Il giorno più lungo

Dal nostro inviato a Matera: cronaca del 2 luglio, festa della Madonna Santissima della Bruna.

Indice dell'itinerario

Bruna è il nome della Madonna protettrice della città ma bruno è anche il colore di Demetra, la Madre Terra fonte di vita e oggetto di culti propiziatori antichi come l’uomo.
Matera non sarebbe sé stessa se non festeggiasse la Bruna e solo in rare occasioni non lo ha fatto, sempre per ragioni superiori. Come nel giugno del 1915, nell’imminenza della Prima Guerra Mondiale, quando con tristezza infinita l’arcivescovo Anselmo Pucci comunicò: «…la festa di Maria Santissima della Bruna trova quest’anno i cuori non come al solito giocondamente sereni ma ansiosi nella trepida attesa di supreme decisioni per la patria e il mondo; per cui inopportune sarebbero le esultanze dei consueti festeggiamenti…».
All’origine dei quali c’è, come sempre, una tradizione popolare. Narra la leggenda che in un lontano giorno di un’afosa estate un carrettiere ritornava dai campi e una radiosa fanciulla gli si parò davanti chiedendo un passaggio. Ma non appena giunti a Matera essa si trasformò in una statua della Madonna e, prima di svanire nel nulla, prese a parlare rivolgendosi al contadino: «Così, su un carro ben addobbato, voglio entrare ogni anno nella mia città».
La devozione dei materani crebbe a tal punto da commuovere papa Urbano VI che, testimone egli stesso di alcuni inspiegabili miracoli, istituì nel 1378 una solenne festività religiosa da celebrarsi il 2 luglio di ogni anno e proclamò la Madonna Santissima della Bruna “titolare della metropolitana chiesa e protettrice della città”.
Per immergersi nell’atmosfera della festa conviene arrivare in città il giorno prima: si ha così la possibilità di vedere il percorso delle processioni addobbato di petardi appesi lungo le vie come il bucato, la folla che sciama festosa per il centro incoronato di luminarie, i madonnari che dipingono i marciapiedi. Ma come in ogni festa popolare che si rispetti, non mancano gli ambulanti che vendono cianfrusaglie d’ogni genere, mentre in un gazebo scintillante un’orchestra suona finché la notte non ingoia la vigilia del giorno più lungo.

Prime ore del giorno
Sono le sei. Dopo la Messa in cattedrale la gente esce a gruppi sulla piazza e si prepara per quella che viene chiamata la processione dei pastori, anche se in giro non se ne vede l’ombra. In compenso ce ne sono due finti che tengono per la cavezza un asino, con i fotografi che li assalgono in mancanza di quelli veri. Il sole è ancora basso all’orizzonte e il caldo torrido che brucia l’estate della Lucania è ancora lontano; c’è anzi un venticello che spazza il sagrato e rende piacevole l’attesa. Dopo un po’, mentre la luce si spande sul Sasso Caveoso, spunta il sacerdote con il Quadro dei Pastori e la processione s’avvia.
Il giorno più lungo per Matera è cominciato, più o meno venti ore in tutto: si andrà avanti fino all’una di notte, quando l’ultimo fuoco artificiale viene sparato da Murgia Timone sull’altro versante della Gravina.
La processione sfila sonnolenta dietro al quadro, un vecchio dipinto seicentesco su lamiera, infiocchettato di nastri, con l’immagine sbiadita della Bruna e del Bambinello. Qualcuno s’affaccia alla finestra, guarda il lento corteo con la tazza del caffè in mano e poi richiude le persiane facendosi il segno della croce. Le massaie parlottano tra file di panni stesi, i padri sollevano i figli più piccoli per farli guardare. Ma la devozione della città sembra limitata a poche centinaia di fedeli, confinata in vicoli semideserti: l’attesa dei materani è tutta rivolta alla sfilata serale del carro trionfale. Ogni tanto si levano canti di preghiera e per un po’ il corteo s’immerge nelle stradine dei Sassi, a ricordo dei tempi in cui una folla d’ogni età si incolonnava con fervore tra le occhiaie tristi delle case-grotta. Lungo il cammino ci si fermava a sentir messa nelle chiese, poi si proseguiva tra nenie e antichissime laudi. Una di queste, ritrovata in un vecchio libro, recitava così: “Te, Madonna della Bruna, invochiam col cuor degli avi/E i tuoi puri occhi soavi riguardiam con pari amor/Questa nostra fede antica, vibri, o Madre, intatta e fiera/E la forte tua Matera rifiorisca alla virtù”.

Tarda mattinata
La processione del Quadro dei Pastori continua a percorrere le strade della città nuova, annunciata dai petardi che svegliano i ritardatari con un fracasso di mitraglia. Fa ritorno nella cattedrale più o meno a mezzogiorno, quando il sole comincia a bruciare le pietre e monsignor Celiberti, arcivescovo di Matera e Irsina, inizia a sfilare su un’auto scoperta esibendo una statuetta di Gesù Bambino seduto sulla seggiolina.Con questa seconda processione la sacra immagine di Maria Santissima della Bruna viene portata dalla cattedrale alla chiesa dell’Annunziata, nel rione Piccianello. Data l’ora, i devoti sono ormai una marea ed entrano in scena anche i Cavalieri, l’anima nobile della festa, gli ultimi paladini della tradizione. In questa edizione sono novantuno, guidati – come succede da quattro anni – dal generale Angelo Raffaele Tataranni con gli ufficiali Giuseppe Riccardi, Cosimo Gravella, Eustachio Sacco, il portavessilli Vincenzo Sacco e il trombettiere Eustachio Barbaro. Essere uno dei Cavalieri della Bruna è il sogno di ogni bambino di Matera: quando a metà mattina compaiono maestosi sul sagrato del duomo, nei pantaloni bianchi a strisce rosse e in groppa ai destrieri infiocchettati, devono apparire loro come personaggi di magiche storie.
Noi abbiamo la fortuna di assistere alla vestizione del generale Tataranni, alle nove del mattino nella camera da letto di casa sua. Aiutato da moglie e figlia, indossa il corpetto sulla camicia con grande cura, mentre il mantello senza pieghe e profumato di lavanda è posato sul letto insieme alla spada. Ogni gesto è misurato, scandisce il tempo con lentissime pause, e nel silenzio s’odono solo gli scatti di un paio di fotografi appostati in un angolo. A vestizione ultimata, passano gli ufficiali per il saluto: la commozione è intensa, anche se sono 35 anni che Raffaele Tataranni partecipa alla sfilata. Lo baciano tutti, uno a uno, poi il generale scende le scale di casa come il sovrano di una favola e sale a cavallo in mezzo al cortile.

Pomeriggio e sera
A metà pomeriggio, non lontano dalla chiesa dell’Annunziata, una folla incontenibile s’accalca davanti ai cancelli che proteggono il carro trionfale. Tutti vorrebbero entrare a toccarlo e a farsi fotografare in posa prima che venga distrutto e Michelangelo Pentassuglia, l’artefice di quest’opera, ne sembra soddisfatto. Sono sei anni che costruisce il prezioso carro insieme ai suoi fedeli assistenti, Angelo Chita e Rosa Fabrizio, passando ogni volta due mesi e mezzo in una polverosa bottega: quindici ore al giorno a plasmare e dar colpi di pennello, adoperando più o meno 80 chili di chiodi, 60 di colori, 50 di colla, due quintali di carta e un metro cubo di legno. Il suo capolavoro di cartapesta, ogni anno ispirato a temi del Vecchio e Nuovo Testamento, questa volta si chiama Pace nella Terra di Gesù e pare un barcone fantastico pronto al varo. E’ lungo 14 metri, largo quasi 3 e alto fino a 7; a prua ci sono angeli, putti e cherubini multicolori, a poppa una Madonna in veste celeste e rossa, al centro Gesù sull’asinello e in alto la Madonna riccioluta della Bruna, col Bambino in braccio. Complessivamente sono nove statue a grandezza naturale e quaranta tra angeli, santi e cherubini, tutti preda agognata dai profanatori della Bruna. Come vuole la tradizione, infatti, tra poche ore il lavoro paziente di mesi sarà fatto a pezzi in pochi secondi. Ma il prossimo anno ci sarà un carro nuovo, ancora più bello, con la speranza che anche i campi diano messi più generose.
Alle sette di sera finalmente i cancelli si aprono e ha inizio la terza solenne processione. In una ressa biblica il carro viene attaccato a un tiro di sei muli e sul baldacchino di guida prende posto un guidatore con la frusta.
Posta sul carro trionfale, scortata dai Cavalieri, dall’arcivescovo, dal capitolo della cattedrale e dal clero cittadino, la sacra effigie della Bruna percorre Via XX Settembre, Piazza Vittorio Veneto, Via del Corso, Via San Francesco, poi Piazza del Sedile, fin su a Piazza del Duomo. Qui il carro compie tre giri rituali, riconsegna l’immagine della Madonna alla cattedrale e ridiscende in città, in un’atmosfera di fremente attesa.
Siamo sistemati su un baldacchino sopraelevato, al centro di Piazza Vittorio Veneto, dove si prevede che inizierà l’assalto al carro. Sotto le luminarie ondeggia un oceano di folla che fa dondolare pericolosamente la postazione, ma tutti gli occhi sono rivolti a nord verso Via del Corso: lì si scorge una ressa furibonda. I Cavalieri si stringono alle fiancate del carro per impedirne l’assalto e farlo arrivare intatto qualche metro più avanti. I muli sono impauriti e scalciano disperati, ma ormai è tutto inutile: in un caos indefinibile, un gruppo di “guastatori” sale sul trofeo con velocità felina, dilaniandolo; in meno di due minuti ne resta solo lo scheletro. Gambe e braccia di cartapesta galleggiano sulla folla, volti di statue spariscono sotto maglie e camicie. Tutti lottano per difendere il pezzo faticosamente staccato da conservare in casa per tutto l’anno come una reliquia.
Poi, all’improvviso, torna la calma: la banda suona la marcia dell’Aida, mentre la gente si appresta a consumare i resti del pranzo aspettando i fuochi di mezzanotte che chiuderanno il giorno della Bruna.

PleinAir 371 – giugno 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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