Il risveglio di Yoghi

La fine dell'inverno è il momento migliore per visitare il celeberrimo parco di Yellowstone e il vicino Grand Teton: si rischia ancora qualche nevicata, ma la natura si lascia osservare in tutto il suo splendore. La folla dei mesi estivi è ancora lontana, camping e parcheggi sono semivuoti e il v.r. garantisce come sempre la necessaria autonomia.

Indice dell'itinerario

Oltre tre milioni di visitatori varcano ogni anno i confini di due parchi tra i più famosi del mondo, Yellowstone e Grand Teton, le perle del Wyoming. E sì, siamo d’accordo sull’amore per la natura e via dicendo: ma questa massa umana, nonché motorizzata, ha il suo impatto eccome, considerando poi che si concentra soprattutto nella bella stagione quando le temperature sono più accettabili ai circa 2.000 metri di altitudine delle due aree protette. E allora, perché non farsi coraggio – anche rischiando una tardiva nevicata – e raggiungere queste meraviglie naturali quando ancora la folla è lontana? Alla fine dell’inverno o nelle prime settimane di primavera i lodge e i campeggi non sono al completo (per l’estate c’è chi prenota con anni di anticipo) e gli animali si prestano a una certa confidenza: inutile dire che, quando le auto transiteranno a migliaia, andranno a nascondersi nel folto del bosco alla ricerca di tranquillità.
Non c’è bisogno di anticipare troppo, visto che buona parte delle strade si libera dalla neve a fine aprile e molti ristoranti e market aprono solo a metà maggio: ma poco male, perché il camper garantisce l’autonomia dalla ristorazione e nei grandi parcheggi dei centri visitatori il pernottamento è ancora facile. Per poco, però: a giugno inizierà la bagarre.

Infernali meraviglie

Conviene arrivare da sud, cominciando l’itinerario con il Grand Teton e lasciandosi Yellowstone come piatto forte. C’è anche una seconda ragione: Yellowstone è più in alto, e qualche giorno di ritardo può fare la differenza per una strada chiusa a causa della neve.
La vallata prende il nome dalla vicina catena montuosa, di cui il Grand Teton è appunto la cima più elevata, e si capisce subito di essere in un posto magico per chi ama la natura e anche la fotografia. Nel pianoro erboso pascolano bisonti, cervi, alci, mentre uccelli dal piumaggio colorato volano bassi in cerca di cibo. Le montagne innevate si riflettono sul Jackson Lake, dove un falco pescatore cattura un pesce al volo in un silenzio quasi irreale. Nei dintorni i pochi punti sosta sono ancora accessibili, mentre per il trekking sono aperti soltanto i sentieri di fondovalle, che bisogna percorrere con attenzione: gli orsi non si sono ancora rifugiati sulle montagne ed è facile trovarsene uno di fronte, nel qual caso bisogna allontanarsi con molta lentezza, facendo meno rumore possibile e seguendo comunque tutte le istruzioni di sicurezza fornite dai ranger.
Arrivando da Grand Teton è preferibile effettuare l’anello di Yellowstone in senso orario, lasciando per ultime le zone più elevate. La prima cosa che viene in mente arrivando alla stazione più famosa del parco, l’Upper Geyser Basin, è che si tratta di un paradiso travestito da inferno dantesco. I camminamenti in legno conducono direttamente a pochi metri da ribollenti calderoni che odorano di uova marce, in una frenesia di colori che sembra l’incubo di un pittore. L’azzurro trasparente di un’acqua densa di minerali contrasta con il giallo e il rosso dovuti ai batteri, una specie che si trova a proprio agio solo a temperature che sarebbero letali per qualsiasi altro essere vivente. Ma il calore non attira soltanto queste microscopiche forme di vita: la stagione fredda fa di queste sorgenti minerali un luogo ideale dove cercare sollievo e un po’ di verde. La neve infatti si scioglie quasi subito su questi terreni e l’erba cresce tutto l’anno.
Alcuni bisonti pascolano placidi tra i soffi ribollenti: uno spettacolo inusuale, che però può avere uno sgradito effetto collaterale. Un animale selvatico di quasi una tonnellata non va infatti sottovalutato, né i maschi che sono in piena stagione degli amori e neanche le femmine che hanno i vitellini da proteggere. In primavera l’Upper Geyser Basin è il loro territorio, e ai pochi turisti presenti conviene tenersi a debita distanza. In compenso le passerelle di osservazione sono vuote, non c’è l’assurda ressa estiva né la necessità di arrivare in anticipo per trovare un posto in prima fila e, con un po’ di pazienza e di fortuna, si riuscirà ad ammirare i geyser senza problemi. Il più famoso è l’Old Faithful, non tanto per il fatto di essere il più suggestivo quanto perché, per una strana alchimia sotterranea, erutta a intervalli regolari e puntuali, esibendosi in un lancio di acqua bollente che può essere alto, secondo il caso, da pochi metri a qualche decina, della durata di un paio di minuti fino a quasi dieci. Rimangono decine di altri geyser distribuiti in un’area di parecchi chilometri quadrati, alcuni anche più grandi e più belli ma molto meno costanti e precisi nelle loro esibizioni: uno spettacolo riservato ai pochi che hanno la pazienza di trascorrervi l’intera giornata, sedendosi ad aspettare e magari dormendo sul posto per godersi pure l’eruzione al tramonto. E’ in questi momenti che ci si rende meglio conto che non esiste solo il fenomeno eruttivo ma anche i colori delle concrezioni tutt’intorno, formate dai minerali depositatisi in migliaia di anni, fino a scoprire che tutte le bocche siano collegate fra loro. Un geyser erutta e, come per magia, la polla accanto si svuota, risucchiando l’acqua verso il basso. Si riempiranno ambedue pochi minuti più tardi, a eruzione finita, in un fenomeno che lascia senza parole.
Da Upper Geyser Basin si raggiunge in pochi chilometri Midway Geyser Basin, dove si trova l’incredibile Grand Prismatic Spring. La grande polla colorata non è descrivibile e per certi versi nemmeno visibile; le passerelle portano fin sul bordo, ma non si riesce ad avere un colpo d’occhio d’insieme. Conviene allora tornare indietro di circa un chilometro e fermarsi in un piccolo parcheggio lungo la strada (non ci sono indicazioni, ma è riconoscibile perché si trova nei pressi dell’unico ponte che attraversa il fiume). Lasciato il mezzo, facendo attenzione a possibili incontri con gli orsi si cammina per circa un chilometro fino a trovare un sentiero in salita sulla sinistra, che porta sulla cima della collina. Da qui si gode una spettacolare vista panoramica su questa meraviglia geologica che è diventata, a ragione, l’emblema stesso del parco.
Poco più a nord si trova il Lower Geyser Basin. Qui i fenomeni sono più piccoli ma costantemente attivi, ed ognuno è una sorpresa. Da cercare la strada che porta a una piccola deviazione sulla destra, solo pochi chilometri, per poi tornare sul tracciato principale. Il percorso conduce al Great Fountain Geyser, che erutta talmente di rado che è una fortuna riuscire a vederlo, e a tutta una serie di piccoli ma splendidi geyser trascurati dal turismo di massa. Non sono meno belli dei precedenti, ma anche qui il parcheggio è minuscolo e questo forse spiega perché non sono segnalati.

Incontri fortunati

E’ ora il momento di godersi l’altro fondamentale motivo di visita, vale a dire gli animali. La carrabile che prosegue a nord, oltre il bivio per West Yellowstone, attraversa boschi nei quali gli orsi si attardano fino a primavera, quando la folla li porterà a spostarsi più all’interno. Conviene quindi guidare lentamente, con un occhio sulla strada e l’altro nel folto del bosco: un’andatura troppo veloce, oltre a rischiare serie multe, vi farà sfuggire quella grossa ombra che si gratta contro l’albero.
La strada che taglia a metà Yellowstone non è molto interessante, recando ancora pesanti le tracce dell’incendio che devastò il parco nel 1988, per cui conviene proseguire ancora verso nord raggiungendo la piccola porzione di area protetta che si trova nel Montana, dove è situata la stazione di Mammoth Hot Springs. Le piscine in realtà sono quasi tutte a secco e solo in un paio di punti il flusso delle acque termali è tuttora attivo, ma il bianco del calcare si confonde con la neve regalando all’obiettivo un effetto davvero curioso. Qui si trova inoltre il bivio per Gardiner, sempre nel Montana ma ormai fuori dalla giurisdizione del parco: solo pochi chilometri e si può fare la spesa a prezzi convenienti e pernottare senza problemi.
Proseguendo l’anello in senso orario si arriva all’indicazione per la Lamar Valley. Il consiglio di trascorrere la notte a Gardiner non è casuale, perché è preferibile raggiungere questa meta nel silenzio del mattino, prima che gli animali si allontanino dalla strada. Nella valle pascolano numerose antilocapre americane, ed è facile vederle correre sui crinali con i maschi che si combattono perché è la stagione degli amori e le femmine, riunite in branchi, che aspettano di conoscere il vincitore. Con un po’ di fortuna e un buon binocolo si potranno ammirare anche il lupo e l’orso, ancora non infastiditi dalla calca estiva. La Lamar Valley è probabilmente la zona più selvaggia del parco, e non essendoci negozi né locali in cui fermarsi a mangiare conviene affrontarla in totale autosufficienza.
Comincia adesso il tratto più difficile dell’itinerario, l’unico neo di questo anticipo di stagione: il Dunraven Pass, dove si raggiunge l’altezza di 2.700 metri. Purtroppo il valico è spesso chiuso per neve e conviene dunque informarsi prima per non rischiare di dover tornare indietro; di solito però la strada è tenuta il più possibile sgombra, ed è emozionante transitare fra due pareti bianche alte anche qualche metro.
Superato il passo, la carrabile torna subito in basso portandoci al Grand Canyon di Yellowstone. La zona è finalmente accogliente, ci sono negozi dove fare la spesa, ampi parcheggi e un punto da raggiungere a piedi con una breve camminata: Artist Point, che da solo varrebbe il viaggio. Ci si affaccia su un canyon bellissimo dove lo Yellowstone River, reso gonfio dal disgelo, si esibisce in grandi cascate. Le rocce gialle che fiancheggiano la gola, secondo la tradizione, hanno dato il nome al parco.
Non resta che concludere l’itinerario con la discesa lungo il corso dello Yellowstone River fino al grande Yellowstone Lake, che non presenta particolari attrattive dopo tutto quello che si è visto finora: ma attraversare la Hayden Valley può riservare ancora qualche bella sorpresa. A parte una piccola sosta al Mud Volcano, una polla di fango ribollente circondata dalle marmotte, c’è da considerare che l’intera area, essendo molto umida in questa stagione e con le parti pianeggianti spesso invase dall’acqua, è un habitat davvero accogliente per le oche del Canada e le aquile pescatrici. Inoltre al di là del fiume, dove si sente al sicuro, l’orso fa spesso capolino fra le radure, mentre i bisonti, che di solito non amano l’acqua, sono costretti a guadare per trasferirsi da un pascolo all’altro, e vederli nuotare è uno spettacolo inusuale.
Un parco come Yellowstone, di cui Grand Teton è una naturale propaggine, meriterebbe un mese di visita, ma sono pochi i fortunati che possono permetterselo. I giorni a disposizione vanno quindi ottimizzati, evitando di sgomitare a metà luglio tra folle di turisti confusionari solo per vedere un animale che fugge spaventato a centinaia di metri di distanza. Cogliere il risveglio del parco, invece, è il modo giusto per vivere le grandi emozioni di questa grande, meravigliosa natura.

Testo e foto di Andrea Innocenti

PleinAir 450 – Gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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