Il fiume di fuoco

Circondati dalle fiamme di gigantesche torce montate a ventaglio, nel pomeriggio del 24 dicembre centinaia di portatori sfilano nelle strade di Agnone, in Molise: è la 'Ndocciata, una delle processioni più spettacolari di tutta Italia.

Indice dell'itinerario

Il 23 dicembre dello scorso anno una tormenta di neve seppellì l’Alto Molise sotto un candido mantello, rendendo strade e passi di montagna pressoché impraticabili. Per tre giorni sferzate di vento gelido ed enormi fiocchi di neve si riversarono anche su Agnone (a dispetto della quota di 850 metri, dunque non particolarmente elevata); e così il comitato organizzatore, riunitosi in seduta straordinaria, decise di far slittare la ‘Ndocciata dal 24 al 27 dicembre per motivi di sicurezza. Parrebbe un banale fatto di cronaca, ma per gli abitanti di questo paese (altrimenti noto in quanto sede della Pontificia Fonderia Marinelli, che da almeno otto secoli forgia a mano le sue famose campane) si è trattato di un evento nell’evento: la ‘Ndocciata è infatti la tradizionale processione delle fiaccole che si tiene ogni anno la vigilia di Natale, e doverla rimandare di ben tre giorni ha contribuito a far crescere l’attesa di questo cruciale appuntamento.
La tormenta, fortunatamente, è cessata come previsto e il 27 le strade erano di nuovo agibili. Già dal mattino tutti erano in gran fermento e, ancor prima che all’imbrunire il campanone della chiesa di Sant’Antonio chiamasse a raccolta i portatori delle cinque contrade, si vedevano numerosi figuranti avvolti nei caratteristici mantelloni di lana a ventaglio. Ognuna delle cinque contrade di Agnone ha i suoi portatori, veri protagonisti della festa, per un totale di quasi 1.000 persone che sfilano su Corso Vittorio Emanuele e Via Roma con le loro ‘ndocce fumanti. Un gruppo rappresenta Capammonde e Capabballe, ovvero la parte alta e quella bassa del centro cittadino; ci sono poi le contrade di Sant’Onofrio, Colle Sente (un nucleo abitato che si trova oltre 150 metri più in alto del principale), la Guastra e San Quirico. Chiunque, dall’arzillo novantenne al bambinetto in età da scuola materna, porta in processione la sua torcia di legno d’abete bianco, riempita con rami secchi di ginestre; quelle sorrette dai più piccini sono singole, mentre quelle degli adulti sono costruzioni assai più complesse in cui le fiaccole, lunghe anche 3 o 4 metri, vengono legate a raggiera – sempre in numero pari, fino a un massimo di 20 – mediante assi trasversali, ottenendo un’impalcatura che può pesare anche svariate centinaia di chili. Il portatore, la cui fatica è pari solo all’abilità con cui controlla l’equilibrio della costruzione, infila la testa al centro della struttura e la carica in spalla, afferrando saldamente due ‘ndocce e incamminandosi tra le fiamme. Per la fabbricazione si utilizzano legno di abete bianco ricavato, su indicazione della Forestale, da alberi malandati o danneggiati: se ne trovano, del resto, su tutte le montagne della provincia di Isernia, specialmente alle porte del paese nei boschi di Montecastelbarone. Verso le 6 del pomeriggio, segna l’inizio della sfilata il rito dell’accensione (oggi effettuata con la fiamma ossidrica), dopodiché il fiume di fuoco inizia lentamente a snodarsi lungo le vie. Le fiaccole rappresentano i primitivi culti arborei pagani, ma anche la devozione religiosa di chi le trasporta: alcuni lo fanno spensieratamente, altri in mistico raccoglimento. Una volta c’era l’usanza di trarre auspici dal modo in cui ardevano le fiamme, predicendo buona fortuna se erano grandi e crepitanti e mala sorte se erano invece piccole e silenziose (va però notato che il bagliore del fuoco si stempera nella luminosità di lampioni e insegne pubblicitarie di bar e negozi, sottraendo alla ‘Ndocciata una parte della sua spettacolarità). E’ invece la storia a dirci che le ‘ndocce erano i bastoni accesi utilizzati dai Sanniti, svariati secoli prima dell’era cristiana, per i loro spostamenti notturni; ma anche in epoche più recenti, prima dell’avvento della luce elettrica, lo stesso facevano i contadini delle frazioni di Agnone per attraversare le buie campagne e recarsi a messa in una delle ben venti chiese e cappelle cittadine (quasi tutte edificate nel Medioevo, alcune con dettagli architettonici e presenze artistiche di notevole pregio).
Ormai sul far della sera, mentre si aprono gli androni delle case per la mostra dei presepi artistici, la processione termina accanto alla chiesa di Sant’Antonio dove le torce vengono deposte per il suggestivo rogo finale. Qualcuno certo ricorderà di averlo visto a Roma in Piazza San Pietro l’8 dicembre 1996, quando più di 2.000 ‘ndocce agnonesi sfilarono di fronte a Giovanni Paolo II («Recando sulle spalle le gigantesche torce di abete – disse Karol Wojtyla – e formando quasi un fiume di fuoco per costruire il Falò della Fratellanza, voi proclamate l’amore di colui che è venuto a portare sulla terra il fuoco del Vangelo»). Al termine del memorabile spettacolo, il Papa ricevette in dono una preziosa campana della Fonderia Marinelli e una scultura in bronzo raffigurante un tradizionale portatore piegato dal peso di una torcia a dodici legni, opera dell’artista Ruggero Di Lollo. In onore del pontefice sfilarono anche gruppi folkloristici e zampognari, con il sottofondo della pastorale agnonese fondata nell’800 da Filippo Gamberale, noto musicista del luogo.
La stessa pastorale dà simbolicamente inizio alle festività invernali con la funzione religiosa che si tiene ad Agnone nella chiesa di San Marco il 21 novembre: una ricorrenza che è, in pratica, una sorta di piccolo Natale anticipato, perché proprio in quel giorno i calderai (rappresentanti di una delle più floride tradizioni artigianali locali) lasciavano per lunghi mesi il paese e la famiglia per andare a vendere pentole in Abruzzo, Campania e Puglia. A quei tempi, neppure troppo remoti, pochi erano gli agi per quegli emigranti stagionali che partivano lungo sentieri resi insicuri dalle prime nevi e che, per proteggersi dal freddo, avevano solo i pesanti indumenti dell’antichissima tradizione pastorale di queste terre.
Ma altri sono i ricordi sui quali amano soffermarsi gli agnonesi più in là con gli anni: come quando, per la ‘Ndocciata, i giovani facevano a gara nel costruire torce gigantesche con cui pavoneggiarsi sotto le finestre della fanciulla alla quale volevano rubare il cuore. E il crepitio delle fiamme, nell’aria fredda e limpida dei primi giorni d’inverno, era la serenata più bella.

PleinAir 389 – dicembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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