Il ritorno dei romani

Una nuova avventura escursionistica di un gruppetto ormai collaudato, che dall'Urbe ha raggiunto le piovose campagne inglesi per seguire il Vallo di Adriano. Sei giorni a piedi lungo la grande muraglia britannica tra mucche con la frangetta, panciuti giocatori di freccette, inquietanti colazioni a base di pudding e, ovviamente, fortini, musei, aree archeologiche e altri ricordi della grande opera dei Romani (quelli con la maiuscola).

Indice dell'itinerario

Ci risiamo. Il tempo è passato, insieme all’acqua sotto i ponti e ai capelli dalla testa, ed eccoci di nuovo qui, in una grigia mattinata estiva, a camminare sul marciapiede grigio davanti alle case grigie di Wallsend, dopo aver lasciato il caldo rifugio del Dorset Arms e il suo gestore tatuato. La formazione è quella ormai sperimentata: davanti Gaetano, Federico e Giacomo che chiacchierano, e dietro il capo, cioè io. I pochi passanti sbirciano incuriositi la nostra piccola comitiva, tre ragazzi e un signore di mezz’età in abbigliamento da grande avventura che si aggirano di domenica mattina in un tetro sobborgo di Newcastle, Inghilterra del nord-est, e certamente si chiedono che cosa ci facciamo da queste parti. Il fatto è che a poche centinaia di metri da qui cominciava il Vallo di Adriano, la barriera lunga circa 120 chilometri che il previdente imperatore, nato nei pressi della caliente Siviglia, aveva deciso di costruire tagliando in due la nebbiosa Britannia.
Gli storici hanno di che dibattere quando spiegano il motivo per cui venne eretta questa grande cinta nordica. Qualcuno parla della suggestione esercitata dalla Muraglia Cinese sul colto Adriano, altri spiegano che, più banalmente, i Romani si erano scocciati di vedere uomini dipinti di blu e vestiti con strani gonnellini a quadri che andavano avanti e indietro dalla Scozia alla Britannia seminando la confusione nelle ordinate città della zona. Fatto sta che, nella primavera dell’anno 122, i tosti militari delle tre legioni II Augusta, VI Victrix e XX Valeria Victrix iniziarono la costruzione di quel muro che dall’estuario del Tyne, sulla costa orientale dell’isola britannica, in cinque anni di lavoro sarebbe arrivato fino alle rive del Solway Firth, sulla costa occidentale. E noi, zaino in spalla e scarponi da trekking ai piedi, ne seguiremo le tracce in una settimana di cammino o giù di lì.

Day one • Da Wallsend-on-Tyne a Heddon-on-the-Wall

Ai piedi della stazione della metropolitana di Wallsend – il cui nome significa appunto “fine del Vallo” – i buontemponi locali hanno deciso di installare una segnaletica bilingue: accanto al classico No smoking campeggia l’equivalente latino Noli fumare. Entriamo nel recinto del forte, il nostro primo monumento romano nella terra degli infidi Britanni, e ci dirigiamo verso l’accogliente museo. In mezzo a una profusione di spade di plastica, soldatini di piombo e libri per bambini, una simpatica guida ci fa depositare gli zaini in una specie di cassonetto che chiude con un lucchetto (forse in attesa del camion della nettezza urbana, ci diciamo un po’ preoccupati). Sala dopo sala, arriviamo a un belvedere che affaccia sulle poche pietre e sui terrapieni che tracciano il profilo del forte di Segedunum. Su uno schermo scorrono le immagini di un documentario, presentato da un moderno centurione che somiglia comicamente ai suoi colleghi schierati ogni giorno davanti al Colosseo in attesa dei turisti.
Giacché la cultura è importante ma la strada da percorrere è lunga, ci stacchiamo da queste meraviglie multimediali per iniziare a camminare lungo la foce del Tyne. In un ambiente periferico un po’ inquietante, ci accorgiamo che il nostro itinerario sta costeggiando un luogo fondamentale della storia della marineria britannica: i colossali cantieri navali che si trovavano sul fiume, oggi smantellati, hanno varato transatlantici come il Mauretania e il Carpathia (che recuperò i naufraghi del Titanic) oltre a decine di corvette, incrociatori e corazzate della Royal Navy. Il paesaggio, va detto, non è dei più allegri, e per dare un aiuto al grigiore dell’insieme finalmente inizia a piovere.
Newcastle-upon-Tyne si annuncia con uno skyline formato quasi solo da ponti di ogni genere, e ce n’è perfino uno basculante che sembra fatto apposta per spedire nel fiume i pedoni distratti. Di fronte a tanta moderna magnificenza, a noi viene fame: Giacomo si avventa su un piatto di uova con prosciutto in salsa multicolore, mentre gli altri ripiegano su miseri piattini con una dozzina di salsicce ciascuno. Ben zavorrati, riprendiamo il lungofiume e, superato uno svincolo doppiamente pericoloso a causa della cattiva abitudine nazionale di guidare sul lato sbagliato, lasciamo la città e ci immergiamo nel tipico ambiente rurale britannico.
Attraverso campi di battaglia in cui scozzesi e inglesi hanno combattuto ferocemente, seguiti da enormi campi da golf, saliamo verso Heddon-on-the-Wall alla ricerca del nostro ostello. Dopo esserci smarriti seguendo assurdi cartelli che indicano il public path in mezzo a una selva oscura, finalmente raggiungiamo la meta, che si rivela essere una gigantesca fattoria piena di cani, cavalli e signori paffuti. Siamo avvolti da una nuvola di vapore generata dalla combinazione fra la sudata della lunga tappa e l’umidità generale, e i miei compagni di viaggio si abbattono senza una parola sui loro letti, lamentando dolori di ogni sorta. Dopo una doccia rinfrancante giunge il momento tanto atteso della cena, ma non avendo una cucina a disposizione siamo costretti a ordinarla a un take-away nei dintorni. La scelta è vasta, ma traditrice: le pizze e gli hamburger andrebbero velocemente dimenticati, se solo fosse possibile. Smaltiamo i resti rimpinzando tutti i cagnolini del posto, ci ungiamo di pomata all’ibuprofene come lottatori di sumo e crolliamo nel sonno dei giusti.

Day two • Da Heddon-on-the-Wall a Newbrough

Al risveglio, sotto una leggera pioggerella, constatiamo con stupore che i cagnolini che avevano divorato le nostre pizze sono ancora vivi; quindi ci mettiamo in marcia, mentre il sole fa capolino tra le nuvole che corrono nel cielo. Tutti si lamentano, e Giacomo zoppica vistosamente adducendo come giustificazione di «non aver più messo queste stramaledette scarpe dall’anno del giro del Monviso». Fra una lagna e l’altra abbiamo modo di ammirare un paesaggio maestoso, con alberi secolari di dimensioni imponenti che si stagliano su prati brulicanti di pecore. Il Vallo, dopo qualche breve tratto che si scorgeva a Heddon, qui non si vede, ma se ne intuisce la forma nel profilo degli appezzamenti: a fianco del muro correvano infatti una strada e un fossato e, se il tempo e gli uomini hanno fatto scomparire le pietre, non sono riusciti a trafugare il fossato. Il piacevole e ben tenuto sentiero (segnalato da placchette di metallo con un ramoscello di quercia, simbolo del National Trust per i luoghi di interesse storico o paesaggistico) richiede una serie infinita di scavalcamenti di scalette e di aperture e chiusure di cancelli man mano che si attraversano le proprietà private.
Superato un lago, costeggiamo un tratto in cui si distinguono le fondamenta del grande muro e ci fermiamo in un’allegra locanda che risponde al nome di Robin Hood (ma l’eroe in calzamaglia non abitava nella Foresta di Sherwood?). Dopo che i ragazzi si sono ingozzati di ogni sorta di lipidi e zuccheri, decidiamo di deviare in direzione sud-ovest per raggiungere Corbridge, dov’era uno degli insediamenti romani più importanti della zona. Intorno a un fortino in pietra, edificato nell’anno 130, crebbe un villaggio di cui rimangono visibili le strade principali e i granai, con il pavimento sollevato dal suolo per evitare l’umidità.
Siamo pronti per l’ultimo sforzo, e dopo aver fatto scorta di succhi di frutta ipervitaminici passiamo Hexham e raggiungiamo Newbrough, un gruppo di case sperduto in mezzo alla campagna. A un miglio e mezzo dall’abitato si trova la fattoria di Carr Edge, annidata in mezzo al nulla: la signora che ci accoglie è gentile, ridacchia a lungo quando legge che alcuni di noi sono nati a Roma, poi ci introduce in una stanzetta con quattro letti ricoperti di trapunte di tulle e falpalà. Su ognuno dei nostri giacigli, oh gaudio, fa bella mostra di sé un foglio da compilare per ordinare la colazione dell’indomani: con sprezzo del pericolo, Giacomo mette una croce sulla casella del black pudding (ma non solo) suscitando la nostra ammirazione più sincera. La sera, che qui cade intorno alle 18, ci vede su una Land Rover piena di peli di cane diretti a folle velocità verso l’unico pub della contea, dove la simpatica Sandie Gibson, cioè la padrona di casa, ci verrà a recuperare nel cuore della notte, cioè alle 19.30.

Day three • Da Newbrough a Bardon Mill

Dopo un sonno sereno, cullati dallo scrosciare della pioggia, balziamo in piedi spinti dalla curiosità della colazione che ci attende. La tavola è apparecchiata a festa, e al posto di Giacomo troneggia un piatto con il black pudding circondato da uova e salsicce. Noialtri, quando ci viene offerto il sinistro sformato, facciamo finta di nulla parlando fitto fitto di calcio e ballerine, che in questa estate del 2009 sembra si chiamino escort.
Salutate due bellissime mucche delle Highlands che non si muovono dal loro prato (probabilmente perché non vedono nulla, data la frangetta), lasciamo l’amena fattoria e iniziamo la nostra risalita al Vallo sotto un’imprevedibile pioggerella. Tra fossato e terrapieni, il muro è ormai facile da riconoscere; dall’ennesima scaletta insaponata antipecore entriamo nel recinto degli scavi del forte di Brocolitia. Al centro, nei resti del mitreo caro ai soldati della coorte I Batavorum Equitata che vi giocavano a dadi o a una specie di dama, scattiamo l’obbligatoria foto di gruppo prima di ripartire, accompagnati dai gemiti di un Giacomo sempre meno in forma. Poi, in un attimo, esce il sole e le pietre del Vallo appaiono in tutto il loro splendore tra le verdi colline, mentre il nostro dolorante compagno si sdraia, si leva gli scarponi e giura su quanto ha di più caro che non se li rimetterà per nessun motivo. Fatta di necessità virtù, dopo un po’ la banda riparte con uno dei viaggiatori che sguazza tra pozzanghere e fanghiglia calzando un elegante paio di mocassini, e dando così una sonora lezione di stile ai pochi britanni che incontriamo lungo la via: la classe non è acqua.
Spazzolati per bene da un ventaccio che fa correre le nubi, si cammina sino a un altro grande forte: si tratta di Vercovicium, presso la tenuta di Housesteads, che durante il II secolo fu popolato da una valorosa coorte di Tungri. Mentre passeggiamo fra turisti e bimbi biondi, inizia a roderci il tarlo della curiosità: chi erano i Tungri? L’interrogativo ci accompagna nelle successive due ore di cammino per raggiungere il bivio che porta alla città romana di Vindolanda, dove veniamo prelevati da un minuscolo autobus dal nome evocativo: AD 122 (sarebbe a dire 122 dopo Cristo). Vindolanda era un insediamento di medie dimensioni a un paio di miglia dal confine, e a furia di passeggiare tra i resti scopriamo un bar che offre tè e patate fritte e una lapide che cita tutte le unità militari impegnate lungo il Vallo. Tra cui, naturalmente, spiccano i nostri misteriosi Tungri.
Per raggiungere la meta del giorno, cioè l’ostello di Saughy Rigg nelle campagne di Bardon Mill, giochiamo il tutto per tutto e telefoniamo al gestore, un tizio simpatico ma dal nome incomprensibile, che ci viene a prendere con una Land Rover immancabilmente piena di peli di cane. Lunghe docce si alternano all’uso indiscriminato del tubetto di ibuprofene, prima che una pantagruelica cena venga annaffiata da cervogia tiepida nel più puro stile britanno.

Day four • Da Bardon Mill a Walton

E’ un po’ triste la mattina in cui la nostra allegra compagnia perde momentaneamente Giacomo, che decide di proseguire in autobus per un tratto (probabilmente per salvaguardare i mocassini). Ci diamo appuntamento al Chesterholm Museum, dedicato all’esercito romano.
Mentre piove piano e il vento ulula, saliamo al muraglione che qui si snoda con un andamento serpeggiante. Presso il laghetto di Hole Gap qualcuno ha avuto la stramba idea di sistemare dei salvagente, come se a qualche temerario potesse venire in mente di fare il bagno in una polla nerastra con il termometro che segna 7°C. Il percorso sale e scende toccando fortificazioni, accampamenti e fattorie, finché il nostro lento andare viene interrotto dal fulmineo passaggio di un gruppo di corridori che portano sulla canottiera la scritta “Hadrian’s Wall Marathon”. Li scrutiamo con una certa invidia per la loro velocità, poi finalmente iniziamo a scendere verso l’accogliente giardinetto del museo, dove un pimpante Giacomo ci comunica di aver visto già sei volte il filmino proiettato nella sala principale. Coorti, manipoli e centurie si affollano davanti ai nostri occhi, e all’uscita il sole sbuca dalle nuvole a rallegrare la seconda parte della giornata.
Passiamo Gilsland, dove il Vallo superava il corso del fiume Irthing, per poi raggiungere il priorato di Lanercost, al cui ingresso un divertente cartello avverte gli automobilisti che “le nostre mucche mangiano antenne e specchietti”. Lasciatici alle spalle la chiesa e i suoi feroci ruminanti, procediamo a zigzag fra campi coltivati e pascoli. Dopo un paio d’ore passate a intrattenerci in passatempi di enigmistica, che ben si adattano a una piacevole camminata sui verdi prati della Cumbria, un lago di fango annuncia l’arrivo a Walton. Lo passiamo sguazzandoci con gli scarponi, e ci fermiamo con un sorrisetto a osservare Giacomo che, balzando tra un ramo e l’altro, cerca di evitare il pediluvio. Il Sandysike è un bed&breakfast annesso alla casa di una famiglia il cui pater ci accoglie con calore, dichiarando che «era ora che qualche romano venisse a dare un’aggiustata al Vallo».
La sera, mentre sto placidamente fumando la pipa davanti al pub di Walton, un affabile signore fa sfoggio della sua cultura linguistica affermando che è strano vedere «one hombre with three bambinos» giunti fin qui dall’Italia. Nel frattempo, Gaetano e Federico cercano di demolire a colpi di stecca tutti i quadretti di pecorelle e praterie appesi sulle pareti che circondano il biliardo; ciò nonostante, vincono loro. La notte trascorre agitata per la sconfitta al pool e per gli andirivieni di una coppia di danesi accampati in tenda fra le aiuole, che ogni tanto cercano di raggiungere il bagno senza capire che, per evitare di sfondare la porta, è necessario far scattare il chiavistello.

Day five • Da Walton a Carlisle

Il sole splende in un cielo dal blu intenso, una scena che da queste parti non può non generare qualche sospetto. Ci spostiamo nella casa padronale per la colazione, servita in una sala arredata con mobili antichi che sembra uscita da un romanzo di Agatha Christie: ritratti di generali baffuti e dame con le gonne irrigidite dalle crinoline si mescolano a fiocchi di mais, medaglie al valore, salse misteriose, sciabole d’abbordaggio dei gloriosi tempi dell’ammiraglio Nelson e cioccolatini risalenti forse alla stessa epoca.
Si riparte accompagnati da squadriglie di Spitfire della Seconda Guerra Mondiale, caccia avveniristici ed elicotteri enormi che sfrecciano verso l’annuale fiera aeronautica di Newcastle. Tra boschi e praticelli, ad un tratto ci appare una sintesi delle differenze incolmabili tra questi luoghi e il nostro Bel Paese: su un tavolino a fianco del sentiero sta una specie di baule che contiene tramezzini, caramelle, snack, cioccolate, patatine, bibite e birre, con tanto di prezziario e cassettina dove mettere i soldi e prendere l’eventuale resto. Facciamo i nostri acquisti in silenziosa ammirazione, riflettendo sul fatto che in Italia una simile cornucopia verrebbe svuotata in un attimo, e poi scomparirebbero anche il tavolo e il baule.
Il paesaggio, intanto, è cambiato. Siamo ormai a Crosby-on-Eden e, visto che oggi è il primo giorno di sole da un mese, sei trattori tagliano il fieno a una velocità impressionante, con i camion che guizzano fra le trebbiatrici rischiando di spiaccicare l’ignaro escursionista che pensasse di poter intralciare la Grande Fienagione. Qualche casa, un’imponente villa ed ecco all’orizzonte l’agognata Carlisle, che vanta un castello millenario e una splendida cattedrale dove un coro di diaconi e diaconesse canta a squarciagola le glorie del Signore. Attorno alle sue mura antiche, una frotta di ragazzine si aggirano agghindate con creste viola, rossetti verdi e minigonne che non lasciano nulla all’immaginazione, mentre dalla borsetta sbucano bottiglie di birra: attendo di vedere se i miei tre giovani compari hanno qualcosa da dire, ma sembra che anche loro siano un po’ sconvolti. La sera, dopo aver quasi finito tutte le scorte di ibuprofene e nimesulide, ceniamo con due sorridenti energumeni che da diciotto giorni stanno pedalando dalla punta più settentrionale delle Highlands scozzesi alle bianche scogliere di Dover, ovviamente sotto l’acqua.

Day six • Da Carlisle a Newcastle-upon-Tyne
Purtroppo il tempo stringe e non abbiamo il modo di terminare il tragitto fino a Bowness-on-Solway, dove sono state trovate le fondamenta del più occidentale dei forti del Vallo di Adriano: ci attende invece il viaggio a ritroso verso Newcastle, ma stavolta in treno. A parte la difficoltà di capire quale sportello emetta i biglietti giusti, tanto più che da ogni binario parte il convoglio di una compagnia differente, il tragitto si rivela veloce e piacevole. Costeggiamo il percorso delle nostre giornate di cammino: ci vuole poco a raggiungere Newcastle e quindi Wallsend, per la gioia dell’albergatore tatuato di qualche giorno fa.
Una gitarella in metropolitana ci porta a Tynemouth, sulla cui spiaggia il vento gelido sferza i bambini che giocano con la sabbia. La visita al grandioso Discovery Museum prelude alla sosta presso un’altra eccezionale attrattiva culturale: il Great Northern Museum, nelle cui sale si può finalmente scoprire che i nostri amici Tungri erano una tribù gallica, mentre un plastico del Vallo fa mostra di sé in mezzo a reperti finalmente veri e non di plastica.
Arriva il momento della romantica cena in un pub sullo svincolo della superstrada di Wallsend, fra decine di schermi al plasma che trasmettono, suscitando il vibrante entusiasmo degli avventori, gli scontri più accesi tra i panciuti fuoriclasse del campionato mondiale di freccette. Domattina un groviglio di combinazioni aeree low cost ci spargerà fra Barcellona, Londra, Milano e Roma, dopo baci, abbracci, qualche lacrima e la sincera promessa di trovare un’altra meta d’eccezione per l’anno venturo.

Testo e foto di Fabrizio Ardito

PleinAir 454 – maggio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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