I giorni delle Gaite

Medioevo per tutti in una delle più accurate rievocazioni storiche d'Europa, dove le attività quotidiane e gli antichi mestieri sono frutto di appassionate ricerche, sullo sfondo di un borgo dalla perfetta scenografia.

Indice dell'itinerario

A giugno, quando le grandi balle di fieno punteggiano i campi dorati da Cantalupo a Castelbuono, da Limigiano a Torre del Colle, dentro le antiche mura di Bevagna la vita torna a scorrere come otto secoli fa. L’ingresso al borgo antico viene precluso ai veicoli a motore, e perfino le insegne pubblicitarie e segnaletiche vengono occultare: il tutto per i dieci giorni delle Gaite (dal nome dai quattro antichi quartieri di San Giorgio, San Giovanni, Santa Maria e San Pietro in cui un tempo era diviso il paese), ovvero una grande rievocazione dell’epoca medioevale.
E Bevagna è una quinta ideale in cui rappresentare il passato, perché appare già di per sé come una sorta di museo a cielo aperto: strade e vicoli creano un percorso lambito da edifici secolari, come in Piazza Silvestri, un’icona duecentesca in cui si ammirano due meravigliose chiese del Millecento, San Michele e San Silvestro, e il prospiciente Palazzo dei Consoli accanto al vecchio Teatro Torti del 1886; o le case intorno a Piazza San Francesco, situata in cima a una lunga scalinata nel cuore della gaita di San Giovanni. Quest’ultimo è forse il quartiere scenograficamente più suggestivo, costituito da un grumo di cortili, piazzette, stretti passaggi e reperti archeologici, con una curva architettonica che segue addirittura l’emiciclo delle gradinate di un teatro romano.
E’ in questo affascinante contesto (non è un caso se nel 2002 il borgo è stato nominato dal Censis il paese più vivibile d’Italia per tranquillità e qualità della vita) che rivivono, in occasione della festa, perduti mestieri come quelli dei cordai, delle filatrici, dei falconieri e dei ceraioli, mentre le taverne a cielo aperto e le botteghe brulicano di avventori che si aggirano fra osti e mercanti in costume. Giù al fiume, accanto al vecchio lavatoio, viene rimessa in funzione la ruota di legno che cattura l’energia dell’acqua per far funzionare la segheria, non lontano dal luogo dove, in secoli ben più remoti, si sacrificavano i tori in onore del dio Clitumno.
In Italia sono numerose le feste che rievocano il Medioevo, ma quante raggiungono il rigore filologico e il fascino scenografico delle Gaite di Bevagna’ Persino dall’estero studiosi e appassionati del genere vengono fin qui a prendere lezioni di storia, perché ricostruire fedelmente il passato riproponendo nei minimi particolari usi e costumi si differenzia notevolmente dal programmare una semplice sfilata. Per mettere in assetto la perfetta macchina organizzativa gli abitanti si preparano con mesi di anticipo: vengono interpellati docenti universitari, setacciati i musei più insoliti alla scoperta di strumenti particolari, riesumati e studiati testi in lingua. I mercati, in particolare, sono vere prove d’esame sul tempo che fu, traboccanti di merci, odori, colori e personaggi che recitano pantomime nel curioso idioma degli avi.
Quanto alla scenografia, la ricerca è assai meno complicata visto che molte case di Bevagna conservano ancora la struttura originaria con scantinati, arcate e persino resti di strutture romane. Nella gaita di San Giovanni, ad esempio, l’ambientazione della bottega dei vasai e della cartiera lascia in chi entra la disarmante sensazione di aver viaggiato nella macchina del tempo: i movimenti dei lavoranti che forgiano vasi e fogli come nel XIII secolo sono rischiarati dalle fiaccole, e le ombre si allungano nel tufo rossastro di quella che era la cavea di un teatro romano.
In una vecchia casa di Piazza San Filippo (nel 1725, demolendo le fondamenta della chiesa omonima, fu rinvenuta la bellissima statua acefala di Dioniso oggi conservata nei Musei Capitolini di Roma) è allestita invece una bottega che vende erbe ed elisir di lunga vita, nonché inchiostri e vernici preparati con ingredienti segreti scritti nel testamento di uno speziale umbro morto nel Trecento. Proprio di fronte si trova la suggestiva cereria dal soffitto a volta, dove si alza l’odore acre della fusione in una caldaia di rame posta sul fornellone in mattoni refrattari, alimentato dal fuoco a legna: quando la purissima cera d’api diventa liquida, strato dopo strato viene fatta colare sugli stoppini – rigorosamente di bombice – in modo da ottenere candele di varia grandezza, che poi vengono appese a una ruota azionata a mano. Quanto al torcitoio a trazione umana situato in una casetta della gaita di Santa Maria, è stato costruito a mano su immagine dell’unico modello manuale esistente al mondo, esposto in un museo di Gorizia, e con il consulto di alcuni specialisti di tecnologia tessile e di un vecchio trattato fiorentino sulla seta. Questo affascinante strumento è composto da 24 aspi a due ordini (che a loro volta sono formati da sei bobine ciascuno) e di un totale di 2.027 pezzi interamente realizzati una decina d’anni fa da artigiani volontari.
Non lontano da qui, nella gaita di San Pietro, un frate domenicano pulisce pelli di pecora poste nelle vasche e poi le fa essiccare su appositi telai fissandoli con la tecnica dell’imbrecciatura, fino a lisciare la pergamena finale con la pomice, seguendo fedelmente le tecniche dell’epoca. Altri frati invece, nello scriptorium del monastero, miniano e rilegano fogli alla luce tremolante di una candela, e poi trascrivono con una penna d’uccello preziosi codici e testi antichi. E’ stato anche allestito un angolo dove si può assistere alla preparazione degli inchiostri e dei colori dell’epoca: si scopre così che il rosso si otteneva dalla cocciniglia essiccata immersa nell’urina fermentata, l’azzurro triturando con il pestello pietre di lapislazzuli, il bianco da barrette di piombo sospese nell’aceto forte…
Il visitatore, dunque, ha la possibilità di assistere in prima persona a tutte le attività e alle varie fasi delle lavorazioni, senza dimenticare che il programma non è mai lo stesso perché per ogni gaita i due mestieri sceneggiati dai figuranti vengono cambiati ogni anno.
Alla fine, poi, c’è anche un vincitore. I quattro quartieri, che si battono per rappresentare nel modo più rigoroso la vita medioevale del villaggio, attendono infatti il responso finale da parte di una qualificata giuria formata da specialisti provenienti da università o istituti italiani, che si pronunceranno su cucina dell’epoca, tiro con l’arco, mestieri e mercati; la somma totale dei punti accumulati per ogni tema decreterà la gaita vincitrice del palio. Quando i giudici passano in rassegna i rioni, annunciati da un rullo di tamburi, la tensione è quasi tangibile perché mesi di paziente lavoro possono andare in fumo per un’inezia.
Verso le undici di sera dell’ultimo giorno di festa, in un’affollatissima Piazza Silvestri verrà proclamato il vincitore: è l’evento conclusivo delle Gaite, fra il tripudio di chi sale sul podio e le polemiche dei perdenti che si trascineranno per un anno intero, fino al prossimo viaggio nel tempo.

PleinAir 383 – giugno 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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