Il giorno del ringraziamento

Ogni prima domenica di ottobre, una singolare processione di fedeli, escursionisti e abitanti in costume d'epoca parte da Alagna Valsesia e raggiunge le pendici del Monte Rosa: la tradizione contadina dei Walser, il solerte popolo giunto in queste valli dalla Svizzera otto secoli fa, rivive nella festa del Rosario Fiorito con una passeggiata fra terra e cielo per rinsaldare il legame fra l'uomo, la natura e il senso del sacro.

Indice dell'itinerario

Cosa potrà raccontare al Padreterno un parroco alpinista che per centoventi volte è salito alla Capanna Regina Margherita, il rifugio più alto d’Europa, in bilico sulla cima di Punta Gnifetti a 4.559 metri di quota? Dirà probabilmente che una buona fetta di Paradiso (anche se qui siamo sul Rosa) l’ha già visto in terra.
Per arrivare a due passi dal cielo bisogna essere esperti arrampicatori forniti d’adeguata d’attrezzatura e capaci di scongiurare il mal di montagna. Ci vogliono corde, piccozza, ramponi. E, quel che più conta, servono mente lucida e fisico d’acciaio: tutte doti che Don Carlo Elgo (per la cronaca anche provetto sciatore) possiede in abbondanza dato che, superati i 75 anni d’età, continua a macinare chilometri in alta montagna con l’agilità di uno stambecco. Chi ce la fa, come lui, sarà ricompensato dalla visione del massiccio che si staglia tra Piemonte e Svizzera, torreggiando su montagne e colline che s’allungano nel fondovalle.
Questa è senza dubbio un’esperienza per pochi, ma l’Alta Valsesia ne offre di ogni genere al turista secondo natura: e basta aspettare la prima domenica di ottobre (che quest’anno cade il 5) per viverne una adatta a tutti i buoni camminatori, che coniuga un emozionante momento di genuina tradizione con una bella sgambata sui sentieri. Si tratta della salita a piedi alle falde del Monte Rosa per la processione del Rosario Fiorito, che si svolge con la partecipazione delle comunità walser del territorio.
La partenza di questa singolare processione avviene intorno alle 13.30 non lontano da Alagna Valsesia, lasciando il tempo di trascorrere parte della mattinata all’annuale fiera del bestiame in programma lo stesso giorno nel vicino paese di Campertogno. Se passate intorno alle 9 del mattino, già vedrete mandrie d’ogni genere – cavalli, pecore, capre e mucche agghindate con nastri multicolori e campanacci al collo – attraversare il ponte sul fiume Sesia e poi dirigersi verso il campo sportivo. Quale occasione migliore per i bimbi di città, assuefatti al cemento dei quartieri, di veder radunato in un colpo solo un così gran numero di animali che ruminano, belano, brucano e si riposano tra verdi vallate e luminosi cieli blu? Ma anche gli adulti hanno di che svagarsi, scoprendo l’artigianato locale e le specialità gastronomiche del territorio nei chioschi della fiera.
A Campertogno, borgo forse di origini celtiche assestato nell’aria frizzante degli 830 metri di quota, è piacevole anche passeggiare lungo strade affiancate da vecchie case in pietra, alcune ancora con i tetti in piode, le caratteristiche coperture formate da lastre di scisto. Tra i luoghi da visitare ricordiamo almeno la settecentesca chiesa di San Giacomo, che racchiude diverse opere d’arte e un organo del XVII secolo ancora in attività. Prima o poi si finirà per attraversare il vecchio ponte del 1611, a una sola arcata, che collega le due parti del paese scavalcando le acque del Sesia che corrono verso la Pianura Padana. Proprio all’imbocco del ponte si trova l’edicola votiva con l’immagine della Madonna che un tempo, oltre a scongiurare le devastanti piene del fiume, si diceva proteggesse i viandanti diretti lungo i perigliosi sentieri di montagna. Più tardi, all’inizio dell’800, la piccola cappella fu trasformata in garitta per le guardie napoleoniche: era infatti proprio qui che passava il confine tra il Regno d’Italia e la Francia.
Bisogna però risalire al Medioevo per trovare gli accadimenti più significativi della storia locale. Tra queste valli ancora sembra aleggiare nell’aria il ricordo di Fra’ Dolcino da Novara, che agli inizi del XIV secolo incarnò il movimento degli Apostolici fondato da Gherardino Segalello da Parma, condannato al rogo nel 1300 per eresia (stessa sorte sarebbe toccata sette anni dopo al suo discepolo). Dopo aver vagato e predicato a lungo nell’Italia settentrionale, suscitando l’ostilità del clero di Roma, Dolcino e i suoi seguaci trovarono uno dei loro ultimi rifugi proprio a Campertogno, tra le valli di Gattinara e Serravalle, e quando la Chiesa spedì un contingente armato per catturarli dovette scontrarsi con i focosi valligiani, pronti non solo a difendere il frate ribelle ma anche a salvaguardare la propria identità culturale valsesiana.

La storia in corteo
Lasciato Campertogno e procedendo verso le pendici del Rosa, la valle si restringe a collo di bottiglia. Si percorre la provinciale 299 e in una dozzina di chilometri si arriva ad Alagna Valsesia, l’ultimo paese della valle a 1.186 metri d’altitudine. Nel giorno del Rosario Fiorito, atteso con grande partecipazione dall’intera comunità walser, conviene posteggiare in paese oppure in località Wold, a circa un chilometro: entrambi i parcheggi sono serviti da un bus navetta che in pochi minuti porta in località Acqua Bianca (con omonima cascata) all’ingresso del parco dell’Alta Valsesia. E’ da qui che si imbocca il sentiero numero 6, splendido percorso che in un’oretta di salita tra bellissimi panorami porta all’Alpe di Vigne, punto di partenza della processione.
Siamo tra gli alpeggi a quota 1.850 metri, nel prato antistante la piccola cappella ricavata in una nicchia rocciosa della parete di Flua. Intorno alle 13 si è già radunato un buon numero di persone tra escursionisti, appassionati di folklore e soprattutto Walser in abiti tradizionali. Il corteo non può prendere il via senza la guida di Don Carlo Elgo, classe 1933, che venticinque anni fa riesumò dall’oblio l’antica processione, risalente al 1683. Solitamente la partecipazione dei Walser al pellegrinaggio del Rosario Fiorito è limitata ai rappresentanti delle comunità valsesiane di Rima, Rimella e Carcoforo, come nell’edizione di quest’autunno; ogni tre anni invece (la prossima volta nel 2009) assume forma solenne, allargando i propri confini agli abitanti di Campello Monti, Formazza, Macugnaga e Ornavasso per la Val d’Ossola, Issime e Gressoney per la Valle d’Aosta, Bosco Gurin per il Canton Ticino. Più o meno un centinaio sono i partecipanti nei loro meravigliosi abiti d’epoca, in alcuni casi veri e propri pezzi da museo risalenti al XVIII e XIX secolo.
I Walser sono un antico e orgoglioso popolo di provenienza alemanna, abili coltivatori e allevatori che otto secoli fa cominciarono a migrare dall’Alto Vallese per ragioni politiche e religiose (pare che per espatriare si servissero della mulattiera del Colle del Turlo), colonizzando e rendendo fertili le vallate intorno al Monte Rosa, considerate fino a quel momento improduttive. La loro profonda religiosità è testimoniata dalla cappella inglobata nell’oratorio di Santa Maria Maddalena in frazione Merletti di Alagna, con affreschi della fine del ‘200, ma anche da eventi come la stessa ricorrenza del Rosario Fiorito. Per la comunità si tratta di un appuntamento di grande importanza in cui si coglie l’eco del Danktog, la giornata del ringraziamento per la buona annata sui pascoli d’alta quota. Ma i Walser vengono qui alle pendici del massiccio anche per placare le anime dei defunti che secondo un’antica credenza vagano senza pace sotto forma di farfalle sui ghiacciai del massiccio, almeno fino a quando la recita del Rosario le libera dal sortilegio.
Dopo il saluto di Don Carlo davanti alla cappelletta inizia la discesa a valle con decine di Walser, donne soprattutto, che portano le lanterne. La processione è preceduta dal baculum, l’asta crocifera seguita dallo stendardo della Veneranda Confraternita del Rosario di Alagna, con l’immagine della Madonna con il Bambino e sul retro San Giovanni Battista, patrono del paese. Il bellissimo percorso tra paesaggi incontaminati, baite e ponticelli di legno che attraversano il Sesia (le cui sorgenti si trovano nel ghiacciaio a monte) è però in alcuni tratti un’infida mulattiera di sassi e pietre, in forte pendenza, da affrontare con molta attenzione e naturalmente con un buon paio di scarpe da montagna. Presto la curiosità iniziale legata all’aspetto folkloristico del pellegrinaggio cede il passo a una sorta di sintonia spirituale con questa gente tranquilla e ospitale, mentre la pace dei luoghi e le preghiere che riecheggiano nelle valle lungo le sette stazioni di sosta sono un viatico all’armonia tra uomo e natura. Qua e là risuonano canti e orazioni in titzchu, remota lingua dei Walser, recitati negli alpeggi che mano a mano si incontrano lungo il percorso: Schafejaz, Blatte, Bitz, Pile e Stigu. Che cos’è in fondo questo cammino per gli aspri sentieri alle pendici del Rosa – scrive Don Carlo nel suo libro Il Rosario Fiorito, una tradizione Walser – se non la metafora di una vita irta di ostacoli che un buon cristiano deve compiere ogni giorno per avvicinarsi al Creatore? .
Alla settima e ultima stazione, l’oratorio di Sant’Antonio Abate, si arriva senza difficoltà costeggiando le acque del Sesia; dopodiché il sentiero, abbandonata l’erta discesa a gradoni iniziata al Rifugio Pastore, raggiunge il fondovalle. E’ qui che intorno alle 16, sul sagrato della chiesa, Don Carlo celebrerà il rito della benedizione delle immagini che commemorano i Walser defunti. Terminato il pellegrinaggio non resta che percorrere l’ultimo tratto a piedi lungo la strada principale, incontrando la chiesa di Santa Maria Maddalena prima di ritrovare il parcheggio di Wold.
Prima di rientrare in paese vale un breve fuorirotta la frazione di Pedemonte, dove sorge un’eccezionale baita walser risalente al 1628. La struttura a tronchi sovrapposti saldati ad incastro, con gli ambienti intatti in cui sono esposti i vecchi utensili d’uso quotidiano, è una sorta di viaggio nel tempo attraverso la vita domestica del mondo contadino di una volta, e tutto in pochi passi: gente pratica e concreta, i Walser erano soliti ricavare nello stesso edificio la casa, la stalla e i magazzini.
Tornati ad Alagna Valsesia conviene visitare la quattrocentesca chiesa di San Giovanni Battista, prima di terminare la lunga giornata in un modo tanto consueto quanto piacevole: a cena in trattoria, meglio se con un tagliere di formaggi misti della vallata ad accompagnare una delle rinomate polente locali, che fuma sul tavolo quasi a voler ricordare che l’inverno non è più così lontano. .

PleinAir 434 – settembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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