Il parco degli avvoltoi

Gli amanti del pleinair, nella loro ricerca di ambienti e situazioni naturali, finiscono per essere grandi frequentatori di parchi. Se cercano piante o panorami, nessun problema, mentre con gli animali... Ma il Parco dell'Ordesa, nel versante spagnolo dei Pirenei, mostra uccelli dall'immensa apertura alare con sorprendente facilità.

Indice dell'itinerario

Nel Parco de Ordesa y Monte Perdido gli avvoltoi si vedono, eccome. Istituito per decreto reale nel 1918, con una superficie di 2.100 ettari, fu ampliato nel 1952 fino alle dimensioni attuali (15.608 ettari), che ne fanno uno dei principali parchi spagnoli. Il parco è una complessa struttura montuosa, la cui caratteristica principale non sono le vette, più o meno ridotte a grandi crinali uniformi e ad altipiani spesso irraggiungibili, ma piuttosto le valli che solcano il paesaggio come veri canyon, chiuse fra ripide pareti a picco. Tre grandi gole che fanno da contraltare al celebre Cirque de Gavarnie sul versante opposto, quello francese.
Ogni valle ha le sue caratteristiche e conviene non perderne nessuna, ricordando che gli avvoltoi (il grifone, il capovaccaio e il rarissimo gipeto, che qui chiamano quebrantahuesos) hanno su questi monti una delle loro stazioni europee preferite e possono comparire da un momento all’altro nel cielo, senza preferire necessariamente una zona piuttosto che un’altra. Assolutamente da non dimenticare il binocolo e, soprattutto, un buon libro sul riconoscimento dei rapaci in volo, con i disegni comparati delle loro silhouette. Vederli da vicino è raro e in cielo sono spesso delle sagome indecifrabili.
Per raggiungere il parco si può arrivare dal nord, attraverso la Francia, passando da Lourdes, oppure dalla Spagna, venendo da Lleida. In ogni caso il parco va aggirato, visto che nessuna delle valli ha uno sbocco e bisogna affrontarle singolarmente, entrando rispettivamente in prossimità di Torla, Laspuña e Bielsa.
Quando andarci’ Quando si vuole. Al contrario delle piante, gli animali sono più difficili da vedere ma in compenso ci sono sempre e l’unica controindicazione è la neve d’inverno, che può rendere pericolosi alcuni tratti di strada.

La valle di Ordesa
E’ la più classica e frequentata, tanto che dà il nome al parco stesso. Essendo percorribile solo a piedi, conviene lasciare il mezzo nel parcheggio di Torla e prendere il bus-navetta (partenza ogni 15 minuti) che fa la spola con l’interno del parco. La strada, a dire il vero, prosegue ancora un po’, ma soltanto per servire i due campeggi situati un chilometro più avanti; poi diventa stretta e poco dopo finisce, con parcheggi minuscoli che si contano sulle dita di una mano. Meglio non rischiare, tanto più che il bus, alla fine, va preso ugualmente. In alternativa, si può optare per il campeggio, visto che il bus-navetta ferma anche lì. Considerando che il parcheggio di Torla è a pagamento, non ci sono grosse differenze.
Il bus termina la sua corsa in un ampio parcheggio alberato, dove si vede che un tempo era permesso l’accesso alle auto, mentre una recente disposizione del parco lo esclude. L’erba ormai sta prendendo possesso di quello che sarebbe stato uno splendido punto di pernottamento. Bisogna però riconoscere che il divieto ha senso, la strada per arrivarci è decisamente stretta e rende difficile l’incrocio persino fra due utilitarie.
Da qui comincia il tragitto a piedi, tre ore di fatica in mezzo a boschi e magnifiche cascate, risalendo un dislivello di 600 metri. All’inizio il sentiero attraversa soltanto un bosco anonimo ma, appena si apre, il canyon di Ordesa si manifesta in tutta la sua spettacolarità. Si cammina in basso, costeggiando il Río Arazas, chiusi fra due pareti rocciose che si perdono verso il cielo; una cartina dei sentieri è decisamente inutile, visto che di percorso ce n’è uno solo, comodo e accessibile a tutti. Lassù, sui crinali, rapaci dall’apertura alare impressionante appaiono a intervalli regolari: una visione entusiasmante.
Le rocce calcaree condizionano le fioriture ma la cosa più sorprendente è una parete verticale costellata di piante carnivore, proprio sopra il sentiero. Che sono tali lo si capisce osservando le foglie, dove sventurati insetti sono rimasti incollati. Ritroveremo una parete simile anche nella gola di Anisclo. Bellissima la cascata a gradoni (Gradas de Soaso) che accompagna l’ultimo tratto in salita, con cui ci si immette nell’anfiteatro naturale (Circo de Soaso) dove il canyon ha fine. Per questa escursione, che può portare via quasi sei ore fra andata e ritorno, conviene partire attrezzati. Il rifugio del Soaso, segnalato come tale sulle cartine, è solo una casupola vuota. L’acqua si trova, ci sono parecchie sorgenti, ma non c’è niente da mangiare, se non quello che ognuno si porta dietro.

La valle di Anisclo
Se nella vita del camperista medio c’è posto anche per un briciolo di avventura, allora la strada che percorre la valle di Anisclo è l’ideale. Questa valle è stata scavata nella roccia viva dal Río Bellos, un nome meritato per via delle sue acque, di un verde sconcertante. Questa caratteristica accomuna più o meno tutti i corsi d’acqua del parco ed è la conseguenza della base fortemente calcarea delle rocce. Ma il Río Bellos ha scavato soltanto verso il basso, dimenticandosi di allargare la sua opera strada facendo. Ne è venuto fuori una specie di cunicolo in cui il fiume stesso stenta a passare, e la strada, per fortuna a senso unico, supera di poco la larghezza indispensabile al passaggio di un camper, con curve abbastanza nette e la parete di fianco scavata direttamente nella roccia. Bisogna procedere con grande attenzione perché la mansarda è regolarmente a rischio e può capitare che qualcuno debba scendere, segnalando se si tocca. La sensazione è di rimanere intrappolati da un momento all’altro.
Tutto questo non vuole affatto scoraggiare chi si recherà sul posto: dimensioni della strada a parte, la risalita in camper della valle di Anisclo, lungo un percorso che rimarrà nei ricordi di molti, è troppo spettacolare per essere evitata. Sotto la strada il fiume scorre impetuoso, mentre sulle pareti a picco, perennemente in ombra e umidissime, ciuffi delle medesime piante carnivore trovate a Ordesa si rivelano una caratteristica di questi orridi.
Finalmente si arriva al parcheggio, da dove si può proseguire a piedi: il percorso trekking ricorda vagamente quello di Ordesa, ma attraverso una vallata più chiusa e con punti in qualche tratto un po’ impegnativi, non adatti a chi soffre di vertigini. Non è un tragitto percorribile da chiunque e oltretutto è meno maestoso di Ordesa, se visto dal basso.
Un grosso vantaggio del canyon di Anisclo è che la strada, superato il parcheggio, si allarga un poco, torna a doppio senso e continua a salire portando a un piccolo slargo su una curva: da qui si ha una vista panoramica sull’intera gola, con un colpo d’occhio decisamente spettacolare. Nel cielo, con un po’ di pazienza, si vede apparire il capovaccaio in perlustrazione, alla ricerca di qualche carogna con cui riempirsi lo stomaco.
Si rientra attraverso una valle dolce, con uno splendido panorama sulle sierre di Bolave e Yesa. Attenzione lungo la strada, perché le grandi sagome in volo su questa zona sono spesso grifoni in stormi, dall’apertura alare superiore ai due metri; qui il nibbio reale è di casa e i gheppi sono numerosissimi. Neanche la strada che chiude l’anello è particolarmente comoda ma, paragonandola con quelle già percorse, sembra larghissima.

La valle di Pineta
Finalmente un po’ di pace. Dopo le due valli precedenti, quella di Pineta ci delude perfino un po’, perché la strada asfaltata ci porta in fondo in quattro e quattr’otto.
Peccato, niente avventura stavolta, ma il Circo de Pineta, con le sue spettacolari cascate, soprattutto al mattino presto dà il meglio di sé e colpisce per la sua bellezza. Sopra l’anfiteatro naturale il Monte Perdido, così chiamato perché è spesso perdido fra le nuvole, nonostante i suoi 3555 metri sembra soltanto un rilievo lungo la costante rocciosa che costituisce la parete del canyon.
La valle di Pineta non differisce molto dalle altre due, però è un po’ più larga, quindi è stato possibile farci una strada come si deve. Nel cielo si possono vedere i medesimi uccelli, ma in questo senso non è da trascurare neanche la strada che costeggia il parco e che collega una valle all’altra. Un maestoro roteare in alto, una sosta veloce sul ciglio stradale, il naso all’insù ed ecco i grifoni, i veri padroni di questi immensi e selvaggi spazi aerei.
Al termine della strada che percorre la valle di Pineta un ponticello porta oltre il fiume sino ad un ampio parcheggio, in parte lungo le rive, in parte all’interno di un bosco rado di betulle e abeti. Quest’ultimo, secondo un cartello posto nei pressi, viene considerato come un campeggio, ma non si vedono recinzioni e nemmeno la reception. Al mattino passa un uomo a riscuotere una tassa comunale, meno di 10.000 lire.
Il pernottamento lungo il fiume, invece, è gratuito e ambedue i punti sono magnifici, con la prospettiva di addormentarsi mentre il sole del tramonto colora di rosso il maestoso circo di pietra. Un panorama da miliardari, ma accessibile con poco per chi possiede una casa con le ruote.

PleinAir 324/325 – luglio/agosto 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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