In Sicilia per i luoghi di Giovanni Verga

In una parte d’Italia dove alcune tradizioni stentano a difendersi da una lenta scomparsa – come le realizzazioni artistiche dei carretti siciliani – andiamo sulle tracce dei luoghi vissuti e narrati da Giovanni Verga, universalmente riconosciuto come il più grande interprete della corrente letteraria del Verismo
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Indice dell'itinerario

Com’erano i luoghi narrati da Giovanni Verga, il più grande interprete del verismo italiano? Siamo andati a scoprire questa parte di Sicilia, ancora legata alle sue tradizioni, confrontandoci con gli abitanti del posto.

Domenico Di Mauro, ultimo interprete della scuola di decoratori di carretti siciliani, non è molto lontano dal traguardo dei centotré anni. Quando andammo a trovarlo ad  Aci Sant’Antonio, nella sua casa di Via Primoti, aveva da poco passato il secolo  di vita. Era nel cortile insieme a un gatto, con  il basco in testa e la mano appoggiata all’asta reggibraccio, accanto alla tavolozza dei colori. Non dico che assomigliava a Claude Monet nel giardino di Giverny, ma poco ci mancava.  Vedemmo due occhi luminosi, lo sguardo profondo, la mano  ferma.

Produzione artigianale di pupi della famiglia Lanzafame

La storia di Domenico

Dopo aver passato la vita a decorare carri – iniziò  che aveva dodici anni il buon Domenico, le cui opere sono  esposte al Quirinale e alla Casa Bianca, a Parigi, a Mosca, a  Tokyo – non ne voleva saper di attaccare i pennelli al chiodo.  «Comincio al mattino presto e smetto a mezzogiorno» ci disse. Sono passati due anni e ha tirato i remi in barca, non  lavora più. Però chi vuole può venire nella sua casa, accolto dal figlio Nello, a vedere dal vivo le sue opere: centinaia di quadri che affollano ogni angolo e un carretto siciliano con le storie dei paladini di Francia.

Una volta entrati è difficile andar via, si capisce subito che questo è un luogo speciale.  Del resto in passato a trovare il maestro sono venuti nomi importanti del Novecento: Salvatore Quasimodo, Carlo Levi,  Pier Paolo Pasolini, re Gustavo di Svezia. «Caro Domenico –  gli disse un giorno Carlo Levi – non vado a Catania se prima  non vedo i tuoi colori».

Decorazione di carretti siciliani ad Aci Sant’Antonio con Nerina Chiarenza

Cosa è rimasto dei carretti siciliani?

Oggi gli ultimi decoratori di carretti siciliani sono rimasti Domenico e Nerina Chiarenza, anch’ella di Sant’Antonio. I carretti non servono più; una volta erano tantissimi, e ancora di più i decoratori. Nelle strade di Aci si facevano concorrenza offrendo i loro servizi ai carrettieri che andavano e venivano dalla piana catanese carichi d’uva e di frumento. «Dammi  cinque lire» diceva un decoratore. «Dammene due» diceva un altro.

Erano i tempi in cui Domenico faceva i colori con le terre provenienti dalla Turchia che acquistava in una bottega di Catania. Le miscelava con olio, metteva nel mortaio una pietra di marmo e incominciava a pestare. Ne venivano i colori  forti e vivi con cui dipingeva i paladini di Francia, le gesta di Napoleone, scene della Cavalleria Rusticana. Adesso ad Aci Sant’Antonio c’è un museo dedicato ai carretti siciliani e  tre risalgono alla fine dell’Ottocento.

Davide Aricò, custode e poeta

Ci sono alcuni giovani, come Gaetano Di Guardo, che dipingono riesumando la tecnica di decorazione. «Oramai è tutto finito» dice però Nello. Nessuno sa più nemmeno com’erano vestiti i paladini. «E poi il colore di fondo del carretto dev’essere giallo o blu, non di tutti i colori» incalza il maestro  che nel 1983 soffiò a Renato Guttuso il Trofeo del Maestro alla manifestazione Etna d’Oro.

Acireale

A proposito di cavalieri e paladini, a due passi dalla casa di Nerina abita la famiglia Lanzafame che produce ancora a mano i pupi della tradizione catanese: papà Sebastiano intaglia le figure, mamma Agata assembla i  pezzi e la figlia Marcella li dipinge. Il viaggio prosegue scendendo alla vicina Acireale, il cui salotto è la splendida Piazza  Duomo delimitata dalla grande cattedrale, dalla seicentesca basilica dei Santi Pietro e Paolo e dal coevo Palazzo Comunale.

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Ritratto di Giovanni Verga eseguito dal pittore Ulisse Sartini

Nella confinante Piazza Vigo, invece, di fronte allo storico caffè Cipriani svetta la splendida basilica di San Sebastiano, dalla facciata barocca tempestata di fregi, statue e putti. Molto interessanti la seicentesca Biblioteca Zelantea – con annessa  una pinacoteca che custodisce opere di Albrecht Dürer, Antoon  Van Dyck e Mattia Preti – e il Teatro dell’Opera dei Pupi (un altro si trova a Capo Mulini, pochi chilometri più a sud), con il museo che espone una bella raccolta di antichi burattini, cartelloni e teatrini che evocano l’epoca di Mariano Pennisi, ispiratore del teatro nel  1887 e ultimo discendente d’una  famiglia di pupari ambulanti: pur analfabeta conosceva a memoria  l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto  e la Gerusalemme liberata di Torquato  Tasso. «Prego credere – diceva alla platea  Emanuele Macrì, il successore di Pennisi – che i miei pupi  non sono fatti di legno ma sono uomini veri, di carne, sangue,  muscoli e cuore».

Il borgo di Santa Maria la Scala

Scendendo da Acireale verso il mare si arriva al borgo di Santa Maria la Scala, raggiungibile anche a piedi percorrendo  la Chiazzetta, sentiero panoramico di sette tornanti (indicazioni  da Piazza Duomo) che scende al mare attraverso la Riserva Naturale della Timpa, altipiano lavico a strapiombo sullo Jonio su cui è costruita la stessa Acireale.

Percorrendo da Santa Maria la Scala la strada costiera in direzione nord ci si  ritrova nella cosiddetta riviera dei limoni, che corre parallela alla nera scogliera lavica con il pennacchio dell’Etna in lontananza.  Oltre a una campagna ricca di limonaie s’incontrano i borghetti marini di Santa Tecla, Stazzo – con il porticciolo  dominato dalla chiesetta di San Giovanni Nepomuceno – e Pozzillo, piccolo approdo in una tranquilla insenatura dai  colori tenui e cangianti con casette sulle rocce e qualche barca a remi.

Il porticciolo di Pozzillo

Aci Trezza, tra i luoghi de “I Malavoglia”

Sembra di sfogliare una pagina de I Malavoglia, il celebre romanzo del più illustre figlio di questa terra, Giovanni Verga. Non per nulla  siamo a un tiro di schioppo da Aci Trezza, dove un plotone di barche di legno reca i simboli e i santi a cui affidarsi nelle onde: proprio come la Provvidenza, la barca dei Malavoglia. È qui sul  finire dell’800 che lo scrittore ambientò l’amara storia di una povera famiglia di pescatori.

Aci Trezza

Il Chiosco dei Marinai

Proprio davanti al porticciolo, al Chiosco dei Marinai (in  voga dal 1948), ci si può rifornire di un bicchierone di seltz, limone e sale, bevanda della casa  che nel romanzo di Verga toglieva l’amaro in  bocca a Maruzza La Longa nel vedere il figlio  ‘Ntoni che partiva militare. Mentre la si sorseggia  è possibile incontrare Giovanni il poeta, che fino  a pochi anni fa accompagnava i turisti in barca all’isoletta di Lachea e ai magnifici faraglioni basaltici che spuntano in mezzo al mare, lanciati da Polifemo  contro Ulisse, racconta Omero nell’Odissea, per impedirgli  la fuga. E mentre la barchetta andava, Giovanni declamava  rime gesticolando tra i flutti.

Agnese Giammona con una foto di scena che la ritrae ne La terra trema di Luchino Visconti

La Casa del Nespolo

La Casa del Nespolo – dove  nelle pagine di Verga abitavano i Toscano – si trova invece a due passi dalla chiesa di San Giovanni. È accanto all’arco di pietra lavica che gli attori dell’associazione Fantasticheria rievocano le vicende del romanzo attraverso toccanti animazioni letterarie. Entrando si trova il cortile con il nespolo e oltre una porticina i vecchi attrezzi da pesca; non mancano  alcune lettere che Verga scrisse al fratello Pietro e le foto in bianco e nero regalate dagli abitanti che nel 1947 parteciparono  al film La terra trema, capolavoro neorealista di Luchino Visconti ispirato a I Malavoglia. Dopo aver sforchettato un  ottimo piatto di spaghetti al nero di seppia nella trattoria da Gaetano facciamo visita alla moglie Agnese Giammona, arzilla  ottuagenaria che fu una delle attrici principali.

Un’animazione letteraria presso la Casa del Nespolo

È suo il viso da quattordicenne che compare nella locandina del film, ma  anche gli altri attori furono presi dalla vita e dai mestieri di tutti i giorni di Aci Trezza.  Dovevano recitare la parte degli “eroi piccini”  raccontati da Verga; ma che ne sapevano di  piano sequenza e pausa recitativa un macellaio, un pescatore o un ciabattino prelevati  dal loro mondo di reti da pesca, scarpe da  risuolare e quarti di bue? «A volte ci voleva  un giorno per girare una sola scena» dice  Agnese. «E disegnavano persino le sceneggiature, perché gli attori erano analfabeti». 

Per Visconti fu arduo persino convincere i  trezzoti a partecipare al film. Erano anni in cui  le donne sole erano guardate con sospetto:  figuriamoci cosa voleva dire convincere due  genitori a lasciare le figlie Nella e Agnese per  sette mesi al servizio di un regista.

Aci Castello

Proseguendo dal paese si arriva ad Aci Castello, che appare a mezza costa con il  maniero normanno a picco sullo sperone di roccia lavica. Il custode è Davide Aricò, anche  lui poeta: gli chiedo di recitare alcuni versi  prima di visitare il giardino botanico stretto  tra le antiche mura dove Verga ambientò la  novella Le storie del castello di Trezza. Tra Aci Castello e Catania, dove lo scrittore  trascorse gli ultimi anni di vita, ci sono nove chilometri. La  dimora è in Via Sant’Anna e mostra gli arredi originali come  se dovesse rincasare da un momento all’altro.

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Aci Castello, finestre balconate del palazzo comunale

Vizzini

Ci sono i ritratti di famiglia, gli abiti, la biblioteca con il vecchio lampadario, il calco della mano, il letto dove morì, la sala da pranzo con la credenza e il passavivande collegato alla cucina, un ritratto del 1912 in cui mostra i suoi baffoni. Per curarli a regola d’arte  doveva possedere un lisciabaffi ben fatto: chi vuole verificare lo trova alla Casa della Memoria di Palazzo Trao, a Vizzini (a circa 60 chilometri da Catania  passando Lentini e Carlentini), insieme  agli altri cimeli appartenuti allo scrittore:  il panciotto, le foto scattate con la pionieristica macchina fotografica, un bel ritratto dipinto da Ulisse Sartini  e una sezione dedicata ai film tratti dai suoi racconti, con i  costumi di scena.

Casa Museo Verga in Via Sant’Anna

Le opere di Verga

È in questo incantevole paese immerso tra colline tappezzate di fichi d’India che forse nacque Verga, pare  in contrada Tebidi, nel podere dello zio Salvatore. Ed è qui  che ambientò alcuni scritti: Mastro don Gesualdo, Cavalleria rusticana, Jeli il pastore.

Alcuni momenti della messa in scena en plein air della Cavalleria rusticana a Vizzini, dove la vicenda è ambientata

Sono diversi  i luoghi legati ai racconti: la chiesa di Sant’Agata, dove si sposano Bianca Trao  e Mastro Don Gesualdo, l’antico quartiere della Cunziria (la conceria), dove si consuma il duello tra Alfio e Turiddu; o Piazza Santa  Teresa, dove accanto all’osteria ‘Gna Nunzia la compagnia  dell’associazione Teatro Skenè rappresenta alcune parti della  Cavalleria rusticana.

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Messa in scena della Cavalleria rusticana a Vizzini

Si tratta di un teatro di strada in sintonia col più puro spirito del teatro di reviviscenza fondato da Alfredo Mazzone, il sindaco-regista che dagli anni Settanta concepì di mettere in scena le novelle di Verga nei luoghi in cui le aveva immaginate: vicoli, piazzette e sagrati di chiese sono diventati palcoscenici dove attori come Arnoldo Foà e Orso Maria Guerrini hanno ridato vita ai personaggi verghiani  facendosi largo tra la gente. Quanto alla Cunziria, prezioso reperto d’archeologia industriale in decadente ma suggestivo abbandono, mostra ancora le vasche dove fino agli anni Cinquanta un formicaio di uomini conciava tutto il santo giorno pelli di animali. Poi arrivò la plastica, e tutto finì.

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