Il lago che fu

A rammentarci che era uno dei laghi più vasti d'Italia, la piana del Fucino serba opere di bonifica sorprendenti e memorie storiche di notevole interesse anche per il "semplice" turista. Eppure rimane emarginata dai maggiori flussi. Un'altra buona ragione per andare a scoprirla con gli strumenti e i modi del pleinair.

Indice dell'itinerario

C’era una volta il lago. Per millenni, nel cuore delle montagne d’Abruzzo il Velino, il Viglio, il Sirente e i boscosi monti della Vallelonga si sono affacciati su uno dei più vasti bacini naturali della Penisola. Era il lago Fucino, e i suoi centosessanta chilometri quadrati ne facevano il terzo specchio d’acqua italiano dopo il Garda e il Trasimeno. onostante la quota elevata delle montagne vicine, le acque del lago rendevano la temperatura relativamente mite. Intorno ai villaggi rivieraschi, per i quali la pesca era una risorsa importante, crescevano rigogliosi la vite e l’ulivo.
Poi Roma ebbe bisogno di grano. Mentre la popolazione dell’Urbe si avvicinava al milione di persone, il rifornimento del cibo più importante era affidato alle navi che facevano la spola dalla Sardegna e dalla Tunisia. Eredi della grande tecnologia idraulica degli Etruschi, gli ingegneri di Roma pensarono allora di prosciugare il lago che costeggiava la Via Tiburtina.Avviati sotto Claudio, i lavori durarono undici anni, richiesero l’apertura di un tunnel lungo 5.653 metri e si conclusero nel 52 dopo Cristo sotto il regno di Nerone. Una imponente naumachia, cioè una battaglia navale combattuta tra due flotte di gladiatori, salutò l’apertura del diaframma e l’inizio del rapido svuotamento dell’invaso. Ma il lago Fucino non voleva rassegnarsi a sparire. Nel corso del Medioevo, a causa della mancata manutenzione, l’ostruzione dell’emissario imperiale fece nuovamente riempire d’acqua il bacino. Alla ripulitura del tunnel pensarono tra gli altri Federico II, Alfonso I d’Aragona e numerosi re di Napoli. Per quindici secoli, però, il paesaggio tornò a essere quello del tempo dei Marsi.
Fu Francesco I di Borbone, destinato a passare alla storia con il soprannome di Franceschiello, ad avviare per la seconda volta la bonifica. Nel 1854 infatti, sei anni prima della partenza di Garibaldi da Quarto, l’ultimo re di Napoli diede in concessione al duca Alessandro Torlonia i lavori per la seconda bonifica. Nonostante le scavatrici e le pompe, nemmeno questo secondo svuotamento fu facile.
“Prosciugherò il Fucino o il Fucino prosciugherà me” pare abbia esclamato il duca, al quale il Regno d’Italia aveva nel frattempo rinnovato l’appalto. Dopo diciassette anni, nel 1875, i lavori si conclusero con la solenne inaugurazione dell’Incile, la captazione sorvegliata da una grande statua della Madonna dove le acque della piana spariscono sottoterra. La sistemazione definitiva del bacino, però, proseguì fino al 1887.
Come al tempo di Nerone, la prima funzione del Fucino fu quella di rifornire di grano Roma e l’Italia. Suddivise in 497 appezzamenti di 25 ettari ciascuno, le terre nuove videro al lavoro molte migliaia di braccianti. Un’epopea che Ignazio Silone, nato sulle rive del bacino, ha raccontato nel suo Fontamara. Poi la riforma agraria del dopoguerra ha cambiato nuovamente le cose. Via via riuniti in appezzamenti più estesi e redditizi, i terreni del Fucino – che restano tra i più fertili d’Italia – sono oggi coltivati a carote, patate e finocchi, che arrivano nei mercati e sulle tavole dell’intero paese.
Oggi, alcuni osservatori sono arrivati a chiedersi se il prosciugamento del lago sia stato veramente un affare. Svanita l’atavica fame di grano, la produzione di ortaggi sui 14.000 ettari di nuovo terreno agricolo si contrappone alla drastica riduzione della vite e dell’ulivo. Con il senno di poi, è anche facile capire che un lago circondato da montagne, da monumenti storici e da parchi naturali come quelli del Sirente-Velino e d’Abruzzo sarebbe stato una risorsa importante per il turismo. A più di un secolo da Alessandro Torlonia (e quasi due millenni dopo Claudio e Nerone), però, interrogativi di questo genere lasciano il tempo che trovano.
Più interessante, al giorno d’oggi, è notare quanto poco il Fucino sia conosciuto e visitato. L’autostrada che costeggia a settentrione e a oriente il bacino, e che ricalca il tracciato della Tiburtina romana, vede passare ogni anno centinaia di migliaia di viaggiatori diretti verso i boschi e gli animali del Parco d’Abruzzo, le spiagge dell’Adriatico, le piste da sci di Ovindoli. Solo una piccolissima parte, però, si sofferma ad ammirare le chiese medioevali, i castelli e le torri che sorgono ancora – nonostante i terribili danni del terremoto del 1915 – sulle rive del lago. Davvero pochissimi sono i visitatori di Trasacco, di Ortucchio, di San Benedetto. Trascurata anche Pescina, dove nacque Ignazio Silone e – molto prima di lui – il cardinale Giulio Mazzarino, personaggio chiave della storia francese del Seicento.Sono soltanto gruppi scolastici in gita a visitare gli imponenti imbocchi dei cunicoli di Claudio, oggi restaurati e protetti da un parco archeologico. Lo stesso vale per l’Incile, da cui ogni giorno 86.000 litri d’acqua prendono la via della Val Roveto e del Tirreno. Nessuno, infine, sofferma la sua attenzione sui 101 chilometri di canali, ancora in perfetta efficienza, dei quali si occupa oggi l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo Agricolo (ARSA) che ha sede nell’ex Palazzo Torlonia di Avezzano. All’oblio sfugge solo una piccola parte dei centri intorno al bacino. Ad Alba Fucens, la città dei Marsi riedificata dai Romani che offre uno splendido colpo d’occhio sulle due vette gemelle del Velino, sono relativamente numerosi i visitatori del foro, dell’anfiteatro, delle porte Massima, Fellonica e di Massa, delle poderose mura che sfiorano i tre chilometri di sviluppo, della bellissima chiesa romanica di San Pietro costruita nel Medioevo sulle fondamenta del tempio di Apollo. Abbastanza frequentata è anche Celano, sede di importanti ritrovamenti archeologici recenti, dove l’imponente Castello Piccolomini ospita un interessante museo dedicato all’arte sacra della Marsica. Tutto il resto, però, è praticamente sconosciuto. Le scoperte, invece, possono essere numerose anche qui.
Avezzano è l’esempio migliore. Devastata nel 1915 dal terremoto della Marsica, pesantemente colpita nel 1944 dai bombardamenti alleati, la “capitale” del Fucino ha un aspetto completamente moderno. Merita una visita, però, il poderoso castello eretto a partire dal 1490 dagli Orsini e poi rimaneggiato dai Colonna, che ospita inoltre una piccola pinacoteca d’arte moderna. Accanto alla sede dell’ARSA il casino di caccia dei Torlonia ospita fotografie, attrezzi agricoli e altri cimeli legati alla bonifica.
Lasciata la città per dirigersi verso Luco dei Marsi e Trasacco si raggiungono in breve l’Incile, dove inizia l’emissario Torlonia, e i poderosi cunicoli di Claudio che danno ancora oggi accesso alle condutture romane. Al margine della piana attendono il visitatore le belle chiese di Trasacco (l’antica Trans aquam, “al di là dell’acqua”), il castello medioevale di Ortucchio, le molte grotte della sponda meridionale del Fucino che hanno restituito una ricca messe di reperti preistorici. Sul Monte Salviano, che domina Avezzano, il moderno santuario della Madonna di Pietraquaria offre il più classico panorama sul Fucino e le sue montagne. Nella parte alta di Magliano de’ Marsi, la chiesa romanica di Santa Lucia domina la piana con la sua imponente facciata.
Da Rosciolo, una stradina asfaltata conduce a Santa Maria in Valle Porclaneta, una chiesetta dall’esterno dimesso che conserva però un ambone, una iconostasi e un ciborio di eccezionale fattura, scolpiti poco dopo il Mille. Da Capistrello un viottolo che scende tra fitti boschi permette di raggiungere lo sbocco della conduttura romana, riutilizzata da Torlonia, dove le acque della piana si gettano con una cascata nel Liri.Nel prossimo futuro, il Fucino offrirà un’altra meta da non perdere agli appassionati di storia. Entro l’anno, infatti, verrà finalmente inaugurato nella piana a valle di Celano il Museo della Preistoria Abruzzese, nel quale verranno esposti i corredi ritrovati nelle necropoli di Fossa, di Colle della Battaglia, di Civitaluparella, gli oggetti di culto della Grotta Beatrice Cenci e della Grotta a Male. Cuore del nuovo museo sarà il villaggio italico su palafitte costruito nell’Età del Bronzo al margine del Fucino e riportato alla luce dagli archeologi a partire dal 1986.
Assolutamente da fare, in ogni stagione dell’anno, è anche la traversata del Fucino lungo una delle tante strade tracciate nel corso della bonifica. Nella calura dell’estate, fra le nebbie tenaci dell’inverno o sotto i cieli limpidi della primavera e dell’autunno l’incontro con i campi, gli uomini e i trattori al lavoro, i camion che trasportano gli ortaggi verso i mercati è un viaggio nella storia e nell’economia dell’Abruzzo. Prima o dopo l’esplorazione del bacino, a completare l’itinerario non possono mancare una passeggiata nelle splendide gole calcaree di Celano, un’escursione alle pendici del Velino dove il Corpo Forestale ha reintrodotto da qualche anno i grifoni, e una visita ai boschi della Vallelonga, dove l’orso è di casa e dove si snodano alcuni dei sentieri più belli del Parco Nazionale d’Abruzzo.

PleinAir 327 – ottobre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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