I monti della selce

Il turismo termale è l'asso pigliatutto della zona; ma i Colli Euganei si prestano bene anche a un viaggio pleinair. Vi raccontiamo il nostro: in camper, a piedi, in bici.

Indice dell'itinerario

Saccheggiato per secoli da un’industria estrattiva senza scrupoli, a causa dei suoi materiali da costruzione più o meno pregiati (dalla trachite, con cui è pavimentata Venezia, al comunissimo calcare), questo territorio collinare ricco di vegetazione e fertilissimo, a due passi da città importanti quali Padova e Vicenza, è tuttora impegnato in una lotta contro la speculazione edilizia, da cui l’istituzione nel 1989 del Parco Regionale dei Colli Euganei, il primo nel Veneto. Intanto avanza un’altra strisciante manomissione: edifici rurali trasformati in villette, osterie di campagna diventate anonimi bar o pretenziosi ristoranti (spesso finto rustici), stradelli ampliati a carrabili per servire la proprietà privata, asfalto fin dove possibile, improvvisi cancelli a bloccare un sentiero. Ma per fortuna non tutto è perduto, visto che oltre al consueto giro in camper siamo riusciti ad aggiungere tranquille varianti a piedi e in bicicletta.

Euganei in camper
A consultare la mappa, tante sono le strade e le stradine che si intrecciano attorno e sopra questi colli che è difficile consigliare un particolare itinerario. Meglio segnalare le emergenze più notevoli: ognuno si regolerà di conseguenza, integrando la sua ricerca con quanto troverà nei mille opuscoli gratuiti in distribuzione negli uffici turistici.

Le cave, le fornaci, il museo.
Propedeutica e indispensabile per un giro sugli Euganei è la visita al Museo Geopaleontologico di Bomba (tel. 0429 647166), ricavato oltretutto da una dismessa calcara, una fornace per la produzione della calce. Le tre sale espositive contengono rispettivamente la documentazione sulla geologia e paleontologia dei Colli Euganei, una mostra di minerali, una collezione geologica storica, più attrezzi e cimeli. La cosa più interessante è forse il grande prospetto in cui sono rappresentate le acque provenienti dalle Prealpi Venete che scendono a scaldarsi negli strati più profondi per poi risalire a creare i fenomeni geotermici e il particolare clima della zona. Là fuori l’impianto sembra essere stato abbandonato solo ieri, fanno impressione i carrelli che portavano il materiale alle bocche del forno, ancora sui binari; apposite tabelle illustrano l’intero processo mediante il quale dal calcare si arrivava alla calce viva e alla calce idraulica.
Esaurita la teoria è il momento di passare alla pratica; inutile a questo punto dare indicazioni specifiche. Le cave verranno a voi come la montagna a Maometto, basta guardare fuori del finestrino: ma la più bella si trova in cima al monte Cinto e si raggiunge solo a piedi (vedi oltre).

Monselice.
Più dei monumenti a Monselice colpiscono la posizione e il toponimo, che sembrano riassumere l’obiettivo della nostra ricerca. Mons Silicis (ovvero il monte della selce) fu fondata dai Longobardi su un’altura isolata, in posizione strategica a difesa di un ponte che collegava la pianura ai Colli Euganei. Oggi si trova abbracciata a una cava che le ha portato via persino importanti monumenti, quali un castello e una chiesa, a dimostrazione di come il saccheggio del territorio nei secoli non abbia risparmiato neppure l’opera e la memoria dell’uomo. Oggi quel ponte non c’è più, sostituito da un manufatto in ferro, girevole, costruito nell’Ottocento per consentire la navigazione sul canale Bisatto-Battaglia che scorre là dov’era il Vingenzone, fiume scomparso di cui si trova traccia su antichi documenti. Lì accanto, a specchiarsi sul canale, la Villa Pisani progettata dal Palladio. Oltrepassato il ponte, si entra nel nucleo storico con case porticate e strade strette che poi si aprono a dar respiro e prospettiva a palazzi e chiese. Si incontrano, in successione, il quattrocentesco Monte di Pietà, le rovine del Palazzo Pretorio, il castello di Ezzelino (oggi museo), il Palazzo Nani Mocenigo, il duomo vecchio: da qui, oltre la Porta dei Leoni e la Porta Romana si accede alla rampa del singolare santuario delle Sette Chiese, in realtà cappelle, internamente affrescate da Palma il Giovane, che ci fanno pensare all’ennesimo Sacro Monte. In alto la strada si arresta contro la scenografica Villa Duodo, opera dello Scamozzi, la cui esedra è presidiata dalle statue raffiguranti le quattro stagioni. Da qui la vista spazia fino in fondo alla pianura e ci consola del fatto che un cancello preclude l’accesso alla rocca (vedi PleinAir n. 326). Comodo pernottamento nella centralissima Piazza Ossicella, dove la sosta è gratuita nelle ore notturne, tranne il giorno del mercato.

Este.
I Romani la chiamarono Ateste, da Atesis (Adige), ma il fiume in questione scorre ad almeno 20 chilometri di distanza: come si spiega’ Pochi sanno che nel 589 una catastrofe naturale dovuta al combinarsi di terremoti e alluvioni, passata alla storia come Rotta della Cucca, fece cambiare corso a tutti i fiumi della pianura. Prima dei Romani c’erano i Veneti, popolazione misteriosa di cui ancora nell’800 si ignorava l’esistenza. Dell’uno e dell’altro insediamento non sono rimaste evidenti vestigia, per cui fondamentale è la visita al Museo Nazionale Atestino, ospitato in un palazzo cinquecentesco alla base del castello.
Il trecentesco maniero dei Carraresi, miracolosamente giunto intatto fino ai nostri giorni, perlomeno nello spettacolare giro di mura che si arrampica sulla collina, ospita oggi il giardino pubblico. Per il resto l’impianto urbanistico è disposto a scacchiera attorno a due piazze che costituiscono il fulcro della vita cittadina. In realtà una si chiama Via Matteotti ed è caratterizzata sul fondo dalla seicentesca torre civica che dal voltone rivela essere stata un antico accesso alla città fortificata : bellissimi i due orologi con fasi lunari, tuttora funzionanti. Tra le varie chiese si segnala il duomo dall’imponente interno: dietro l’altare maggiore una pala del Tiepolo (peraltro un po’ scura) mostra com’era Este nel ‘700. Ma è anche interessante fare il giro del canale che circonda per tre lati il centro (il quarto è stato interrato), specie sapendo la sua storia: fu scavato nel 1115 come derivazione del Bisatto con cui i vicentini, allacciandosi al fiume Bacchiglione, intendevano sottrarre acqua ai padovani, e servì per fare di Este un’isola, poi regolarmente fortificata.
Si parcheggia (a pagamento durante il giorno, ma comunque il fondo è piuttosto inclinato) sotto le mura del castello; meglio, nelle stradine lì attorno, come nella non lontana Via dei Mulini: i mulini non ci sono più, in compenso un doppio viale alberato assicurerà ombra durante la visita alla città.

Arquà Petrarca.
Una casa museo e un sarcofago piazzato in mezzo alla strada come un monumento ai caduti ricordano il soggiorno del poeta. Ma al di là dell’ingombrante ospite, Arquà si presenta come un paese tutto in salita da visitare a piedi, dopo aver lasciato il camper nel comodo e ampio parcheggio (ottimo per la notte) ai piedi dell’abitato. Se si è tanto fortunati da evitare le gite scolastiche si godranno i silenzi di queste stradine, le vecchie case ben conservate, ognuna col suo orto (e, dentro ogni orto, piante di giuggiole con cui vengono preparati tipici dolci, in vendita nelle botteghe del posto). Tra i pochi monumenti la parrocchiale di Santa Maria, con all’interno una pala di Palma il Giovane, e l’oratorio della Trinità con la bella loggetta.
Sulla strada per Galzignano, a circa 7 chilometri, in località Valsanzibio non vi sfuggirà, per lo scenografico ingresso (detto Arco di Diana) proprio sulla strada, la seicentesca Villa Barbarigo: assolutamente da visitare quello che viene definito il più bel giardino barocco all’italiana del Veneto, con statue, siepi di bosso, giochi d’acqua e l’immancabile labirinto.

Abano e Montegrotto Terme.
Se dovete fare i fanghi è un conto; ma se siete di passaggio, a meno di non avere una particolare passione per la caccia al tesoro, girate al largo: la segnaletica, a dir poco cervellotica, sembra ignorare l’esistenza di altre destinazioni fuori da questo sito, che non è il centro del mondo e neppure degli Euganei.
Se si vuole comunque assistere a un fenomeno geotermico, al di fuori degli stabilimenti deputati, si può cercare lungo la strada fra Galzignano e Battaglia la Via Regazzoni Bassa; dopo circa 800 metri, a destra, una grande casa in mattoni presenta sulla facciata un’edicola (stranamente coperta da un drappo) dedicata a San Bartolomeo: proprio lì di fronte un cartello indica il breve sentiero che porta a una polla di acqua calda, quel che rimane dei bagni termali, detti per l’appunto di San Bartolomeo e noti fin dal 1455.

Battaglia Terme.
A prima vista sembra un qualunque paese schierato lungo un canale e attraversato da una importante statale (l’Adriatica), ma quel canale ha una storia rilevante e basterà seguire le indicazioni per il Museo della Navigazione Fluviale (tel. 049 525170) per rivalutare il sito. Siamo all’incrocio tra un’antica via d’acqua che da Venezia e oltre (addirittura dal Friuli) porta in Lombardia e un altro canale, il Vigenzone: ha lo stesso nome del fiume che un tempo passava da Monselice e che scende nella pianura ancora in direzione della laguna. Qui transitavano tutte le merci, a cominciare dai materiali estratti dalle vicine cave e diretti ai cantieri delle città; qui, pure in battello, i signori di Padova e Venezia si recavano in villa. L’automobile, ma soprattutto l’avvento del trasporto commerciale su gomma, ha ucciso tutto ciò. I barconi, che avevano persino superato la crisi dovuta al passaggio del fronte della Seconda Guerra Mondiale, hanno definitivamente alzato bandiera bianca nei primi anni ’60. Tutto questo lo si apprende visitando il museo e facendosi guidare da Riccardo Cappellozza, ex battelliere e grande appassionato che, praticamente da solo, negli anni ha curato la raccolta e mostra con orgoglio i reperti più importanti, fra cui il modello in scala della sua ultima imbarcazione. Si tratta, come ci viene più volte ricordato, dell’unico museo sulla navigazione fluviale esistente in Italia. A conclusione della visita, senza andar troppo lontano, si possono ammirare nei dintorni alcuni reperti di archeologia industriale: la vecchia centrale idroelettrica (datata 1895), proprio al centro di Battaglia, a fianco del salto d’acqua ora inutilizzato e la conca di navigazione (in pratica la classica chiusa per superare il dislivello tra due canali), visibile a sinistra in basso poco dopo l’uscita del paese, sulla strada per Padova. Bella notizia dell’ultima ora: il Consorzio dei Battellieri di Padova e Riviera del Brenta, che gestisce la navigazione turistica sui fiumi e canali della provincia (tel. 049 526909 o 049 876860), ha inserito nelle escursioni anche il Canale Battaglia (imbarco davanti al museo, arrivo nel centro storico di Padova, ritorno in autobus).

Euganei a piedi
La rete di antichi sentieri, molti dei quali ben tenuti e a volte – come accennato – addirittura trasformati in carrabili con relativo asfalto, ha permesso di tracciare innumerevoli percorsi in questo territorio. Se non riuscite a procurarvi Escursioni nei Colli Euganei di Aldo Pettenella (Cierre Edizioni, ristampato nel 1994), un’autentica bibbia al proposito, più che sufficienti saranno gli opuscoli reperiti in loco, completi di testi, foto, profili altimetrici, cartine dettagliate e caratteristiche dei percorsi. Essendo nostra abitudine proporre al lettore solo quanto sperimentato, ecco a seguire alcune delle tante possibilità di escursioni a piedi (facili, per tutti).

Attorno al monte Spinazzola.
In quest’angolo poco conosciuto e meno sfruttato degli Euganei, ai limiti con la provincia di Vicenza, sembra essersi raccolto il compendio di tutto quanto si possa ammirare nella zona: coltivi e poi, salendo, vigneti, quindi il bosco fino alle radure sommitali dei colli; edifici rurali sopravvissuti e qualche villa sparsa, le cave (chiuse) e le fornaci che le accompagnavano; infine la sorprendente varietà della vegetazione.
Punto di partenza Rovolon, dove si parcheggia comodamente il camper a fianco della chiesa e ci si porta a piedi fino a un’antica fattoria (1585 è la data scolpita su una targa), ben riconoscibile sulla strada per Treponti. Da qui un sentiero scende per prati, risalendo poi verso la cresta del monte Spinazzola da cui si gode un amplissimo panorama; proseguendo, in discesa, si incontra la macchia mediterranea e poi, ritrovato a un incrocio l’asfalto, il bosco. Ci si può sorprendere di come la vegetazione cambi al solo attraversamento di una strada: in realtà il merito del salvataggio del primitivo manto spetta alle ville Montesi e Frassinello, visibili più avanti in fondo ai rispettivi parchi; per non sbagliare, sull’altro lato, le radure attorno a un laghetto sono state attrezzate a campo da golf. Sullo sfondo, il camino di una fornace abbandonata.Si continua ora ad aggirare il poggio boscoso, fino a vedere le prime case di Bastia: una breve deviazione porta ad ammirare una splendida colombara; tornati alla base del bosco, si risale fino a chiudere l’anello all’incrocio sopra segnalato. Non resta ora che tornare a Rovolon per la strada provinciale incontrando una grande cava di trachite. L’intero giro richiede non meno di tre ore.

Attorno al monte Cinto.
Si parte dalla calcara di Cava Bomba, a Cinto, per un sentiero che passa a fianco e poi in mezzo agli impianti dismessi; se il cancello fosse chiuso, c’è un altro ingresso poche decine di metri più in là, presso la piccola oasi della LIPU. I due sentieri si riuniscono su in alto nel piazzale ove i carrelli della ferrovia di servizio, rimasti ad arrugginire sui binari, portavano il materiale alla bocca della fornace. Si sale verso dei vigneti; quindi, ignorando incroci e cartelli che ci farebbero aggirare il monte, si continua sempre dritti e poi per tornanti in un bosco di robinie e di castagni, fino ad immettersi nella vecchia strada di cava. Ancora tornanti ed eccoci sulla terrazza che dà accesso alla cava stessa. Davanti a noi la vista sul monte Gemola, sul Venda, sull’eremo del Rua; dietro di noi, oltre un varco in leggera discesa, una sorta di piccolo anfiteatro.
Anche uno scempio può avere una sua bellezza, e questo è il caso. La trachite sembra tagliata dall’uomo in esatti parallelepipedi, e invece si tratta di una conformazione naturale dovuta a quella che in termini tecnici si chiama ‘fessurazione colonnare’, conseguenza del raffreddamento progressivo e uniforme della lava dall’esterno al cuore del processo eruttivo. Le foto non rendono giustizia alla spettacolarità del sito, neppure con la persona messa lì a dare la misura dei fondali; bisogna esserci per apprezzare. Il sentiero prosegue ora in un bosco (dove a fatica tra la vegetazione si possono rintracciare le fondamenta di un antico castello) fino a toccare la cima del monte, ci gira attorno e ridiscende alla cava di trachite; la variante, segnalata, per l’arco naturale nella roccia detto Porta dei Briganti è piuttosto acrobatica, e non ce la sentiamo di consigliarla ai lettori. Si torna dunque alla base: salita e discesa richiedono almeno due ore.
Alla Fonte Regina.
Una brevissima passeggiata porta a rinfrescarci ad una sorgente perenne presso una cascatella; si tratta di un sito particolarmente suggestivo, non a caso chiamato Calco delle Fate. Si cerca al secondo tornante della S.P. 43, Torreglia- Castelnuovo, il cartello indicante “Fonte Regina”, si parcheggia davanti al vicino ristorante Ai Molini e da qui si prosegue a piedi per uno stradello ben tenuto (nella primavera dello scorso anno c’erano lavori di consolidamento).

Euganei in bici
Ecco una facile proposta per la famiglia che, tirate giù biciclette e biciclettine dal camper, desideri avventurarsi su un percorso assolutamente pianeggiante e col piacere insolito di non dover incrociare quasi una sola macchina.
Gli argini che corrono lungo fiumi e canali, qui come altrove, costituiscono una naturale pista ciclabile; la loro fruizione dipende dallo stato del fondo, che a sua volta è diretta conseguenza dell’uso che ne viene fatto: basta il passaggio continuo dei pescatori a eliminare le erbacce e smussare le asperità. Nel caso specifico del canale Bisatto-Battaglia le condizioni delle alzaie, almeno di quella lato monti, sono ottime (dall’altra parte corre parallela la vecchia statale Adriatica che ha a Padova il Km 0). Dovunque si sia parcheggiato il camper, ci si può dunque inserire lungo questa antica via d’acqua artificiale. Oggi i barconi non si incontrano più, forse solo qualche solitaria canoa.
Lungo il percorso si incontreranno le testimonianze del passato come la conca di navigazione di Battaglia Terme e l’imponente mole del Cataio, castello cinquecentesco il cui parco è oggi finalmente aperto al pubblico. Una deviazione (con relativi segnali) porterà al Museo dell’Aria di San Pelagio (tel. 049 9125008), facendo molta attenzione nell’attraversamento della trafficata statale. Addirittura, sempre seguendo l’alzaia, si potrà arrivare alla periferia di Padova, in località Bassanello. Da qui per tornare a Monselice sono una ventina di chilometri, circa 30 per Este.

PleinAir 370 – maggio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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