Il palazzo di seta

Al Belvedere di San Leucio il re Ferdinando IV di Borbone fece impiantare negli ultimi decenni del '700 una moderna seteria, e qui voleva realizzare la sua città ideale secondo i principi illuministici. Un progetto che non vide mai la fine, ma che ha lasciato a Caserta una delle più interessanti testimonianze europee di archeologia industriale nell'insolito contesto di una residenza di corte.

Indice dell'itinerario

Tutto ebbe inizio nel 1750 allorché il re di Napoli, Carlo III di Borbone, ottenne dai conti Acquaviva la proprietà di un casino di caccia ubicato sui colli di San Leucio, frazione della città di Caserta. Per la sua posizione dominante, che permetteva di spaziare con lo sguardo dalla pianura campana fino al Vesuvio e al Golfo di Napoli, il cinquecentesco edificio era chiamato Belvedere: immerso tra folti boschi di querce e castagni ricchi di selvaggina, divenne tra i luoghi preferiti per le attività venatorie della corte.
Nei progetti di Luigi Vanvitelli, che nella magnifica Reggia di Caserta aveva espresso tutto il suo genio architettonico, la nuova acquisizione doveva completare il quadro urbanistico di cui facevano parte la residenza regale e lo stesso casino, ricorrendo inoltre all’ampliamento dell’edificio per rendere più confortevole il riposo dopo le intense giornate trascorse nei boschi. Tale progetto fu però abbandonato intorno al 1774 quando il nuovo re Ferdinando IV, certamente influenzato dalle correnti di pensiero dell’epoca, maturò l’idea di trasformare il Belvedere in una moderna fabbrica di seta affidandone l’incarico a Francesco Collecini, già collaboratore del Vanvitelli. Fu così che gli eleganti ambienti accolsero imponenti telai, la sala delle feste divenne la cappella destinata ai lavoratori e si aggiunsero nuovi corpi di fabbrica destinati alla trattura, alla filatura e alla tintura, mentre tutt’intorno si costruivano le scuole e le case degli operai: vere e proprie villette a schiera su due livelli, ognuna fornita di un telaio affinché l’arte continuasse ad essere coltivata.
Era questo il primo passo dell’ambizioso programma di una nuova città, Ferdinandopoli, che vantava anche un’organizzazione sociale all’avanguardia secondo i canoni del dispotismo illuminato: lo Statuto Leuciano, promulgato per l’occasione, concedeva parità di diritti all’intera popolazione eliminando le differenze tra uomini e donne, oltre ad abolire i matrimoni combinati e a garantire un reddito proporzionale al merito e il sostegno per anziani e malati.
Fulcro della città era la Piazza della Seta affiancata dalla Trattoria, il palazzo adibito a ospitare i visitatori, accanto al quale si apriva il portale settecentesco che dava diretto accesso alla filanda e ai quartieri operai. Il progettato impianto radiale di Ferdinandopoli prevedeva anche la costruzione di ospedali, teatri, chiese e nuove abitazioni che, insieme ai giardini terrazzati, avrebbero costituito un’organizzata e attiva comunità industriale: un sogno che ebbe termine con la salita al potere di Napoleone e, nel 1799, il suo arrivo in Italia e la proclamazione della Repubblica Partenopea.

Il nuovo Belvedere
Dopo decenni di completo abbandono, grazie all’opera di recupero di importanti manufatti da parte di un sacerdote locale e il successivo intervento del Ministero dei Beni Culturali, del FAI e dell’Unesco, oggi il complesso di San Leucio è divenuto un importante polo espositivo di archeologia industriale. La strada d’accesso in città conduce direttamente in Piazza della Seta, in un angolo della quale si erge ancora maestoso un platano, unico superstite tra quelli fatti piantare in origine; dal lato opposto, superato il grande arco borbonico, una serie di scalini porta dinanzi all’ingresso del sito. In alternativa, dalla stessa piazza si può proseguire lungo Viale I Ottobre (sul quale diversi negozi offrono preziose sete moderne) per raggiungere il quartiere Vaccheria, così chiamato poiché qui un tempo si radunavano i capi di bestiame provenienti dalla Sardegna e destinati a Caserta.
Un’altra ampia piazza, ornata da palme, è dominata dalla chiesa neogotica di Santa Maria delle Grazie, caratterizzata da due imponenti torri campanarie che adornano entrambi i lati della facciata. Di fronte a questa si diparte Via del Setificio che conduce in breve dinanzi alla biglietteria. La visita guidata ha inizio dall’ampio Cortile di Ferdinando (il sovrano è raffigurato in abiti romani sulla facciata dell’ala centrale) bordato su tutto il lato inferiore da siepi tra le quali si trovano la fontana monumentale e una moderna scultura che allude alle preziose lavorazioni. Accanto è il rinascimentale casino di caccia, profondamente trasformato dal Collecini, al quale furono aggiunti i corpi di fabbrica che racchiudono i tre lati del cortile.
A San Leucio il ciclo produttivo iniziava con la coltivazione del baco da seta e terminava con la realizzazione di pregiati tessuti, che furono apprezzati non solo nel Regno delle Due Sicilie. Le iniziali lavorazioni manuali furono man mano sostituite da quelle automatizzate in seguito all’introduzione del metodo Jacquard; questo procedimento, leggendo il tracciato preimpostato su schede perforate (antesignane di quelle utilizzate in vari strumenti musicali e nei primi moderni calcolatori), consentiva di realizzare disegni anche piuttosto articolati. In un’ala del complesso si possono osservare gli strumenti che hanno fatto la storia di questo luogo: le numerose sale del piano terra espongono gli antichi telai e i torcitoi manuali, il cui funzionamento è minuziosamente illustrato anche da un video. Il passaggio all’automazione è invece documentato dalla puntuale ricostruzione di due grandi torcitoi cilindrici in legno, mossi da una ruota idraulica ubicata nel piano sottostante. Al livello superiore, nel lungo locale adibito a filatoio, sono disposti gli antichi telai in legno di ciliegio, ancora funzionanti, sui quali le incompiute opere seriche sembrano attendere il ritorno degli operai da una pausa del lavoro. Si prosegue con la visita agli appartamenti storici che comprendono la sala da pranzo affrescata con scene della vita di Bacco, la stanza da letto, l’appartamento dei piccoli principi e il Bagno della Regina, tutti ambienti le cui pareti erano un tempo rivestite dalle sete prodotte in loco.
Alle spalle del complesso leuciano si aprono i Reali Giardini, che occupano cinque terrazzamenti ricavati lungo le pendici della collina. Al primo livello si stende un ampio prato con giovani piante di agrumi, da cui si apre la vista panoramica sui quartieri di San Ferdinando e di San Carlo, ovvero le case degli operai. La seconda terrazza accoglie il giardino all’italiana, un ampio spazio di forma quadrangolare adornato da una fontana e suddiviso in otto triangoli da ordinate siepi di bosso: ognuna delle aiuole ospita diverse varietà di alberi da frutto (pero, albicocco, susino, pesco, ciliegio) che, al momento della nostra visita, mostravano i primi segni della loro profumata fioritura. Una fragranza che ci ha accompagnato nel prosieguo della passeggiata trovando, oltre alle piante già viste, anche i famosi alberi di limone dai cui frutti si ottiene un rinomato limoncello.
Riguadagnata l’uscita, il giro si può concludere con uno sguardo d’insieme all’ampio complesso monumentale che mostra ancora sul lato sinistro gli ottocenteschi fabbricati della Coculliera, dove si depositavano i bachi, e la Filanda dei Cipressi, in cui si effettuavano le operazioni di estrazione del prezioso filamento. Anche se in città sono ancora numerose le piccole imprese artigianali di lavorazione della seta, è in animo della comunità leuciana di creare nel sito una scuola che riutilizzi gli antichi macchinari, resi nuovamente funzionali da un sapiente restauro, al fine di trasmettere quest’arte antica alle nuove generazioni e di mantenere ancora ben viva la memoria della città ideale di Ferdinando.

Testo e foto di Alberto Dati

PleinAir 444 / 445 – Luglio / Agosto 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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