Il mare d'autunno

Antico scenario di un'economia di scambio fra pescatori e contadini, negli ultimi decenni la parte meridionale della riviera abruzzese ha trovato una nuova dimensione turistica all'insegna dell'elemento tradizionale che meglio la caratterizza, il trabocco: a questa tradizionale macchina da pesca si ispira un percorso che coniuga la varietà paesaggistica e naturalistica del territorio alla visita di piccoli centri marinari di pregio storico e artistico, facilmente visitabili fuori stagione grazie alle numerose soste pleinair.

Indice dell'itinerario

«Con un trabocco ci campavano sette famiglie» racconta Marco, ex pescatore e oggi concessionario di una delle poche decine di palafitte della costa meridionale abruzzese, conservatesi anche grazie a una legge regionale del 1994 che ne ha agevolato la ristrutturazione. «Il traboccante doveva essere un uomo di fatica, forte come un mulo, perché muovere l’argano della bilancia piena di pesce era uno sforzo animale. Quando il mare infuriava si rimaneva appesi per ore, anche in piena notte, aspettando il momento giusto per tirare su la rete. Ma con gli scambi del pescato più prezioso si facevano i corredi di sette spose! E si ottenevano anche verdura, tessuti, vino e qualche volta la carne. Con gli scarti più poveri, come il pesce di scoglio, qualche cicala, i mitili, si cucinava il famoso brodetto alla vastese da mangiare con il pane duro. Nei rari giorni di bonaccia invece si pescava con la signorina, una rete trascinata da un uomo che si immergeva in acqua fino alla vita e da un ragazzo che stava sulla riva. I fondali erano ricchissimi di spigole, orate, aragoste, dentici, murene e persino capitoni, e a volte capitava di mettere i piedi su una razza e di sentirsi portar via come su un tappeto volante…».
I trabocchi (o trabucchi, come più comunemente si dice in Puglia) sono diffusi in particolare sulla costa adriatica, fra Ortona e il Gargano. Sulle origini di queste macchine da pesca ancora discutono gli storici, tra chi li vuole di origine fenicia e chi invece li considera frutto dell’ingegno di un popolo pastorale, quello abruzzese-frentano, arrivato a sfruttare le risorse ittiche senza spingersi in un mare profondo, battuto costantemente dal vento e senza approdi sicuri. Altri ancora sostengono che furono i francesi, i valloni, i catari o gli ebrei in fuga dalle persecuzioni religiose a importare una tecnica già impiegata nelle canalizzazioni e presso le dighe del Mare del Nord. Non manca infine chi vede in queste strutture un’evoluzione della pesca con la nassa, che si piazzava con piccole imbarcazioni: sul finire del Medioevo i pirati turchi e la concorrenza della flotta peschereccia pugliese, meglio attrezzata per l’alto mare, costrinsero gli abruzzesi a riparare lungo la costa.
Prove sicure della presenza dei trabocchi si hanno dal XVII secolo, ma la citazione più famosa è sicuramente quella di Gabriele d’Annunzio, che aveva eletto questi luoghi a dimora di riposo e ispirazione: nel Trionfo della Morte il Vate descrisse con toni epici la bellezza feroce e selvaggia dei “ragni colossali”, “mostri in agguato protesi sugli scogli”. E’ certo poi che i trabocchi furono di estrema utilità durante le due guerre mondiali e negli anni immediatamente successivi, quando i pescherecci venivano requisiti dalla Regia Marina per sostituire navi bloccate in porto o affondate da mine, incrociatori e sommergibili. «Allora i trabocchi erano mobili – continua il nostro interlocutore – anche perché bastava poco a metterli su. Si costruivano nello spazio di una notte con pali di acacia, frassino e pino che si recuperavano già scortecciati dai fiumi e che potevano resistere anche per anni, specialmente se il legno era ben compatto. Quando il fondale si impoveriva, si spostavano in zone libere più pescose».
Dagli anni ’70, con la crisi del settore ittico, i pochi capanni rimasti della cinquantina di esemplari censiti all’inizio del secolo vennero soggetti a concessione demaniale, recuperati e valorizzati non solo per la pesca, ma soprattutto per ragioni turistiche e culturali. La costa abruzzese, del resto, vanta un livello di conservazione naturale piuttosto elevato per gli standard dell’alto e medio Adriatico, anche grazie alla presenza di due piccole aree protette che incontreremo lungo il nostro itinerario.

Approdi sicuri
L’inizio della Costa dei Trabocchi è per tradizione situato a sud di Pescara, dove si trovava l’estremità orientale della Linea Gustav costruita dai tedeschi nel 1943 per contrastare l’avanzata delle truppe alleate. Tutta la zona fu interessata da pesanti bombardamenti, incursioni e battaglie, come ricordano il cimitero britannico di Torino di Sangro e quello canadese di Ortona, soprannominata Piccola Stalingrado per via del lungo assedio che le valse la medaglia d’oro al valor civile. Nel borgo ben restaurato, fra le millenarie testimonianze d’arte e di cultura scampate alla guerra, emergono la cattedrale di San Tommaso dalla composita veste architettonica, la medioevale Terravecchia e le abitazioni cinque-seicentesche della Via Larga, il coevo Palazzo Farnese progettato da Giacomo Della Porta per la duchessa Margherita d’Austria e, a coronare la passeggiata, il Castello Aragonese, affacciato proprio sul mare con una singolare pianta a trapezio e quattro torri angolari, delle quali due rimaste ancora in piedi e le altre due, sul lato della costa, solo intuibili.
Incontriamo le prime macchine da pesca a San Vito Chietino, proprio lungo la statale Adriatica dove si trovano la dimora dannunziana (in restauro al momento del nostro sopralluogo) e il trabocco di Capo Turchino. Poco distante è il bivio che porta a Lanciano, una deviazione di una dozzina di chilometri che permette di scoprire questa preziosa cittadina: già capitale del regno dei Frentani, popolazione italica che ebbe stretti contatti con Etruschi e Greci e che combatté a lungo i Romani, fu il centro principale della regione durante il Medioevo e conserva numerosi edifici e monumenti di grande valore. La sua notorietà è dovuta in particolare al Miracolo Eucaristico che si sarebbe verificato nell’VIII secolo: durante una funzione sacra il celebrante dubitò della reale presenza di Cristo nell’eucarestia, e in quel momento l’ostia si trasformò in carne e il vino in sangue (le reliquie sono conservate nella basilica di San Francesco). Meno conosciuto è l’analogo episodio che si dice sia accaduto nel 1273, quando una donna sottrasse un’ostia consacrata per farne una pozione d’amore e la vide mutarsi in carne.
Ridiscesi sul mare, in località La Foce presso Rocca San Giovanni raggiungiamo una bella spiaggia di sabbia dorata e ciottoli bianchi, in prossimità della quale si trova un parcheggio dove è possibile pernottare con il camper: una situazione ideale nel fuoristagione, quando si sosta in beata solitudine. L’arenile si raggiunge passando sotto il ponte della vecchia ferrovia da tempo dismessa e oggi in procinto di trasformarsi in pista ciclabile, integrando così la Ciclovia Adriatica che corre a tratti dall’Emilia Romagna alla Puglia. Più avanti avremo la conferma che gli approdi in libertà, da combinare con le escursioni a piedi o su due ruote, sono piuttosto frequenti su tutto il litorale e nei mesi dall’autunno alla primavera – complice il clima temperato – consentono di fruire appieno dei luoghi, senza l’incomodo della prevedibile folla estiva.
In prossimità di Fossacesia Marina, a Punta Cavalluccio, ecco un altro “ragno colossale” ben indicato e adiacente a un piazzale per il parcheggio (l’accesso presenta qualche difficoltà per i mezzi di grandi dimensioni). Una brevissima passeggiata lungo una stradina che attraversa la fiorente vegetazione costiera porta all’abbazia di San Giovanni in Venere, con un altro posteggio diurno e notturno degno dell’ospitalità dei monaci. Lo splendido edificio in pietra e mattoni, circondato dal verde, fu iniziato nel 1165 su un impianto preesistente, che a sua volta occupava il sito di un tempio romano dedicato a Venere Conciliatrice: da non perdere gli interni e la cripta, ma anche il giro esterno del complesso per ammirare la parte absidale che si affaccia a terrazza su un oliveto.
Come altre moderne urbanizzazioni rivierasche, Fossacesia Marina non è particolarmente invogliante per il turista pleinair, ma una buona opportunità di sosta si trova presso la spiaggia libera in fondo al lungomare (di fronte al bar Il Chiosco) oppure alla vecchia stazione, approfittandone in questo caso per una passeggiata lungo la ex ferrovia o per curiosare alla ricerca di altri trabocchi. Proseguendo per circa 3 chilometri verso Borgata Marina, frazione costiera di Torino di Sangro, in prossimità della foce del fiume si incontra un parcheggio con un panorama eccezionale sull’Adriatico, sulla valle del Sangro e sulla Majella. Occhio alle indicazioni per la Riserva Naturale Regionale Lecceta di Torino di Sangro, che include il trabocco delle Morge ed è abitata da varie specie faunistiche tra cui la tartaruga di terra, il geco verrucoso e uccelli come il gruccione e il martin pescatore: i sentieri segnalati sono molto piacevoli e non mancano ombreggiate piazzole per il picnic.
Al Lido di Casalbordino, dove il fiume Sinello termina la sua corsa, troviamo l’ennesima opportunità di sosta sul mare in un parcheggio assai frequentato dai pescatori; essendo di fronte a un villaggio turistico può diventare affollato in alta stagione, ma negli altri periodi garantisce una permanenza molto tranquilla. Qui la statale Adriatica piega verso l’interno, andando a congiungersi con l’uscita autostradale di Casalbordino-Vasto Nord prima di tornare verso la costa e il faro di Punta Penna, che con i suoi 70 metri è il secondo in Italia per altezza dopo la Lanterna di Genova. Il piccolo promontorio si spinge verso nord e, grazie alla sua curvatura, permette di godere anche lo spettacolo del tramonto, mentre il piazzale di fronte alla Capitaneria è un’ottima situazione per il riposo notturno.
Subito prima del faro, sulla strada per Porto di Vasto si trovano le indicazioni per la Riserva Naturale Regionale Punta Aderci e per la bella spiaggia. L’area protetta, istituita nel 1998 e finalmente entrata in gestione organica nel 2007, è condotta in modo deciso e coraggioso per preservare un ambiente di selvaggia bellezza. Qui dimora il fratino o Charadrius alexandrinus, un uccello corridore di ripa di cui si contano una quarantina di coppie o poco più: il piccolo volatile, appena 20 centimetri di lunghezza e mezz’etto di peso, depone le uova direttamente sulla sabbia, in piccoli avvallamenti, confidando nell’eccezionale mimetismo del guscio. Ciò rende la covata estremamente sensibile ad ogni attività umana, perché basta poco a calpestare le uova senza accorgersene, motivo per cui sono state realizzate passerelle e fasce di transito destinando la battigia alle escursioni, al relax e alla balneazione. La riserva è dotata di un piccolo posteggio a circa 800 metri dal punto informazioni e noleggio canoe: nel caso lo si trovasse occupato, si può lasciare il mezzo poco più avanti in direzione della zona industriale, lungo la strada che corre alta sulla falesia dove sono situati anche due casotti informativi che offrono il servizio di noleggio biciclette.
Scendendo verso sud ritroviamo i trabocchi, ma talvolta i passaggi verso il mare non sono accessibili ai veicoli ricreazionali, come nelle località Canale e La Trave. Si possono comunque individuare buone soluzioni anche per la notte, perfino con splendida vista come a Casarza. E siamo ormai alle pendici del centro storico di Vasto, le cui origini frentane (successive allo stanziamento di una popolazione proveniente dalla Dalmazia) sono ben documentate nell’interessante Museo Archeologico allestito a Palazzo d’Avalos, che ospita anche una collezione di costumi d’epoca e una pinacoteca. Ma la cittadina serba molte altre testimonianze della sua storia, con architetture di livello come il Castello Caldoresco: voluto dal celebre capitano di ventura Giacomo Caldora, che ne affidò il progetto all’architetto senese Mariano di Jacopo, risale alla prima metà del ‘400 ma venne fortemente rimaneggiato nei secoli successivi, integrandosi con altre costruzioni fino ad assumere il curioso aspetto odierno. Anche il duomo di San Giuseppe, di fondazione duecentesca, subì vari interventi che ne modificarono l’aspetto originario, ma il portale della facciata e il sovrastante rosone mostrano con evidenza la matrice medioevale.
Per la sosta in città si trovano pochi stalli fuori le mura, vicino allo stadio Aragona oppure, a una certa distanza dal centro, presso la stazione degli autobus extraurbani. Conviene dunque recarsi a Vasto Marina, dove il più utile riferimento è un ampio piazzale sterrato nelle vicinanze della vecchia stazione, servendosi poi dei trasporti urbani per spostarsi comodamente nei dintorni. Un percorso pedonale raggiunge invece la spiaggia con il monumento alla Bagnante, graziosa silhouette in bronzo realizzata nel 1979 dallo scultore abruzzese Aldo D’Adamo.
Sono ancora i trabocchi ad accompagnarci negli ultimi chilometri fino a San Salvo Marina, le cui dune sono servite da una pista ciclabile: e dopo aver scelto una delle varie sistemazioni en plein air, libere o in strutture organizzate, si pedala piacevolmente fra il mare e gli appezzamenti agricoli, come a voler ricordare il legame tra contadini e pescatori che per secoli ha caratterizzato l’economia e la cultura popolare di questo Abruzzo in verde e azzurro.

Testo di Federica Botta
Foto di Alessandro De Rossi

PleinAir 459 – ottobre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio