Il cozzaro nero

Un acclamatissimo palio nautico rievoca i fasti della vecchia marineria tarantina che oggi, tra il Mar Piccolo e il Mar Grande, trova nuovo impulso nell'allevamento di mitili prelibati.

Indice dell'itinerario

E’ la storia a dirci che Taranto fu fondata da coloni spartani nel 706 a.C. Ma, quasi a testimoniare lo stretto legame che la città ha sempre avuto col mare che la circonda, la sua nascita leggendaria si fa risalire al fortunoso approdo di Taras, figlio del dio Nettuno, giunto su queste coste cavalcando un delfino.
Oltre alla privilegiata posizione geografica e al clima mite, un grande porto naturale e, separato da una striscia di terra, un piccolo seno d’acqua più interno e riparato rendevano il luogo ideale per un insediamento: fin dalle prime colonizzazioni fu dunque naturale per gli abitanti ricavare il proprio sostentamento dal mare. Molti secoli dopo, quando l’industria fece la sua comparsa sul territorio, assunse anch’essa connotati che, con l’istituzione di cantieri e basi militari navali, la legavano sempre più all’acqua: fu una presenza determinante che in un passato ancora recente ha portato, con la costruzione del centro siderurgico, a un progressivo abbandono dei mestieri tradizionali in favore di altri che promettevano un miglior tenore di vita.
Svanito questo miraggio, oggi restano solo la diminuzione dei posti di lavoro e un diffuso inquinamento, che hanno portato l’economia locale a riconsiderare favorevolmente le vecchie attività marinaresche. E così, oltre alla pesca, oggi la secolare tradizione della coltivazione delle cozze assume sempre più rilevanza, al punto che il paesaggio del cosiddetto Mar Piccolo è costituito quasi esclusivamente da migliaia di pali che fuoriescono dall’acqua: sono i giardini delle cozze, i grandi vivai dove si allevano i saporiti molluschi. E’ risaputo che qualsiasi corpo immerso nel mare si ricopre, in breve tempo, di organismi che crescono traendo nutrimento dallo stesso supporto al quale si sono ancorati e dalle sostanze presenti in acqua. Al fine di far attecchire le larve di cozza, tra un palo e l’altro viene creato a pelo d’acqua un reticolo di canapi (spesso ricavati dai fiscoli dei frantoi, ricchi di sostanze nutritive derivanti dal grasso dell’olio); a questa grata si legano perpendicolarmente altre corde, immerse fino a una profondità di circa 6 metri, dalle quali si raccoglierà tra novembre e marzo il seme per l’allevamento (è l’operazione detta captazione). A mano a mano che i molluschi crescono, verranno più volte estratti dall’acqua per essere trasferiti in lunghe reti cilindriche di nylon e poi rimessi in mare per poter continuare il ciclo di crescita (ingrasso). A queste operazioni vanno intercalate le cosiddette sciorinature, che consistono nel tenere fuori dal mare i grappoli di cozze per evitare l’attecchimento degli anemoni o di altri predatori.
In questo specchio d’acqua di 2.500 ettari – un ecosistema in cui vivono in simbiosi microrganismi, molluschi, pesci e volatili e che Egidio D’Ippolito, presidente dei mitilicultori, definisce «un’immensa nursery» – operano 640 addetti con una produzione annua di circa 50.000 tonnellate di cozze. Anche se oggi si è passati dagli impianti fissi alla più semplice coltivazione chiamata Long Line, prima che il prodotto raggiunga i mercati dovranno trascorrere ben 14 mesi di duro lavoro che non conosce soste.
Le peculiarità della cozza di Taranto sono rappresentate dalle sue dimensioni contenute, dovute ai pochi nutrienti presenti in acqua, e ai suoi caratteri organolettici determinati dalla presenza di ben 33 polle d’acqua dolce che ossigenano continuamente il piccolo specchio di mare. La prova di una tale bontà non può che effettuarsi con assaggi in una delle tante rivendite della città vecchia o in un buon ristorante dove, immancabilmente, si dovrà degustare almeno un piatto di tubetti con le cozze. L’unicità della cozza di Mar Piccolo – che la distingue perfino da quelle coltivate in Mar Grande – è anche alla base dell’auspicato riconoscimento DOP, per evitare che questo gustosissimo mollusco continui ad essere un mitilo… ignoto.

Da un mare all’altro
Solo poche volte l’anno i pescatori tarantini abbandonano le incombenze marinaresche: a Pasqua durante i riti della Settimana Santa, a maggio con la processione a mare del patrono cittadino San Cataldo e a settembre per festeggiare la protettrice Stella Maris, celebrazioni tutte intrise di profondo senso religioso. Essenzialmente ludico è invece il torneo marinaro che si svolge in due fasi, la prima l’8 maggio e la seconda – quella maggiormente seguita dal pubblico – a luglio.
Ed eccoci al caldo sole pomeridiano della piena estate in prossimità del Ponte Girevole, dove il lungomare è gremito di gente che si accalca lungo le ringhiere in ferro che affacciano sul Canale Navigabile. Tutti gli sguardi sono rivolti verso la striscia di mare più in basso, dove minuscole barche a remi arrancano controcorrente: sono quelle di mitilicultori e pescatori che partecipano al Palio di Taranto, una competizione tra dieci contendenti in rappresentanza di altrettanti rioni, salutata festosamente dalla folla e dallo svettante monumento al Marinaio d’Italia. Le imbarcazioni, lunghe 4 metri e contraddistinte dai colori dei quartieri d’appartenenza, sono condotte da due rematori nella tipica posizione di voga: in piedi, con la faccia rivolta a prora e ognuno al governo del proprio lungo remo. Cercheranno, nel minor tempo possibile, di effettuare il periplo dell’isola della Città Vecchia con il proprio schifo (scafo), la pesante barca in legno utilizzata abitualmente nei lavori marinareschi. E non c’è regata che si rispetti che non abbia il suo corteo di piccoli e grandi natanti che seguono da presso i concorrenti nella dura e faticosa gara.
Più che assistere alla competizione dall’alto – dove del resto si riescono a vedere solo le fasi della partenza e dell’arrivo – risulta più coinvolgente seguire il percorso via mare. E’ possibile sfruttare quest’opportunità, offerta gratuitamente dagli organizzatori del Palio, imbarcandosi dalle banchine della Città Vecchia che affacciano sul Mar Piccolo (Discesa Vasto) su uno dei tanti vaporetti messi a disposizione dalla Marina Militare o su barche e paranze degli stessi pescatori (se dovesse capitare d’essere ospitati a bordo di queste ultime, probabilmente vi saranno offerte cozze da mangiare obbligatoriamente crude, accompagnate da una bottiglia di Raffo, l’amatissima e poco alcolica birra locale). Si avrà così modo di costeggiare il Castello Aragonese, attraversare il Canale Navigabile e, passando sotto il Ponte Girevole, giungere nella rada di Mar Grande da dove, in attesa dell’allineamento delle barche alla partenza, si gode un panorama a 180 gradi sul profilo costiero della città.
Man mano che ci si allontana, si affievolisce il clamore della folla mentre l’aria è invasa dal suono delle sirene dei natanti che gremiscono lo specchio d’acqua, aspettando la partenza dei vogatori che, a causa delle onde, faticano a tenere l’allineamento perpendicolare alla costa. Al segnale del via, pare che questo coinvolga tutti i natanti presenti: le possenti vogate iniziali dei concorrenti sono accompagnate da urla di incitamento, ma anche dagli scoppiettii di diesel che ripartono in un turbinare di fumi; in un frenetico e tumultuoso scenario, dominato dal volteggiare degli elicotteri, si vedono persino barche a vela che cercano di trovare spazi per le manovre e piccoli fuoribordo che si infilano nel percorso di gara.
Lungo il tragitto i concorrenti si distanziano l’uno dall’altro e, con la prima virata, imboccano l’ingresso del porto turistico per costeggiare il lato corto dell’isola, salutati dalla statua benedicente di San Cataldo. A questo punto, accompagnate da un calante sole dorato, le altre imbarcazioni che seguono la regata sono costrette – a causa della presenza delle basse arcate del Ponte di Pietra – a tornare velocemente indietro per essere presenti sulla linea del traguardo, che l’equipaggio più veloce raggiungerà in circa mezz’ora. L’arrivo del vincitore è nuovamente accolto dal suono delle sirene al quale si uniscono gli applausi del pubblico dai battelli, dal molo e dagli spalti del lungomare. La premiazione (che terrà conto dei risultati ottenuti anche nella fase di maggio) avverrà con un’elegante cerimonia serale nel Castello Aragonese.

Città vecchia, città nuova
Il nucleo più antico di Taranto sorse sulla penisola, un tempo unita alla terraferma dal solo Ponte di Pietra, che la metteva in comunicazione con il nord della Puglia. Dopo il taglio del Canale Navigabile, ultimato nel 1888, divenne isola e fu collegata mediante il Ponte Girevole alla parte sud del territorio, nella quale nasceva il nuovo borgo.
La Città Vecchia, oggi non più popolata come un tempo, racchiude nel suo intrico di strette stradine, tra chiese e palazzi nobiliari, un piccolo patrimonio architettonico di grande valore. Appena superato il Ponte di Pietra si giunge in Piazza Fontana, caratterizzata appunto dalla presenza di una fontana incorporata in una base d’acciaio a evidente simbolo del connubio tra le due realtà economiche della città. Percorrendo l’affaccio a mare, la Ringhiera, in direzione della zona nuova si passa davanti alla trecentesca chiesa di San Domenico con l’interessante rosone che sormonta l’ingresso, cui si accede da due barocche scalinate contrapposte; a fianco si trova il Palazzo Pantaleo del 1770, una residenza nobile recentemente restaurata, sede provvisoria del Museo Nazionale (aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 19.30). Seguendo la Ringhiera s’incontrano il Palazzo Amati e quindi il Duomo di San Cataldo che, più volte rimaneggiato, risale al 1071. Di grande interesse artistico è il cosiddetto Cappellone dedicato al patrono, ricco di meravigliosi intarsi policromi in marmo.
All’uscita ci si può incamminare per Via Duomo che, attraversando perpendicolarmente l’abitato nel quale sono presenti antiche chiese e monasteri, transita nei pressi della casa natale del musicista Giovanni Paisiello, sulla via omonima. Il percorso isolano termina a Piazza Castello dove affacciano l’imponente Palazzo Comunale, il Castello Aragonese (sede militare) e le colonne doriche, resti del presunto tempio di Poseidone, un tempo inglobate in un convento.
Attraversato il Ponte Girevole, che ancora oggi presenta caratteristiche uniche legate alla modalità di apertura per consentire il transito delle navi, si giunge al Borgo sorto alla fine dell’800. Un esteso intervento di riqualificazione ha recentemente cambiato il volto di questo quartiere con interventi mirati all’abbellimento di quello che è stato definito il “salotto buono della città”. Certo da qualche parte, pur considerando l’utilizzo finalizzato dei fondi pubblici, si sostiene che l’amministrazione abbia dimenticato le… stanze da letto (i quartieri dormitorio) e quelle da bagno (le frazioni prossime alla litoranea) che, salvo alcuni interventi, restano ancora in uno stato di disagio. Tutto ciò che è stato realizzato ha comunque dato un nuovo aspetto al centro cittadino, che appare oggi ringiovanito con eleganza. L’area che ha usufruito maggiormente di questo restyling è soprattutto Via d’Aquino, la strada dello struscio, che tocca alcuni dei monumenti più significativi: tra questi il Palazzo degli Uffici del 1876 racchiuso da un lato da Piazza Garibaldi, sulla quale affaccia la chiesa di San Pasquale, e dall’altro da Piazza della Vittoria al cui centro si erge il Monumento ai Caduti, opera insigne dello scultore Francesco Paolo Como.
La passeggiata continua tra una moltitudine di negozi (la strada è il centro dello shopping cittadino) fino ad arrivare in Piazza Immacolata, ornata da una fontana circondata da palme. Da qui, ripiegando a destra, si arriva in Piazza Ebalia, con la grande fontana della Rosa dei Venti e il lungomare abbellito da maestose costruzioni d’epoca (Banca d’Italia, Palazzo del Governo e delle Poste) per affacciarsi sull’ampio panorama della rada di Mar Grande e tornare a sentire il profumo e la brezza dello Jonio.

PleinAir 384/385 – luglio/agosto 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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