Il giardino di pietra

Finalmente liberata dai ponteggi la città di Noto, regina del barocco siciliano, torna a dare spettacolo. Ma non da sola: sulla scena le sono accanto la Noto Antica, i santuari rupestri, l’oasi litoranea di Vendicari, gli scavi di Eloro, la villa romana del Tellaro... Insomma un cast di prim’ordine per un copione a tratti inedito, che soddisfa pienamente anche il pubblico dei turisti pleinair.

Indice dell'itinerario

Se state progettando un viaggio in Sicilia e pensate di dedicare “uno sguardo” anche a Noto, passate oltre: meglio non rischiare una crisi di rimpianto. Per rendersi conto delle attrattive che la città e il suo immediato hinterland mettono in gioco, infatti, ci vogliono almeno quattro o cinque giorni. Senza contare che, allargando il cerchio sia pure di poco, di sorpresa in sorpresa potreste ritrovarvi imprigionati fra i Monti Iblei, Avola e Avola Antica, il canyon del Cassibile, Palazzolo Acreide, la necropoli del Castelluccio, Ispica e le sue Cave, Marzamemi e il litorale di Capo Passero… Non sono che alcune delle destinazioni significative a una manciata di chilometri dalla meta principale. Ma per ora limitiamo a questa la nostra attenzione, confortati da un’ottima premessa: Noto ospita con favore i turisti itineranti, ai quali non lesina le aree attrezzate per la sosta. Il nostro Portolano ne elenca ben quattro, custodite e a pagamento, di cui due prossime al centro storico, vale a dire al pezzo forte del programma. Per la cronaca, noi abbiamo fatto base all’ombra di un limoneto nelle piazzole del Noto Parking, che fornisce a richiesta servizi di navetta personalizzati; e, come vedremo, potersi muovere senza spostare il proprio mezzo può essere risolutivo almeno in un paio di circostanze. Salvo variazioni del momento, il calendario minimo che vi proponiamo prevede un giorno intero da trascorrere in città, uno a Noto Antica e all’eremo di San Corrado, uno nell’Oasi di Vendicari e il quarto tra i resti archeologici situati nelle vicinanze della stessa area protetta: la villa romana del Tellaro e la città greca di Eloro.

La regina del barocco
Prima fra le città della Sicilia orientale dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità (insieme a Catania, Militello Val di Catania, Caltagirone, Palazzolo Acreide, Ragusa, Modica e Scicli), Noto esibisce un repertorio architettonico di valore assoluto, per quanto vistosamente celebrativo delle classi egemoni che ne imposero la costruzione. La città fu infatti fondata ex novo dai potenti della nobiltà e del clero in un sito lontano 16 chilometri dalla preesistente Noto o Netum, rimasta seriamente danneggiata dal terribile sisma che l’11 gennaio 1693 mise in ginocchio mezza isola. Danneggiata sì, ma non tanto da essere abbandonata: gli abitanti si accamparono tra le macerie ed espressero, con tanto di referendum, la volontà di restare. Ciò nonostante l’alto commissario allora incaricato della ricostruzione, Giuseppe Lanza duca di Camastra, non intese ragioni e arrivò a far abbattere gli edifici ancora in piedi della vecchia città per poter avviare i lavori della nuova. Secondo il piano urbanistico ad assi ortogonali ispirato dallo stesso duca, basato sulla netta distinzione fra le strutture di rappresentanza ambientate sul pendio meridionale del Colle Meti e gli accasamenti popolari sul pianoro sommitale, i migliori ingegneri, architetti e artigiani del tempo compirono l’opera in meno di quindici anni. Il risultato fu quel piccolo miracolo di coordinazione e di armonia che possiamo ammirare ancora oggi, e per farlo in modo redditizio seguiamo il percorso da oriente a occidente, il più collaudato.
Si parte dai giardini pubblici di Piazza Marconi dove si trova la stazione delle autolinee e dei taxi e su cui si apre l’arco d’ingresso al centro storico, detto Porta Reale o Ferdinandea (lì nei pressi, tra l’altro, fa scalo la navetta del Noto Parking). Prima di entrare, accanto al terminal dei bus, dedichiamo una breve digressione al refettorio affrescato dell’ex convento dei Cappuccini, ora sede di una cantina sperimentale. Dopodiché, varcato l’arco, ci troviamo su Corso Vittorio Emanuele che innerva l’area più rappresentativa di Noto, incluse le tre piazze principali. Subito a destra stupisce l’acrobatica ambientazione di Piazza dell’Immacolata con la chiesa e il convento di San Francesco sopraelevati, la scalinata di accesso e il contiguo monastero del Salvatore, dalle grandi finestre a grate ricurve. Sul fronte opposto, una teoria di palazzetti tra i quali la sede del Museo Civico che, oltre alla pinacoteca e all’antiquarium, ospita una galleria d’arte contemporanea. Al piano terra si possono acquistare i biglietti per la visita combinata (se si vuole anche con guida) di gruppi di monumenti gestiti da varie associazioni: è possibile così accedere ad ambienti solitamente riservati, come ad esempio la sala degli specchi nel Palazzo Municipale o l‘auditorium del Teatro a quattro ordini di palchi. Ma le combinazioni includono soprattutto la salita sulle terrazze di due chiese, Santa Chiara e San Carlo, affacciate sul corso rispettivamente ad est e ad ovest del cuore monumentale. Il cielo di Sicilia e il colore dorato degli edifici rendono la vista dall’alto un’esperienza quasi trascendentale, difficile da riassumere nelle immagini. Per non dire del valore dei due edifici: la pianta ovale, il deambulatorio e la cantoria di clausura di Santa Chiara, la facciata concava e le poderose tre navate di San Carlo.
Tornati con i piedi per terra, si esplora con maggior consapevolezza il “giardino di pietra”, come ebbe a definire Noto il grande storico dell’arte Cesare Brandi. Ancora lungo il corso, in Piazza XVI Maggio sono in primo piano il già citato Teatro Comunale, l’antistante fontana d’Ercole e la chiesa di San Domenico. Ma la meta clou è la centralissima Piazza del Municipio dove si fronteggiano la sede del Comune, il Palazzo Ducezio (dal nome di un leggendario re dei siculi) e, preceduta da una scalinata oceanica, la cattedrale di San Nicolò che i restauri e la ricostruzione della volta, crollata nel 1996, hanno da poco restituito all’aspetto originario. Ai lati si allineano il Palazzo Landolina, dove una mostra documenta le fasi di recupero del duomo, e il Palazzo Vescovile con la basilica del Salvatore, innestata ad angolo, che chiude la scenografia verso oriente. A occidente della piazza invece, con lo stesso nome del palazzo che vi si affaccia con balconi barocchi tra i più fantasiosi che si conoscano, sale la Via Nicolaci, che ogni anno a maggio fa da sfondo a un’Infiorata artistica. Ne conclude la prospettiva la facciata a emiciclo della chiesa di Monte Vergine che s’attesta su Via Cavour, quasi un argine alla città storica “minore” estesa sul pianoro. Lassù si arriva anche dall’immediata parallela Via Pirri, sulla quale prospetta una bella Loggia del Mercato con fontana.
Generalmente ma immeritatamente trascurata dagli itinerari turistici, anche la Noto alta serba, nel tessuto edilizio secondario, edifici degni di nota. In particolare numerosi conventi e monasteri con annesse chiese come quelle del Santissimo Crocifisso (incompiuta), di San Francesco di Paola, di Sant’Agata… E alcuni palazzi nobiliari, fra i quali Astuto, Trigona, Impellizzieri, che il materiale da costruzione e il gusto enfatico delle decorazioni fondono al resto in un’immagine irripetibile. Anche a valle di Corso Vittorio Emanuele, lungo la parallela Via Ducezio oltre la quale è dilagata la città moderna, emergono altri capolavori barocchi quali le chiese del Carmine e di Santa Maria dell’Arco, frapposte a nobili dimore come Palazzo Rau, situato alle spalle del Municipio. Per completare la lista del giorno, detto (poco) degli alimenti intellettuali, mancherebbero indicazioni sulle pause gastronomiche; ma golosi quali siamo, rischieremmo di citare le sole pasticcerie (e si sa quanto siano peccaminose in Sicilia). Meglio lasciare ai gusti personali dei lettori e alle tante specialità locali ogni possibile soddisfazione.

La città che fu
Come ricordavamo la primitiva Noto, sviluppatasi perlopiù nel Medioevo su insediamenti di origine antecedente alla dominazione greca, sorgeva a 16 chilometri di distanza dalla sede attuale: si trovava per la precisione sull’Alveria, un’altura dell’entroterra ibleo frastagliato da canaloni e rilievi calcarei. Abbandonata per secoli, i ruderi in balia della vegetazione, l’antica città è stata riscoperta in tempi recenti, riportata alla luce negli ultimi anni e finalmente valorizzata come parco archeologico liberamente visitabile, inaugurato nell’aprile 2009. Ci si arriva seguendo dal capoluogo la statale 287 diretta a Palazzolo Acreide e deviando a sinistra dopo circa 10 chilometri; ma nei restanti 6 la strada di accesso si va restringendo, fino a rendere problematico l’incrocio di due autovetture, ed è perciò da sconsigliare al transito di camper e caravan, che nei 500 metri terminali potrebbero perfino incagliarsi tra i parapetti in pietra di un ponticello. Tuttavia non abbiamo notato segnaletiche restrittive, mentre non mancano i temerari che spingono fin sotto le mura scocche di notevoli dimensioni. Col senno di poi ci sentiamo di suggerire, specialmente a chi viaggia in gruppo, di organizzarsi per l’andata e ritorno in navetta. In ogni caso il tragitto stradale è di grande suggestione, non soltanto per la bellezza del paesaggio che scopre ma anche e soprattutto per tre perle che si incontrano a poca distanza l’una dall’altra.
La prima, che conosceremo al ritorno e che si scorge sul fondo di una cava dall’alto dell’omonima contrada, è il piccolo ma veneratissimo eremo di San Corrado, patrono di molte località della zona. La seconda è propriamente un’opera d’arte stradale che richiede almeno una fermata: il ponte in conci di pietra, segnalato da quattro obelischi, che sovrasta i ruderi di antiche condotte d’acqua. Terza tappa il settecentesco santuario di Santa Maria della Scala, che sulla bretella di collegamento a Noto Antica è annunciato dalle edicole di una Via Crucis e raccordato al terreno da monumentali scalinate. Vi si riconoscono il gesto deciso dei progettisti così come il biondo e tenero calcare delle architetture barocche post terremoto, le inferriate d’arte, i decori. Visitabile in genere nei soli giorni festivi, oltre alla chiesa con la tomba del fondatore del santuario Girolamo Terzo, il complesso include un grande convento e un antiquarium di reperti medioevali in buona parte provenienti dalla vicina Netum. Mancano solo 3 chilometri alla meta eppure curve e strettoie sembrano allontanarla, sino a che il profilo della Noto Antica appare liberatorio, alto su un promontorio fortificato. Un parcheggio di dimensioni sufficienti ma in forte pendenza accoglie i visitatori, mentre alcune tabelle didattiche preludono a un’interessantissima escursione di due o tre ore. Si passeggia in piano su sterrati a lungo battuti da coltivatori e allevatori che hanno le attività nei dintorni quand’anche non risiedono all’interno dell’area. Oltrepassata la Porta della Montagna e i bastioni d’ingresso, si visita il Castello Reale con la torre cilindrica ricostruita in un cimitero di rocchi, stipiti e capitelli scolpiti; poi si scorgono i resti di un ospedale, di un collegio di Gesuiti, di un palazzo nobiliare, di alcune chiese, di abitazioni e altre costruzioni, incorniciati da ulivi e macchia mediterranea. Distaccandosi dal tracciato principale, un sentiero attrezzato porta in circa un’ora tra discesa e risalita sul fondo del vallone settentrionale del Carosello dove si vedono i resti dei laboratori artigiani, in particolare concerie, dislocati lungo il corso d’acqua. Poi, svelando a ogni passo altri ruderi, la via maestra si conclude sul ciglio meridionale dell’Alveria, con due straordinari belvedere presidiati il più alto dal convento dei Cappuccini, risalente al XV secolo, e il secondo dall’eremo della Provvidenza, costruito dopo il 1693. Da entrambi lo sguardo spazia fino al mare agitando sentimenti e fantasia: la miscela giusta per imboccare la via del ritorno e prepararsi alla visita dell’eremo-santuario di San Corrado. All’edificio, incastonato nel verde di una valle detta dei Miracoli, porta una breve deviazione dalla statale, su una sede nuova e ampia che termina in un grande parcheggio, a conferma della popolarità del luogo. Ci si arriva però anche a piedi, per un acciottolato sentiero di devozione, dalle sovrastanti case del borgo di San Corrado di Fuori. Il tramonto avvolge la valle in controluce, indugiando appena sul costone calcareo che cela in una grotta il primitivo eremo e a cui si appoggiano letteralmente la chiesa con il sacello e una statua del santo, un piccolo, commovente museo di ex voto e un minuscolo convento, tutti costruiti intorno al 1750. Tra salire alla grotta e visitare tutto il visitabile s’impiega meno di un’ora; quindi ripercorriamo il giardino che orna il santuario, facciamo scorta di acqua potabile dalla fonte che sgorga sul piazzale e in un’altra mezz’ora siamo a Noto.

Oasi sul mare
Speculatori e immobiliaristi l’hanno circuita e assediata, tornando più volte alla carica. Ma per nostra (e loro) fortuna l’Oasi di Vendicari, area umida di grande interesse biologico e riserva naturale orientata dal 1984, ha saputo resistere agli assalti. Ora risplende di luce propria come una delle mete naturalistiche più amate e rispettate della Sicilia. Tutto merito di un mosaico costiero, esteso per circa 10 chilometri, di spiagge, dune, macchia mediterranea e pantani retrodunali dove si alternano stormi di uccelli migratori e fermentano vite invisibili. Ad accrescere il fascino del sito ci pensano ruderi greco-romani affioranti a riva, resti di un insediamento bizantino, le mura spezzate di una torre normanna e lo scheletro di una tonnara, freschi di restauri.
Trascorrere in questo eden una giornata è il minimo desiderabile, perciò conviene arrivarci con il proprio veicolo data anche l’alta probabilità di un bagno e l’eventualità di un pernottamento, possibile nel parcheggio attrezzato di Calamosche, ben segnalato lungo la provinciale 19 per Pachino ma collegato da una stradina interna che andrebbe affrontata solo nelle ore morte. Chi proviene da nord, dopo circa 12 chilometri da Noto trova a Calamosche il primo ingresso utile all’Oasi: il principale e meglio collegato, anche se peggio segnalato, si trova però poco più a sud. E’ anch’esso servito da un ampio parcheggio a pagamento che pratica tariffe ad hoc per i veicoli abitabili e li sistema in un piazzale appartato, ma incustodito di notte e privo di servizi. Costo del parcheggio a parte, l’accesso alla riserva è gratuito, in cambio – si presume – di un comportamento responsabile, consapevole dei molti divieti ripetuti da cartelli ammonitori. Ad esempio non disperdere i rifiuti: ciascuno è tenuto a riportarli fuori dall’area protetta, che perciò non dispone di pattumiere. Non è consentito bagnarsi al di fuori delle spiagge designate di Eloro, Calamosche e Tonnara, né infastidire la fauna, danneggiare piante, avvicinarsi agli stagni abbandonando i sentieri, procurarsi souvenir che non siano immagini e sensazioni. Nel preparare lo zaino per l’escursione, oltre al binocolo, alla fotocamera e a un liquido repellente (mosche e zanzare danno noia in alcuni periodi) basterà attenersi al clima, portando la crema solare o il K-way, e alle intenzioni dell’equipaggio quanto al pranzo, con intermezzo in camper oppure al sacco. Quel che occorre sapere è che tutta l’Oasi di Vendicari è percorribile a piedi senza difficoltà in circa quattro ore, includendo le dovute soste, dal confine nord di Calamosche a quello sud, per un sentiero litoraneo che collega tutti i punti salienti della riserva ed è in più parti delimitato da staccionate o da muretti. Volendo spezzare in due la passeggiata si presta meglio il parcheggio centrale, che dista poche centinaia di metri dalla spiaggia della Tonnara, subito seguita da un’area di scavi. Durante la nostra visita un’interruzione del sentiero impediva di raggiungere al confine sud la Cittadella dei Màccari, un altro sito archeologico comprendente quattro piccole basiliche, resti di abitazioni e sepolture d’epoca bizantina.

Tra Greci e Romani
Che si faccia base a Noto o a Calamosche, dopo il bagno di natura del giorno precedente occorre tornare sulla provinciale 19 per il bagno di storia che vi proponiamo come congedo. In entrambi i casi si tratta di spostamenti brevi, perché le due destinazioni interessate hanno a che fare con il territorio di Vendicari.
La prima, che è anche una primizia essendo stata aperta al pubblico solo due anni fa, è la villa romana del Tellaro, così chiamata dal nome del vicino fiume. Edificata in età tardo-imperiale, per l’importanza dei pavimenti a mosaico si accomuna alle ville coeve di Piazza Armerina e di Patti, testimoniando tutte l’affermarsi in Sicilia di ricche famiglie di latifondisti. Rimasta sepolta nel terreno se non per piccoli affioramenti, ha cominciato a restituire le sue bellezze grazie a scavi sistematici che durano dagli anni ’70 e sono destinati a continuare. Al momento se ne possono apprezzare parziali strutture lasciate all’aperto e alcuni ambienti decorati protetti da una moderna pensilina e da una passerella sopraelevata; la ricostruzione storica e l’evoluzione degli scavi sono illustrate in una sala dell’edificio di servizio, ricavato da una masseria costruita sullo stesso sito due secoli fa. Il complesso, ben segnalato e facilmente raggiungibile dalla provinciale, si serve di un grande parcheggio alberato adatto alla sosta e al pernottamento libero, dopo averne ricevuto conferma dal gestore dell’adiacente locale di ristoro.
Tornando indietro sulla 19 verso Noto, dopo circa 3 chilometri si devia a destra per la seconda destinazione: i resti della città greca di Eloro, divenuta tra il VII e VI secolo a.C. uno strategico avamposto di Siracusa a guardia dei fiumi Asinaro e Tellaro. La località, a dire il vero, è più ambita per la grande spiaggia libera adiacente e per quella di Calamosche, sull’opposto versante, e i reperti rinvenuti con le campagne di scavo avviate dal grande archeologo Paolo Orsi versano, di fatto, in stato di abbandono. In assenza di strutture di appoggio e custodi, si entra nell’area dalle brecce della recinzione e lo stesso viavai dei veicoli, per una strada sconnessa e su un incerto parcheggio invaso dalla sabbia, lascia immaginare solo costumi balneari. Ma a ripensarci, che male ci sarebbe a chiudere la giornata anche noi con un bagno solitario? Quanto ai costumi culturali… l’appuntamento è alla prossima.

Testo e foto di Alberto Galassetti

PleinAir 454 – maggio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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