Il parco dei silenzi

Un tempo densamente abitato, il Parco Nazionale della Val Grande è oggi un immenso serbatoio di natura e di memorie, l'una e le altre da vivere in silenzio: a piedi, ma anche in camper, con le dovute cautele.

Indice dell'itinerario

A stupire, prima di tutto, è la foresta. Non appena ci si incammina sui sentieri del Parco, la Val Grande avvolge i visitatori con i suoi faggi, le sue querce, i suoi castagni tra i quali compaiono all’improvviso le betulle.Rigogliosa e compatta, la selva nasconde stalle e baite abbandonate dall’uomo, cela alla vista i panorami, sembra consentire a stento il passaggio dei sentieri. Poi, in Val Grande, emoziona il silenzio. Anche se l’Ossola e il Lago Maggiore sono a portata di mano e i sentieri della valle non sono più sconosciuti come un tempo, gli itinerari che s’inoltrano nell’area protetta offrono a chi li percorre una sensazione ormai rara sulle Alpi: quella di sentirsi immersi nella natura selvaggia, mille chilometri lontani dai segni – rassicuranti e ingombranti al tempo stesso – della civiltà moderna.
Quello della Val Grande, però, non è un silenzio primordiale. Fino alla seconda guerra mondiale la zona pullulava di vita. I boscaioli, con teleferiche e ferrovie a scartamento ridotto, sfruttavano a tappeto i boschi di conifere e di faggio; in estate gli alpeggi ospitavano mucche e capre. Cicogna e Pogallo, i due paesi all’interno della valle, avevano centinaia di residenti stagionali. Numerosa, tutto l’anno, era la popolazione dei centri ai confini del Parco come Intragna, Caprezzo, Finero e Aurano. Negli ultimi cinquant’anni, però, l’uomo ha abbandonato la Val Grande, e la selva ha rapidamente inghiottito le mulattiere, gli alpeggi, le borgate di contadini e pastori.
Oggi protetta da uno dei più piccoli parchi nazionali italiani, la valle è una delle poche aree dell’arco alpino per la quale è lecito usare la parola inglese wilderness: un’area selvaggia, priva di presenza stabile dell’uomo, dove è bene inoltrarsi in punta di piedi. Certo, chi sceglie come meta la Val Grande deve sapere che qui la natura è meno spettacolare che in altre zone dell’arco alpino. Formate da ghiaie e rare pareti di roccia, le montagne del Parco – la più alta, il Togano, tocca appena i 2301 metri di quota – sono decisamente più modeste dei giganti delle Alpi Pennine e Lepontine, come il Monte Rosa, i Mischabel e la Weissmies che appaiono al di là dell’Ossola e del Sempione.
Ma anche l’ambiente prealpino della Val Grande è ricco di fascino e di spunti. Sui pascoli e sulle rocce della parte alta della valle compaiono le marmotte e i camosci, in cielo appare il volo elegante dell’aquila. Dalle pareti dei Corni di Nibbio, il falco pellegrino parte in caccia sulle acque del Lago Maggiore e del Toce. Nella foresta vivono il capriolo, il cinghiale, il gufo reale e il barbagianni, ma l’escursionista riesce raramente ad avvistarli. La vegetazione, però, merita da sola un’escursione. Nelle zone più basse del Parco i boschi sono formati da rovere, olmo, acero e tiglio cordato, cui si affiancano nocciolo, sambuco nero e biancospino. Anche i rampicanti come l’edera, la vitalba e l’agrifoglio abbondano, contribuendo a rendere impenetrabile il bosco.
Nelle zone più calde compare il cerro, la più imponente quercia dei nostri climi. Intorno ai mille metri fa capolino la betulla. L’albero più diffuso della bassa Val Grande – l’arbul per antonomasia nei dialetti locali – è però il castagno, sfruttato per millenni dai valligiani per i suoi frutti, che cresce su tutti i versanti del Parco. Oltre i mille metri, le foreste della Val Grande sono formate quasi esclusivamente dal faggio, lungamente sfruttato per l’ottima qualità del suo legno. Oltre il limite del bosco, ginepri e rododendri precedono le praterie d’alta quota, dove fioriscono specie rare come l’aquilegia delle Alpi, l’androsace del Vandelli, la silene delle rupi e la stella alpina. Nei pressi dei vari alpeggi (e in particolare dell’Alpe Sassoledo e dell’Alpe Prà) si ammirano alberi, coppelle e scalette incise sulla roccia dagli abitanti preistorici della Val Grande.
Nella valle del Toce, la necropoli gallo-romana di Ornavasso racconta come le comunità di fondovalle, dopo l’occupazione romana, si siano rapidamente adeguate alla nuova civiltà. Sui confini del Parco, le splendide chiese romaniche di San Bartolomeo a Villadossola, di Sant’Abbondio a Masera e di Santa Maria a Trontano raccontano della religione popolare e della straordinaria maestria dei picasass, gli scalpellini ossolani che, nel Medioevo, venivano chiamati a lavorare in tutta Italia.
Nel cuore della Val Grande, i resti circondati dal bosco delle teleferiche e delle ferrovie decauville costruite tra l’Otto e il Novecento testimoniano del ritmo forsennato che lo sfruttamento del bosco aveva assunto in quegli anni. Nato nel 1992 al posto delle Riserve Naturali di Stato del Pedum e del Mottac e di una foresta demaniale della Regione Piemonte, il Parco Nazionale della Val Grande è una delle più piccole, e insieme delle più affascinanti, tra le nuove aree protette italiane. Sul perimetro del Parco, oltre a mete celeberrime come Intra, Pallanza e le isole Borromee, spicca lo splendido centro medioevale di Vogogna, nel quale emergono il trecentesco castello visconteo, il Palazzo del Pretorio e un elegante portico. In Val Vigezzo, il centro storico di Santa Maria Maggiore è dominato dalla parrocchiale dell’Assunta, una imponente chiesa barocca costruita tra il 1733 e il 1742.
Da Premosello Chiovenda, una passeggiata pianeggiante da fare a piedi o in bicicletta porta all’oasi WWF del Bosco Tenso, sulle rive del Toce.
Nel settore orientale del Parco, rivolto verso la Valle Cannobina e il Verbano, meritano senz’altro una visita i pittoreschi centri storici di Miazzina (frequentata da numerosi pittori del primo Novecento e cara ad Arturo Toscanini), di Aurano e di Intragna.
Nei pressi di Ornavasso e sul versante orientale del Monte Zeda compaiono tra la vegetazione gli impressionanti resti della Linea Cadorna, il ciclopico sistema difensivo approntato tra il 1916 e il 1918 nel timore di un’invasione tedesca attraverso la Svizzera, che comprendeva 25.000 metri quadrati di baraccamenti, 296 km di strade accessibili ai camion e 398 di carrarecce e mulattiere.
Avvicinarsi al cuore del Parco, invece, richiede di conoscere le speciali ‘regole del gioco’ della zona. Chi è alla guida di veicoli ingombranti deve fare attenzione alle strade, molte delle quali sono strettissime e tortuose. Non ci sono problemi, ad esempio, per salire da San Bernardino Verbano all’Alpe Ompio, o da Malesco alla Valle Loana, da cui inizia il sentiero verso la Cima della Laurasca e Scaredi. La strada che sale a Intragna e all’Alpe Gabbio, come quella che percorre sul fondo la Valle Intrasca, può essere percorsa solo con la massima cautela. Assolutamente off-limits ai motorcaravan, invece, è il tracciato che sale da Rovegro al Ponte di Casletto e a Cicogna, e che dà accesso al cuore della Val Grande. In alternativa, è possibile utilizzare un taxi, i rari minibus di linea o un bel sentiero che corre a poca distanza dal fiume.
Altrettanta cautela va prestata nella scelta del sentiero da seguire. Molti itinerari della Val Grande, a iniziare dalla classica traversata da Malesco a Premosello Chiovenda, sono lunghi, faticosi e assolati, e riservati quindi a escursionisti bene allenati e piuttosto esperti. Molti percorsi di cresta, a iniziare dal celebre Sentiero Bove, includono tratti delicati ed esposti.
Altre escursioni, però, sono davvero alla portata di tutti. E’ il caso della salita dall’Alpe Ompio ai 1352 del Monte Faiè, che consente di attraversare magnifici boschi di faggio e betulla, di sostare al piacevole Rifugio Fantoli e di ammirare uno splendido panorama sul Monte Rosa e il Lago Maggiore. E dell’escursione da Gabbio al rifugio di Pian Cavallone e ai 1667 metri del Monte Todano, un altro fantastico belvedere sulla Val Grande e l’arco alpino.
Un po’ più lunga e faticosa è la salita dalla Valle Loana all’Alpe Scaredi, dove le vecchie baite dell’alpeggio sono state recentemente sistemate a rifugio, e ai 2195 metri della Cima della Laurasca, forse il miglior belvedere dell’intera area protetta.
Nonostante i problemi di accesso, però, l’anello che consente di immergersi davvero nella natura della Val Grande è quello che inizia da Cicogna, la ‘piccola capitale’ della valle, e che tocca Pogallo, gli alpeggi di Caslù, di Leciuri e del Braco e l’Alpe Prà dove, a 1250 metri di quota, si ammira il grande masso coppellato che è tra i monumenti più spettacolari della preistoria alpina.
Oltre alle baite e agli alpeggi, la magnifica forra rocciosa che il sentiero attraversa prima di raggiungere Pogallo mostra all’escursionista che l’aspra e severa Val Grande sa essere spettacolare al punto giusto. I boschi – di querce e castagni tra Cicogna e Pogallo, di faggio nella parte alta dell’escursione e intorno all’Alpe Prà – sono tra i più fitti e suggestivi di tutta la valle.

PleinAir 321 – aprile 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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