Il nostro sud-est

In Salento basta arrivare a settembre, quando l'oceanica folla estiva ha ormai lasciato spiagge e centri storici, per ritrovare tutta la generosità di questa Puglia barocca e contadina bagnata da due mari. E visto che molti approdi del pleinair sono ormai chiusi, si apre la stagione della tolleranza verso la sosta libera: come abbiamo sperimentato in questo piccolo itinerario fra torri costiere, monumenti urbani e insospettabili scorci di natura.

Indice dell'itinerario

Il grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia poneva a confine del Sud un’ipotetica linea “delle palme e del caffè”, immagine altamente suggestiva che ricorda come la palma sia una pianta che si diffonde spontaneamente (in questo caso risalendo verso nord) mentre riguardo alla bevanda più ordinata nei bar, potremmo aggiungere che il Sud comincia anche laddove nei suddetti bar sparisce il bicchiere di vino.
Non a caso ad Ostuni, dov’è fissata la soglia del Salento adriatico, ai piedi della cascata di case tirate a calce con cui da lontano la bella cittadina si impone nel paesaggio, ci siamo imbattuti in un autentico reperto storico. Fra tante osterie trasformate in “hostarie” o trattorie più o meno ruspanti, all’occhio esperto non è sfuggita una sopravvissuta cantina d’altri tempi, ove al bicchiere di vino sfuso si possono accompagnare saporiti panini o anche semplici piatti preparati al momento. Né eravamo i soli ad aver fatto la scoperta se dopo di noi è entrata una coppia di tedeschi, mostrando l’indirizzo del suddetto locale segnalato in una loro guida.
A sud di quell’ultimo bicchiere di vino, non avremmo più trovato una situazione simile. L’osteria si chiama Padova, dal cognome del proprietario, ed è al numero 1 di Via Cairoli: rinfrancati e rifocillati, abbiamo potuto affrontare gli erti vicoli che fra il biancore abbacinante delle strade rotto solo dalle insegne dei negozi, ci hanno condotto su in cima ad ammirare la quattrocentesca cattedrale, dalla facciata tardogotica.
Ma Ostuni ci ha riservato un’altra sorpresa. Circa a metà della salita, a un angolo di strada, una bottega priva di insegna ma con le porte spalancate ci ha incuriositi per le foto d’epoca che si intravvedevano fra la merce in vendita (perlopiù tamburelli) gli attrezzi, il banco da lavoro e cianfrusaglie varie, tra cui uccelli impagliati. L’artigiano ci ha accolto con evidente piacere, forse anche per la possibilità che gli davamo di raccontare la sua storia di pacifista. Unico limite, niente foto a lui né alla bottega, perché «tutto deve rimanere ricordato con gli occhi».

Il giro delle torri<F”GARAMOND”>
Le torri di avvistamento che svettano qua e là in riva al mare risalgono generalmente ai secoli XVI e XVII: servivano a prevenire sbarchi indesiderati (l’argomento ci sembra oggi tornato di estrema attualità…) e lungo la penisola salentina se ne incontrano l’una dopo l’altra. Facilmente individuabili sul solito atlante del Touring Club, ci è venuto in mente di andare a vederle da vicino e di studiarne il contesto, anche perché, spesso isolate da un centro abitato, potevano essere ottimi riferimenti nella nostra continua ricerca di punti sosta.
Le più belle fra quelle oggi rimaste si stagliano a guardia della costa, ben visibili già da lontano. A Torre Colimena, sulla litoranea fra Taranto e Porto Cesareo, abbiamo scoperto un interessantissimo relitto, e cioè i resti dell’antica Salina dei Monaci (così chiamata perché fu gestita dai benedettini fino al XV secolo) sopravvissuti agli scempi dell’edilizia abusiva dei primi anni ’60, come spiega un cartello-denuncia. La strada fronte mare, doppiata da un’altra provinciale che corre quasi parallela, è stata fortunatamente interrotta: fra le dune e gli specchi d’acqua – che d’inverno, si legge ancora, danno ospitalità agli uccelli di passo – si procede per sterrati, attraversando un canale scavato nella roccia fino a raggiungere una casamatta e i ruderi di una cappella dedicata alla Madonna del Carmine. Dall’altro lato la strada finisce in un grazioso, minuscolo villaggio di pescatori, con qualche ristorantino. Il generico divieto di sosta dalle 21 alle 24 nonché l’immancabile “pensierino” dedicato a camper e caravan non sono fatti rispettare in bassa stagione, così ci dicono nella Torre oggi attrezzata per mostre stagionali di ceramica, ma restano necessari perché «voi non immaginate cosa arriva qui a Ferragosto!» (ma noi lo immaginiamo, rileggendo l’esperienza narrata anni fa da un lettore che ha visto gli abitanti del paesino insorgere contro chi stava cacciando i camperisti, importante fonte di reddito per locali e botteghe!).
Si riprende la statale verso sud, aggirando la cosiddetta Palude del Conte e poi deviando per Punta Prosciutto. Il cartello di divieto di campeggio su tutto il territorio comunale è compensato, per usufruire della vicina spiaggia costeggiata da dune di sabbia bianchissima, dal camping Il Saraceno, segnalato dal nostro Portolano e aperto anche a settembre, a differenza di tante altre strutture che incontreremo nel nostro giro. Solo pochi chilometri più avanti Torre Lapillo, o meglio il relativo paesino le cui case nascondono lo storico edificio, mostra tutti i segni della stagione turistica ormai conclusa, con negozi chiusi e perfino l’unico giornalaio che sta smontando.
Saltato a piè pari Porto Cesareo per l’inattesa baraonda di auto, con l’unico rimpianto di non aver appurato dove fosse il Museo di Biologia Marina indicato da un cartello, la nostra ricerca dell’approdo perfetto viene premiata a Sant’Isidoro, dove l’immancabile torre sembra piazzata a delimitare la fine della spiaggia di sabbia e di acqua bassa ma trasparentissima: al di là inizia la scogliera e il mare è quasi subito profondo. Sul piazzale sono quattro o cinque gli equipaggi in batteria, in pieno sole pur di essere in prima fila davanti al mare, lasciando liberi – bontà loro – i posti sotto la macchia di pini lì dietro. Poco più in là, all’imbocco della strada principale, una fontanella con cui si può fare tranquillamente il pieno senza che nessuno abbia da ridire (questo luogo, dove siamo tornati a distanza di giorni ritrovando la stessa identica situazione, è rimasto il punto sosta simbolo del nostro viaggio in Salento).
A Santa Maria al Bagno c’è un pezzo di storia che pochi conoscono: profughi ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti passarono di qui nell’immediato dopoguerra tentando di raggiungere Israele e furono ospitati nelle varie ville, fra cui anche quelle non lontane di Cenate. Tra loro c’erano Ben Gurion, fondatore dello stato di Israele, e Golda Meir, per anni primo ministro, ma anche un artista che per sdebitarsi dell’ospitalità ricevuta lasciò dei murales che descrivevano la storia del viaggio dai lager fino in Salento nonché l’auspicio di proseguire verso la nuova terra promessa. Nell’edificio che contiene i dipinti è stato allestito un museo che narra l’intera storia; da vedere inoltre, su un bel viale di pini verso Nardò, le residenze d’epoca di Cenate, in stile liberty come altre della zona.
Gallipoli, la “città bella”, si dovrebbe visitare di sera per godersi la luce dorata del tramonto dagli spalti del vecchio centro, un’isoletta fortificata unita alla terraferma da un ponte. Ribassate le antiche mura che contenevano il centro storico, ancora più visibili dal mare sono le chiese – ognuna delle quali apparteneva a una storica corporazione – che in tal senso furono orientate, quasi a proteggere chi si imbarcava. Circondata dalle case è invece la cattedrale di Sant’Agata, fra i tanti esempi di barocco leccese (vedi anche riquadro “Non solo barocco”). All’ingresso della città nuova una fontana greco-romana risalente al IV-III secolo a.C., la più antica d’Italia. Di nuovo complice il periodo, si pernotta senza problemi sulle banchine del porto e al risveglio si gusta quell’autentico spettacolo che è l’adiacente mercato del pesce.
Proseguendo verso Santa Maria di Leuca, dopo una serie di altre torri è un ben diverso monumento a colpire la nostra attenzione: una gigantesca sedia a sdraio che scopriremo essere l’annuncio di Marina di Pescoluse, dichiarandone la vocazione ad affollato centro di turismo balneare. Quanto basta, a noi che amiamo la nuda roccia e il mare di scoglio, per tirar dritto di nuovo.
Doppiando il Capo di Santa Maria di Leuca non sembra più bassa stagione: i vari piazzali, come quello d’accesso al vicino santuario (detto anche de Finibus Terrae, un nome che ce ne ricorda altri in giro per l’Europa), sono pieni al punto che quasi non c’è modo di fermarsi, neppure per scattare le foto di rito. Si inizia dunque a risalire il versante orientale trovando una bella costa frastagliata e quasi subito, all’altezza di Gagliano del Capo, il Ponte del Ciolo, che scavalca uno stretto fiordo (accessibile con un percorso pedonale) e dove si può sorprendere qualche audace che si tuffa da più di 10 metri di altezza.
Ormai a pochi chilometri da Otranto, la famosa insenatura di Porto Badisco (ove leggenda vuole sia sbarcato Enea) ci accoglie con la sbarra alzata, segno che anche qui si è deciso che l’alta stagione è finita. Quanto alla zona umida tutelata dall’Oasi WWF Le Cesine, nonostante i cartelli parlassero di visita guidata in specifici orari, abbiamo trovato un passaggio pedonale aperto. Poco più a nord, da un altro grande parcheggio, una strada asfaltata chiusa agli autoveicoli si perdeva per chilometri nel bosco, facendoci rimpiangere di non aver portato le bici al seguito.
Abbiamo ritrovato le nostre torri di avvistamento, alcune in rovina, ed altre ne vedremo proseguendo verso nord. Non però Torre Chianca (omonima di un’altra presente sul litorale jonico), persa fra le dune verso cui si dirige la stradina segnata sull’atlante. In compenso, a un incrocio, un cartello ci manda dritti al Parco di Rauccio, altra riserva naturale gestita dal WWF a protezione di quanto è rimasto di un’antica foresta.
Torre Rinalda è l’ultima del nostro giro: ormai le seconde case assediano il litorale e non resta che chiudere il giro della costa. A pochi chilometri dal mare, verso Squinzano, vale un’ultima tappa il complesso abbaziale di Santa Maria di Cerrate, con la chiesa affrescata del XII secolo e il Museo delle Tradizioni Popolari Salentine: poi si torna a riprendere la veloce superstrada per Brindisi.

Testo di Luigi Alberto Pucci Foto dell’autore e di Ivana Ricci

PleinAir 446 – Settembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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