I papiri dello Jonio

Siracusa in camper, in bici e a piedi fra natura e cultura: alle porte della città, una piccola area protetta tutela la più estesa colonia europea della pianta del Nilo.

Indice dell'itinerario

Nell’VIII secolo a.C., quando i Greci colonizzarono l’isolotto dell’Ortigia, tutta la zona a ovest che oggi si chiama Porto Grande di Siracusa era una palude, la Siraka (da cui, pare, il nome della città) alimentata dal fiume Anapo e dal suo affluente Ciane così chiamato per il colore azzurro (in greco kyane) che ne resero la sorgente luogo di culto. Leggenda vuole che qui sorgesse un tempietto votivo dedicato a una ninfa le cui lacrime si tramutavano appunto in acqua, e il mito attirò i viaggiatori dei secoli passati, favoriti dal fatto che questo piccolo paradiso si trova a due passi da un centro abitato.
Che il papiro sia stato importato in questa zona dagli Egizi, come vogliono alcuni studiosi, o sia autoctono, secondo altri, certo è che la più estesa colonia europea di questa pianta stava per essere distrutta con la bonifica che a fine ‘800 imbrigliò il Ciane, portandolo a scorrere parallelo all’Anapo anziché affluirvi: una storica mobilitazione ambientalista ante litteram riuscì però a salvarla, sia pure in parte, promuovendo ufficialmente il papiro a bene culturale da tutelare contro i tagli abusivi. Arrivando ai giorni nostri, dal 1984 la Riserva Naturale del Fiume Ciane e delle Saline di Siracusa – queste ultime site a sud della foce congiunta dei due fiumi – è oggi luogo di conservazione di questa e di altre specie vegetali tipiche delle zone umide, scomparse altrove, nonché rifugio per l’avifauna stanziale e di passo.
Come detto, non capita spesso di trovare un’area protetta a ridosso di un centro urbano: e ciò va ancora a merito della popolazione locale, che ha saputo preservarla dall’aggressione dell’inquinamento e dell’abusivismo edilizio. All’insegna del turismo secondo natura, non resta che approfittare della situazione premiando Siracusa con una visita che si estenda, dai suoi famosi monumenti, a questo piccolo ma importante comprensorio botanico, faunistico e paesaggistico.
Per prima cosa, però, non mancheremo di documentarci sul tema che ci ha ispirato, andando a scoprirne la storia e le applicazioni nella sede più appropriata. La fabbricazione del papiro, inteso come foglio su cui scrivere, è un procedimento talmente elementare da poterlo realizzare in proprio: è sufficiente disporre della pianta e dell’appropriata soluzione in cui immergerla prima di tagliare longitudinalmente i gambi, dopodiché le strisce verranno allineate su un panno e leggermente sovrapposte, quindi pressate con un torchio o un pesante rullo di pietra. Non basta però una rudimentale attrezzatura da banco – magari a uso dimostrativo per le scolaresche di passaggio – per potersi fregiare dell’insegna di museo, come capita di vedere in certe botteghe dell’Ortigia: a scanso di equivoci, il vero e unico Museo del Papiro di Siracusa si trova nella città nuova, esattamente in Viale Teocrito (vicino al ricchissimo Museo Archeologico Paolo Orsi, altra tappa cittadina da non perdere per l’importanza dei reperti ivi conservati). In tre sale sono esposti reperti sufficienti a rappresentare l’intera “civiltà del papiro”, dai frammenti di scritture egizie o loro riproduzioni ai tanti oggetti che nel corso dei millenni sono stati costruiti sfruttando le doti di leggerezza, flessibilità e resistenza di questa pianta, dai canestri alle calzature fino alle imbarcazioni tuttora in uso presso certe popolazioni africane. Se non bastasse, un video che da solo merita la visita al museo racconta tutto, ma davvero tutto quello che c’è da sapere sull’argomento, dagli Egizi che intrattenevano scambi commerciali con Siracusa alla citazione della valle del Ciane da parte di viaggiatori e scrittori dei secoli scorsi (anche se non sempre il papiro veniva nominato, semplicemente perché scambiato con le comuni canne lacustri), fino alle varie tecniche per ottenere la carta e gli altri derivati. Non meno interessanti, fra gli oggetti in mostra nelle bacheche, gli astucci in legno in cui i pittori di quelle antiche scritture tenevano colori e pennelli.In bici al fiume Ciane
Affrontando in camper le città si è a volte frustrati da specifici divieti di sosta se non d’accesso, ma in compenso altre volte ci si stropicciano gli occhi di fronte a quanto viene offerto da oculate amministrazioni o da capaci imprese. Ciò accade per l’appunto a Siracusa dove proprio all’ingresso dell’Ortigia, l’isoletta su cui si insedia il più antico nucleo abitato, ampi spazi verso il mare offrono numerose possibilità di parcheggio libero; e difatti eccoci qui, in un qualsiasi giorno di fine inverno, con tanti equipaggi che come noi hanno colto l’occasione. E’ l’ideale per visitare a piedi i dintorni o, nel caso specifico, tirar giù le biciclette per una bella pedalata.
Il papiro lo si può ammirare quale ospite nonché insolita decorazione della celebre fontana dell’Aretusa, ma è sicuramente più divertente andarselo a cercare risalendo, alla stregua degli antichi esploratori, il suo fiume fino alla sorgente. Il percorso si snoda prevalentemente su strade urbane, con poco più di un chilometro di transito sulla statale che, anche con il traffico di un normale pomeriggio feriale, non ci ha posto alcun problema. Si lascia dunque l’Ortigia per il ponticello attiguo al nostro parcheggio e costeggiando la darsena si raggiunge Corso Umberto I, che si segue fino a Piazza Marconi; qui, senza mutare direzione, in fondo a sinistra si imbocca Via Elorina, che ci porterà fuori città immettendosi sulla statale 115 per Noto. Senza possibilità di errori si incontra e si scavalca per primo l’Anapo, quindi il Ciane e il parallelo canale Mammaiabica oltre il quale si va a cercare, sulla destra, la stradina asfaltata con cui arriveremo dritti alla riserva. Dapprima ci si trova a seguire il canale ampio e quasi stagnante, mentre il Ciane scorre dall’altra parte oltre una doppia fila di altissimi eucalipti; incrociata la ferrovia e scavalcato il canale si arriva all’ingresso dell’area protetta, con un passaggio scalinato che richiede di mettere brevemente il piede a terra. Ora uno sterrato dal buon fondo costeggia il fiume, a volte attraversandolo su ponticelli in legno o ferro. La vegetazione è varia, canne, avena, spini e finalmente i papiri. L’acqua scorre lenta, i ciuffi si dondolano nell’aria, quelli dell’anno precedente più alti e secchi, i nuovi in tutti i toni del verde, dal cupo al giallino. Immensi frassini dalle ampie chiome costringono a passare curvi o scendere nuovamente di bici là dove la vegetazione ha quasi chiuso il sentiero: sono meno di 4 chilometri, ma ci si potrebbero impiegare ore a percorrerlo attratti dai colori della vegetazione, dal volo dell’airone cinerino e dalla singolare atmosfera dell’insieme. Si arriva infine alla fonte Pisma, che ha l’aspetto di un piccolo stagno; ma non è la sola da cui nasce il Ciane poiché, in cima a una diramazione sulla sinistra che abbiamo appena scavalcato con un ponticello, c’è la sorgente Pismotta.
La nostra visita alla riserva finisce contro una sbarra, oltre la quale uno spiazzo e il vicino asfalto potrebbero indurre i più comodi a venire fin qui in camper. Il ritorno si può effettuare per lo stesso percorso o per una viabilità secondaria che, senza possibilità di errore agli incroci (raggiunta la strada proveniente da Canicattì, Via Canicattini Bagni, seguirla fino a incontrare l’indicazione per il centro), riporterà in circa 5 chilometri al punto di partenza. L’intero anello non raggiunge i 15 chilometri.

A piedi nelle saline
Questa volta si percorre in camper lo stesso itinerario compiuto in bicicletta fino al punto in cui abbiamo svoltato per raggiungere il Ciane: in questo caso procederemo invece diritti sulla statale 115 fino a un crocevia, prendendo a sinistra per Via Lido Sacramento. Dopo qualche centinaio di metri, ancora a sinistra a un nuovo bivio, si raggiunge il faro Caderini, preceduto da un parcheggio e da un varco pedonale oltre il quale inizia la nostra breve passeggiata. Il faro è posizionato su uno sperone di roccia, ottimo punto panoramico per ammirare da una parte il Porto Grande di Siracusa e dall’altra le saline. Si segue quindi un percorso obbligato da cui è assolutamente vietato uscire per non turbare il delicato equilibrio ambientale dell’area. Le antiche saline, oggi abbandonate, costituiscono infatti un importante rifugio per vari uccelli che qui nidificano indisturbati al punto di avvicinarsi a volte inconsapevolmente al sentiero su cui transita l’uomo: se spaventati volano via, le uova si raffreddano e la covata è persa.

Alla scoperta dell’Ortigia
“Lo scoglio”, come lo chiamano i locali, si estende per non più di un chilometro quadrato e perciò si visita agevolmente a piedi. Di mattina nei giorni feriali si ammirerà, attorno ai ruderi del tempio di Apollo (quasi lo si trascura in confronto alla più importante zona archeologica dall’altro lato della città, ma si tratta delle vestigia doriche più antiche di tutta la Sicilia), lo straordinario e coloratissimo mercato all’aperto con bancarelle di pesce, frutta e verdura; quasi inevitabile, anche data la vicinanza al camper, fare consistenti acquisti per la cambusa.
Ci si perde quindi nel dedalo di vicoli, fra antichi edifici che pur nella loro decadenza raccontano di antichi splendori attraverso le facciate scolpite. In uno di questi, il medioevale Palazzo Bellomo, si trova la Galleria Regionale che conserva numerose opere d’arte tra cui l’Annunciazione di Antonello da Messina e Il seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio. Si arriva così alla Piazza del Duomo circondata da costruzioni barocche tra le quali spicca una seconda chiesa, Santa Lucia alla Badia, la cui sontuosa facciata sembra fare a gara con quella della cattedrale, che ingloba i resti del tempio di Atena. Ancora pochi passi ed eccoci sbucare sul porto, proprio in corrispondenza della famosa e antichissima fonte Aretusa colonizzata dal papiro. Per il ritorno si consiglia di compiere il periplo dell’Ortigia, fra il Porto Grande e il Porto Piccolo.

PleinAir 402 – gennaio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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