A Mammola nella Locride, presso il giardino di Nik e il suo MuSaBa

Nell'entroterra della Calabria jonica, vicino Mammola, l'arte contemporanea si fonde con il paesaggio in un eccezionale "luogo dell'anima". E' il MuSaBa, parco, laboratorio e museo creato da un poliedrico artista di fama internazionale che in più di trent'anni ha raccolto, a due passi dal suo paese, una collezione di opere senza eguali
Nik-Spatari

Indice dell'itinerario

Lungo la superstrada che collega Gioiosa Jonica a Rosarno procediamo tranquilli, a buona andatura, attraverso il verde paesaggio della Locride. Arrivati all’altezza di Mammola, però, alcune singolari installazioni ai lati del viadotto ci inducono a rallentare. Di qua si profila un’esile e altissima sagoma che scruta il panorama sovrastando quasi la collina, di là appare un lucertolone multicolore che sembra crogiolarsi al sole nella spianata sottostante, sul greto del torrente Torbido. Scartata l’ipotesi di uno sconsiderato parcheggio lungo la carreggiata, la cosa più saggia è imboccare l’uscita del paese per capire in quale strano posto siamo finiti: dopo qualche tornante ci guida un’indicazione dipinta su un muro, MuSaBa.

MuSaBa, il Museo Santa Barbara

Percorsi un paio di chilometri la strada comincia a scendere nel fondovalle, per poi terminare a ridosso di due piloni. Lasciamo il veicolo e proseguiamo a piedi: sembra un luogo abbandonato a sé stesso, e invece è proprio questo l’ingresso di un incredibile museo-laboratorio d’arte contemporanea en plein air, senza custodi né biglietteria.

L’unico sbarramento è un artistico cancello in ferro con animali in rilievo, oltre il quale inizia un sentiero che prosegue tra l’alveo del fiume e il viadotto. Poco dopo si incontra un altro pilone con immagini di gechi dipinti, e dopo un centinaio di metri l’enorme rettile che avevamo notato dall’alto, rivestito con tasselli di maiolica policroma: una sorta di apparizione alla Gaudí usurata dal tempo, che meriterebbe forse qualche piccolo ritocco ma è perfettamente a suo agio tra rovi e sterpi dell’assolata valletta. In certe giornate di calma piatta, come oggi, il silenzio rende ancora più inquietante la visione: l’unico rumore, quando c’è, è il sibilo del vento mescolato al fruscio dello scarso traffico che scorre sulla statale.

Le installazioni artistiche

Dopo due misteriosi totem di pietra, a fianco di un appezzamento incolto svetta la sagoma stilizzata che per prima aveva attirato la nostra attenzione. Ai suoi piedi una struttura con il tetto ricoperto di ceramica ospita gli uffici e la foresteria per gli artisti di passaggio, oltre a una gigantesca farfalla con le ali fatte di fondi di bottiglia. Di fronte si alza una sorta di piccola acropoli, che si raggiunge salendo lungo un breve e ripido sentiero, in parte a gradini, scavato sul fianco della collina. Da ogni parte spunta un’opera da osservare, e ognuna è una sorpresa: come la Donna Fontana in calcestruzzo dipinto realizzata nel 1987 da Stevie Kerwin, o la Stele di Mary Moross dov’è incisa, tra simboli e figurine rupestri, l’evocativa dicitura “Queste montagne trasudano storia”.

Mammola-Opera-con-frammenti-di-maiolica

Arrivati in cima ecco il sancta sanctorum del MuSaBa, quel che resta di un monastero benedettino risalente all’XI secolo, oggi trasformato in centro artistico e divulgativo (si può anche assistere a una videoproiezione). All’interno uno scavo archeologico mostra le fondamenta di un primitivo insediamento romano e un rilievo scolpito che testimonierebbe il passaggio dei Templari.

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La storia di Nik Spatari

E’ a questo punto, se non l’avete incontrato prima, che si materializzerà tra gli ulivi come un Socrate del terzo millennio la massiccia figura di Nik Spatari, ideatore e ispiratore del MuSaBa: un energico ottantenne in gran forma, dalla folta barba bianca e con vivacissimi occhi celesti. La sua vita – nato a Mammola nel 1929, pittore, scultore, architetto, storico, scrittore e, quel che più conta, “filosofo delle piccole cose” – è una sorta di romanzo a puntate: artista di grande vaglia, già nell’orbita di Picasso e Max Ernst negli anni ‘50, collaboratore di Le Corbusier a Parigi, ammirato da Eugenio Montale e da Jean Cocteau (che una volta, durante una personale di Spatari, staccò dalla parete un dipinto lasciando in cambio un biglietto di ringraziamento autografato).

Una carriera iniziata da ragazzo, quando disegnava murales sulle rocce dell’Aspromonte mentre accompagnava il padre, maresciallo dei Carabinieri, che dava la caccia ai latitanti. Nik seppe restituire il colore della speranza perfino alle case colpite dai bombardamenti dell’ultima guerra utilizzando per dipingere, visto che non c’era altro, una poltiglia di latte in polvere e tuorlo d’uovo. Inutile elencare mostre, premi e riconoscimenti ottenuti da Spatari in tutto il mondo in sessant’anni di attività professionale: Milano, Londra, Losanna, Tokio, Copenaghen, Venezia, Israele, Russia, Stati Uniti…

Ma Nik è rimasto profondamente legato alla sua terra, attraverso un cordone ombelicale che non si è mai reciso. E insieme alla sua fedele compagna, l’olandese Hiske Maas (anche lei artista eccentrica ed esuberante), negli anni ’70 ebbe l’idea pionieristica di fondare proprio qui a Mammola una sorta di “paesaggio in divenire”, in cui esprimere la propria creatività riciclando i materiali del territorio. Non c’era luogo migliore di quest’angolo dimenticato della Calabria, accanto ai piloni della superstrada fra Jonio e Tirreno, per far germogliare il seme di quell’arte che da più di mezzo secolo è il linguaggio prediletto di Spatari.

Tutte le opere del giardino

Oggi sono decine le opere disseminate sui 7 ettari del parco: citiamo ancora (e molte altre ce ne sarebbero) Fountain del taiwanese Jin Jong Chen, l’Angelo di Santa Barbara di Pietro Gentili, Solstizio d’Estate di Barbara Quinn, Luminous Trees del giapponese Masafuni Maita, una sorta di spazio sacro recintato, interamente in ferro, innalzato nel 1990 sull’argine del Torbido.

Non mancano ovviamente le creazioni di Nik: l’Uomo-Donna che ricorda Giacometti, gli allestimenti in pietra e calcestruzzo, le vetrate, le sagome, i dipinti dai colori dinamici che sembrano scomporsi in infinite direzioni e poi, all’interno della chiesa dell’ex complesso monastico, un immenso affresco di ben 240 mq, Il Sogno di Giacobbe, al quale ha lavorato per quasi cinque anni dal 1991 al ’95 utilizzando la tecnica delle matite colorate su multistrato per creare l’effetto illusorio dei personaggi sospesi.

Resta un mistero come un autodidatta sia riuscito a sprigionare una tale vena artistica pur vivendo nel silenzio. C’è infatti un ultimo particolare: anche se a modo suo spiega ai visitatori i segreti del MuSaBa, Nik non sente e non parla perché è sordomuto da quando aveva 11 anni, a causa di un trauma. Ma in un mondo in cui tutti gridano, a cosa servono le parole quando un uomo racconta sé stesso e il mondo attraverso la sua arte?

Testo e foto di Paolo Simoncelli

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