimonianze lasciate sul territorio dalle popolazioni preispaniche ha inizio anche il nostro primo itinerario nei dintorni di San Pedro. A pochi chilometri dal paese si trova infatti la Pukará de Quitor, una fortezza del XII secolo che da un’altura domina l’oasi e il Rio San Pedro. Raggiungibile a piedi, in bici o a cavallo, come nel nostro caso, è composta da un bastione circolare attorniato da abitazioni e da un muro difensivo in corrispondenza del punto di accesso dalla valle. Costruita e successivamente rinforzata dagli Atacameños per proteggersi dagli Inca, non resistette però agli attacchi spagnoli e fu anzi teatro della feroce e decisiva battaglia del 1540 contro il conquistador Francisco de Aguirre.
Rimontiamo in sella per spostarci una decina di chilometri a sud del paese e visitare l’insediamento più antico della zona, Aldea de Tulor: qui gli scavi archeologici vanno avanti da tempo. Abitate tra il IX secolo a.C. e il VI d.C. da una comunità di circa duecento persone, le case sono giunte fino a noi con la parte superiore delle mura in buone condizioni, grazie alla protezione della sabbia del deserto. La ricostruzione di due alloggi svela al visitatore le tecniche costruttive impiegate dagli antichi indios e l’aspetto originario degli edifici, con il tetto conico di paglia.

Di sabbia e di vento
Storia e archeologia danno alla visita una dimensione particolare, ma la vera regina del Norte Grande è la natura, con i suoi ambienti incontaminati e gli intensi colori del paesaggio. Per incontrarla basta entrare nella Reserva Nacional Los Flamencos, a pochi chilometri da San Pedro, e attraversare la Cordillera de la Sal fino alla celebre Valle de La Luna. Se si vuole assistere allo spettacolo del tramonto è consigliabile partire nel pomeriggio noleggiando una mountain bike dotata di luci, per non dover tornare a piedi nel buio della notte. Due canyon conducono alla piccola Valle de la Muerte, curiosamente nota anche come Valle de Marte, che deve il nome funereo all’assenza di esseri viventi e al silenzio assoluto che vi regna. Ad animare uno scenario di colli rocciosi striati di salgemma sono alcune stupefacenti sculture naturali, dette Las Tres Marias per la loro forma che potrebbe ricordare tre donne raccolte in preghiera, mentre la perfetta rotondità delle dune è rotta qua e là dalle corse dei turisti e dai solchi delle sandboard, le tavole per scivolare sulla sabbia.
Attraversata la Cordillera, al confine del Salar de Atacama, si arriva alla Valle de la Luna, arida depressione a 2.550 metri di altitudine che in tempi remoti, prima di essere deformata dallo scontro fra le placche tettoniche, era il fondo di un lago. Dichiarata santuario della natura già nel 1982, è uno scenario naturale veramente unico, nato dal paziente lavorio di sabbia e vento: il terreno, ricco di sale, gesso e argilla, lascia affiorare arabeschi cristallini che alla luce del tramonto si accendono di riflessi rossi e viola. E noi, dall’alto della duna che cinge la valle, ammiriamo la Cordillera Domeyko e il Licancabur mentre vestono insoliti abiti dalle tenui tinte pastello, che sfumano verso le ombre del crepuscolo.

Lagune di montagna
Il candore del sale è il motivo dominante del nostro primo incontro con il Salar de Atacama e i suoi specchi d’acqua. Meglio essere accompagnati da una guida per non perdersi tra i mille bivi che conducono alla Laguna Cejas e, attraverso i piccoli ma profondi pozzi d’acqua dolce detti ojos, alla Laguna Tebinquiche: si tratta di due delle numerose macchie turchesi che scandiscono la lattea superficie del deserto, un’ampia depressione in cui defluiscono il Rio San Pedro e i rivoli che, filtrando dalle montagne, originano un bacino di acqua salmastra lungo 100 chilometri e largo 30. Nelle acque trasparenti della Laguna Cejas, una delle poche in cui è possibile bagnarsi, l’elevata salinità consente di rimanere facilmente a galla; il cloruro di sodio, inoltre, rende l’aria estremamente secca favorendo una visibilità maggiore del normale e creando curiosi effetti ottici, che fanno apparire vicini oggetti in realtà lontanissimi. Raccolto da decenni, il sale non è però l’unica ricchezza della zona, che custodisce nel sottosuolo il 40 per cento delle riserve mondiali del ben più prezioso litio.
Un altro itinerario di visita della riserva con partenza da San Pedro ci porta sulla Ruta Nacional 23, che seguiamo per 30 chilometri fino a Toconao. Piccola oasi a 2.745 metri di altitudine, il paese trae nome dalla pietra, essendo questo il significato della parola toco. Le case di colore chiaro sono infatti di liparite, una tenera roccia vulcanica che viene adoperata anche dagli abili artigiani del luogo per scolpire figure umane e miniature di chiese e campanili, come quello di tre piani che affianca la settecentesca chiesa di San Lucas. Da Toconao proseguiamo verso sud fino al villaggio di Socaire, oltre il quale la strada costeggia i monti Miscanti e Miñiques con vette che sfiorano i 6.000 metri. Qui, ad oltre 4.000 metri d’altitudine, si trovano le Lagunas Altiplánicas, specchi azzurri incorniciati di bianco nati dall’attività del vulcano Miñiques, che durante un’eruzione sbarrò il corso delle acque prodotte dal disgelo di antichi ghiacciai. Facile incontrare l’elegante fenicottero cileno – il flamenco da cui l’area protetta prende il nome – che sceglie proprio questi laghi per nidificare: tranquillo e silenzioso, lo si può vedere chino sulla superficie salmastra in cerca di alghe e dei piccoli crostacei, responsabili della tipica colorazione rosa del piumaggio, o sentirlo quando si leva in volo emettendo il caratteristico trillo.

Oltre il confine
Il nostro viaggio nella Reserva Nacional Los Flamencos si conclude in crescendo con un’impegnativa escursione al Salar de Tara e ai Monjes de la Pacana. Questa volta però è davvero il caso di affidarsi a un’agenzia: a richiederlo è il percorso stesso, che attraversa difficili rotte sterrate sconfinando in Bolivia e conduce ad altitudini molto elevate, che possono indurre i tipici disturbi del mal di montagna.
Da San Pedro la Ruta 27 si dirige verso est, costeggiando il Licancabur, e prosegue in territorio boliviano. La strada che s’inerpica sull’altopiano sale decisamente di quota, e per acclimatarsi è bene fare soste frequenti e bere molta acqua. Immersi in un paesaggio di desolata e selvaggia bellezza, arriviamo alla Laguna Verde, ai piedi del vulcano: il blu trasparente del cielo si elettrizza a contatto con il luccichio delle cime innevate e di qualche nuvola passeggera, il rosso della terra e delle alture abbraccia il verde pallido della vegetazione, solcato dalle profonde macchie azzurre delle acque e dalle pennellate di bianco sul fondale di pietra grigia. Immersi in questo tripudio di colori arriviamo a Salar de Tara, dove si trova l’omonima laguna la cui superficie varia da 3 a 25 chilometri quadrati secondo il periodo dell’anno. Ad accoglierci troviamo piccole mandrie di lama intenti a brucare l’erba sulle rive.
Dal Salar de Tara si può proseguire in territorio argentino attraverso il Paso de Jama, ma per noi è giunto il momento di tornare alla base. Rientriamo così a San Pedro passando dal Salar de Aguas Calientes e incontrando un’altra delle tante sorprese di questo viaggio: i Monjes de la Pacana, monoliti alti più di 20 metri che svettano, isolati o in gruppo, sull’orizzonte del deserto. Un’immensa distesa rosea vegliata da cime lontane per l’ultimo, indimenticabile saluto con la natura cilena. l

Testo di Sara Branca Foto di Flavia Faranda

PleinAir 451 – febbraio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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