I Fenici siamo noi

Nella parte settentrionale della Tunisia si stende una rete di eccezionali siti archeologici vecchi di quasi tre millenni, che narrano la storia di quegli avventurosi mercanti, navigatori e inventori il cui sangue scorre ancora nelle vene di tutti i popoli del Mediterraneo. Una civiltà che fece del mare la sua strada e che fondò, tra le tante, una delle città simbolo del mare nostrum: Cartagine.

Indice dell'itinerario

Visti dall’alto, quegli scafi che innalzavano al cielo le grandi vele quadrate non sembravano minacciosi. Dalla forma si capiva che non erano imbarcazioni guerriere ma mercantili, pronte a riparare nella baia mentre il sole d’occidente andava a spegnersi dietro un promontorio. L’approdo, il comandante lo capì subito, non sarebbe stato provvisorio come nelle tante sere precedenti: l’ampio semicerchio naturale del porto era ben protetto, la terra appariva fertile e certamente non mancava la possibilità di commerciare con le tribù locali. Uomini, donne, bambini scesero a terra in un baleno, con gli occhi che già brillavano di speranza.
Padrona della piccola flotta che aveva affrontato il lungo viaggio attraverso il Mediterraneo era Elyssa figlia di Belo, signore della città fenicia di Tiro, che vide il luogo sicuro e decise di fondarvi una colonia. A dominare quel lembo d’Africa era il re Jarba, il quale pensò bene di farsi beffe della principessa e le promise in dono tutta la terra che sarebbe riuscita a coprire con una pelle di toro: ma l’astuta Elyssa tagliò la pelle in finissime strisce e ne ricavò una lunga fune, riuscendo a cingere un’area di oltre 4.000 metri quadrati. Lì sarebbe nata Cartagine.

Doni divini
Ancora oggi, dalla sommità della collina di Byrsa (che non a caso significa “pelle di bue”), si individua con chiarezza il suggestivo profilo della baia in cui Elyssa e i suoi toccarono terra in quella sera dell’anno 814 a.C. Ma del glorioso passato della più importante città punica non è rimasto molto, e non perché venne rasa al suolo dai Romani nel 146 a.C. decretando la fine della terza guerra punica: nonostante le rovine fossero state ricoperte di sale affinché nulla potesse più crescervi, ai tempi di Cesare il sito venne riedificato e divenne una colonia romana. Sono stati invece il trascorrere dei secoli e la sistematica spoliazione delle sue vestigia per costruire la città di Tunisi e altri centri del Mediterraneo a impoverirne l’aspetto odierno. Tuttavia, Cartagine continua ad evocare immagini e sensazioni che sono nel patrimonio genetico di ogni abitante di queste latitudini: e mentre si cammina nell’acropoli, della quale restano solo alcune colonne e qualche rudere, i ricordi degli studi scolastici, le emozioni suscitate dai film in costume, le fantasie indotte dai libri di storia, le rigorose esposizioni degli archeologi si accavallano nella mente come in una macchina del tempo.
Cartagine è il punto di partenza di un percorso fra storia, mito e turismo nel nord della Tunisia sulla cosiddetta Rotta dei Fenici, parte di un ben più vasto itinerario che il Consiglio d’Europa ha riconosciuto come concreta proposta di interculturalità fra tutti i popoli che vivono nei paesi affacciati sul Mediterraneo: un progetto che coinvolge diciotto nazioni e più di ottanta città in Europa, Africa e Medio Oriente. Nessuno meglio dei Fenici poteva rappresentare l’idea dell’incontro fra diverse culture in grado di convivere in un tessuto sociale, religioso ed economico multiforme, ma non per questo in contrasto: furono loro, instancabili viaggiatori del mare alla ricerca di nuove occasioni di commercio, ad intrecciare una rete di relazioni e scambi non solo di materie prime e manufatti, ma anche di valori ed esperienze che finirono per costituire un denominatore comune per tutte le civiltà mediterranee. Inoltre non erano guerrieri e, almeno fino allo scoppio del conflitto tra Cartagine e Roma, non si ha notizia di scontri con alcuna delle moltissime popolazioni con le quali vennero in contatto.
Chi erano dunque i Fenici? Provenivano dall’attuale Libano ed erano cananei, dal nome della regione che comprendeva ampie parti del Medio Oriente mediterraneo, ma non si identificavano come gruppo etnico di matrice coerente. L’unica vera città stato era Tiro, per il resto esistevano gruppi sparsi senza un’identità collettiva. Lo stesso termine “fenicio” è di origine greca e significa rosso porpora, probabilmente per l’abilità nel colorare i tessuti con la tintura ricavata da conchiglie. Una leggenda dice che una ninfa, passeggiando lungo la spiaggia, era rimasta assai colpita dal colore purpureo sprigionato da un mollusco; e quando Melquart, divino fondatore di Tiro, iniziò a corteggiarla, ella dichiarò che avrebbe acconsentito alle sue richieste solo se il dio le avesse fatto dono di una veste di quel colore. Melquart inventò allora il procedimento che avrebbe reso celebri i tessuti fenici e spinto i Greci a chiamarli in tal modo.
Intorno al 1200 a.C., quando le terre abitate dai Fenici vennero invase da altre popolazioni, moltissimi si spostarono via mare creando le basi per le successive civiltà. Furono abili commercianti, validissimi marinai, inventori della navigazione notturna e della cartografia, dell’alfabeto e del vetro. Basta entrare nel Museo Nazionale del Bardo, che sorge nell’omonimo sobborgo di Tunisi, per apprezzare l’abilità con la quale lavoravano la pasta vetrosa creando monili, statuette, vasi e altri oggetti ornamentali. Trafficavano ovunque nel Mediterraneo, dando vita a vere e proprie aree commerciali: di quei luoghi non è rimasto pressoché nulla, e per ritrovare almeno un pizzico della loro vociante atmosfera non resta che visitare uno dei souk nei villaggi dell’entroterra, si tratti di mercati al coperto o di estemporanei allestimenti all’aperto. Questi ultimi, in particolare, ricordano tempi non troppo lontani durante i quali, ogni settimana, veniva proclamata una tregua dai conflitti tribali per consentire di scambiarsi le merci di cui tutti avevano necessità.
La medina di Tunisi è una delle più interessanti del mondo arabo in quanto ha conservato la sua struttura per ben tredici secoli, anche se i cambiamenti non sono stati pochi. Entrando da Place de la Victoire si percorre una stradina rettilinea invasa da ogni genere di merci e si prosegue fino all’ingresso a volta che immette nel souk vero e proprio. Un ristorante dall’aspetto dimesso dà il benvenuto a chi si trova lì per le compere, gli affari o il turismo, ma la modestia del locale e i prezzi contenuti non rendono merito alla qualità delle pietanze. I più esperti conoscitori, del resto, sanno che qui si trovano alcuni dei ristoranti più esclusivi di tutta la Tunisia: ospitati all’interno di antiche case tradizionali perfettamente restaurate, offrono piatti tipici in un’atmosfera elegante e raffinata, squisitamente araba. Continuando a camminare, si supera la piazzetta antistante la moschea e si entra negli antichi mercati coperti, dove le merci sono suddivise per tipologia: spezie, abiti, prodotti artigianali e molto altro. E’ un viavai ininterrotto di visitatori tra le suadenti offerte dei commercianti, il ticchettio dei martelletti sui piatti incisi a mano, le discussioni per trattare sul prezzo, qualche schiamazzo e un inebriante miscuglio di odori e profumi che aleggia ad ogni angolo.

Mille anni avanti Cristo
A pochi chilometri da Cap Bon, punto estremo della penisola che dalla capitale si spinge nelle acque del Mediterraneo, il sito di Kerkouane mostra la struttura tipica di una piccola città fenicio-punica di 2.500 anni fa, l’unica rimasta tale in tutto il paese poiché ogni altro insediamento è stato modificato o completamente ricostruito dai Romani o dagli altri occupanti nei secoli successivi. Non ci sono spettacolari monumenti o scenografici colonnati, ma è l’unica possibilità di intuire come doveva essere organizzata la vita in un villaggio dedito soprattutto alla pesca e alla lavorazione dei murici, le conchiglie da cui si estraeva la porpora: Kerkouane era infatti la principale produttrice di materia prima per la tintura delle stoffe che venivano poi vendute in tutti i mercati del Mediterraneo. Si distinguono ancora i bacini dove venivano messi a macerare i molluschi, così come appaiono sorprendentemente conservate le vasche da bagno delle abitazioni, tutte introdotte da un ingresso che conduce a un cortiletto provvisto di pozzo. Si ammirano inoltre i marciapiedi, le soglie dei portoni e alcuni mosaici sui pavimenti, mentre sul lato orientale della città, praticamente in riva al mare, i resti di alcune colonne testimoniano l’esistenza di un santuario probabilmente dedicato alla dea Tanit: il suo simbolo, un triangolo sormontato da una linea e da un cerchio a formare una silhouette antropomorfa, è presente in ogni sito di origine fenicio-punica.
Se Kerkouane è la città fenicia meglio conservata, non è però la più antica: tale privilegio spetta a Utica, dalla parte opposta del Golfo di Tunisi. Venne fondata almeno trecento anni prima e sorgeva sul mare prima che la linea di costa si spostasse a causa dei sedimenti trasportati nei secoli dal Mejerda, il fiume principale della Tunisia. Rivaleggiò per importanza con Cartagine, della quale fu sia alleata che nemica, così come accadde con Roma, fino a diventarne una colonia (e fu proprio da Utica che Scipione l’Africano partì per il suo attacco vincente contro Cartagine). Gli estesi ruderi di evidente matrice latina non traggano in inganno: al di sotto dello strato romano sono stati rinvenuti i resti di una cittadina punica, compresa una necropoli.
Ben altro scenario accoglie il visitatore che si reca a Thuburbo Majus, una sessantina di chilometri a sud-ovest di Tunisi. Già il percorso di avvicinamento riserva una sorpresa: poco dopo aver lasciato la capitale, un imponente acquedotto romano affianca la strada per diverse centinaia di metri. Si tratta del complesso idrico Zaghouan-Cartagine, costruito nel II secolo dopo Cristo, con una lunghezza di 130 chilometri e in gran parte interrato. Giunti a Thuburbo Majus si comprende subito di trovarsi di fronte a una città romana – come del resto accade in quasi tutti i siti archeologici del Nordafrica – ma l’origine è in realtà molto più antica, essendo stata fondata dai Numidi e subito dopo assimilata al dominio di Cartagine, che ne influenzò lo sviluppo. Solo con la vittoria dell’Urbe perse la sua indipendenza, trasformandosi in colonia e diventando l’imponente città che ancora oggi possiamo ammirare. Appena entrati colpisce la vista del capitolium, con le colonne che si ergono in cima a una maestosa scalinata dalla quale si apprezza un’ampia vista della piazza del foro e di quella del mercato. Era questo il centro dei commerci quotidiani, e non è difficile immaginarlo affollato di mercanti e compratori intenti a contrattare. Proseguendo verso sud si incontra la palestra, con bellissimo porticato corinzio ancora in ottimo stato: era luogo d’incontro e di attività sportive prima di recarsi ai bagni delle vicine terme d’estate, che coprivano una superficie di quasi 3.000 metri quadrati e comprendevano, oltre allo spogliatoio e alle piscine, il frigidarium, il tepidarium e il descrictarium, la sala in cui ci si ripuliva dal sudore dopo il calidarium. Le mura erano di marmo e i pavimenti interamente a mosaico, con motivi astratti e medaglioni figurativi. Meno appariscenti, ma non per questo trascurabili, le terme d’inverno offrono pavimenti a mosaico di pari interesse. Un po’ discosto, ma ben visibile per la gradinata e le colonne, si trova il tempio di Baal Hammon, divinità fenicia pari per importanza solo a Tanit, simbolo della femminilità, dell’amore, del piacere e della fertilità.

Prima e dopo Roma
La visita di Thuburbo Majus richiede almeno una mezza giornata, ma ne occorre una intera per apprezzare pienamente il sito archeologico di Dougga, che si raggiunge continuando ancora per una sessantina di chilometri a sud-ovest. E’ questo senza dubbio l’insediamento antico più importante della Tunisia e uno dei più spettacolari del Mediterraneo. Fondato probabilmente dai Numidi come semplice villaggio berbero, divenne una vera e propria città quando i Cartaginesi vi si insediarono stabilmente. Anche in questo caso, ciò che si vede oggi è in gran parte di epoca romana, e l’ottimo stato di conservazione consente di farsi un’idea ben chiara di come si presentava questo luogo nei primi secoli dopo Cristo. E’ interessante sapere che la collina su cui sorge la città è sempre stata popolata negli ultimi due millenni: intorno al III secolo gli abitanti erano circa 5.000, poi diminuirono o aumentarono con alterne vicende fino ai giorni nostri quando, a metà degli anni ’60, i residenti furono trasferiti poco distante per completare la campagna di scavi.
La visita a Dougga inizia dal teatro romano, a pochi metri dal parcheggio. Un imponente colonnato, rimasto quasi integro, permetteva l’installazione di un velario a protezione degli spettatori delle prime gradinate, su cui si accomodavano le personalità e gli ospiti di riguardo. Una seconda fila ospitava i benestanti, mentre nella terza e ultima prendevano posto i popolani, a una distanza di circa 15 metri dal palcoscenico; complessivamente il teatro poteva contenere oltre 3.000 spettatori. Continuando lungo la via lastricata, ancora così ben conservata da recare chiaramente impressi i solchi dei carri, si scende leggermente fino a raggiungere quello che un tempo era il centro della città, dominato dal capitolium con le colonne corinzie e il frontone pressoché intatti: dedicato a Giove, Giunone e Minerva, conteneva le imponenti statue delle tre divinità. Da qui appare nitida la struttura a più livelli delle tre piazze: a destra si trova quella della rosa dei venti, così chiamata dal simbolo riprodotto sulla pavimentazione, e adiacente a questa la piazza del mercato, dove sono ancora ben evidenti le botteghe disposte sui lati. Scendendo una delle due scale si raggiunge la quota inferiore con il tempio della Tellus, la dea della terra e dei morti, oltre il quale hanno inizio le case, che non avevano apertura su strada e i cui pavimenti erano interamente a mosaico (ora in gran parte custoditi nel Museo del Bardo di Tunisi).
Seguendo la strada lastricata si giunge alle terme di Lucinia, con la palestra contornata da colonne: anche questo edificio si è conservato in modo sorprendente, ed è facilmente visibile la disposizione degli ambienti per i bagni freddi, tiepidi e caldi. Nella parte bassa di Dougga, un po’ discosto dal centro, sorge invece un mausoleo del III secolo a.C., unico manufatto rimasto della città fenicia in quanto, pur essendo stato danneggiato da archeologi inglesi per impadronirsi di preziosi reperti, agli inizi del ‘900 fu ricostruito esattamente com’era con lo stesso materiale. Venne eretto per conservare le spoglie di un re numida e ha un’altezza di oltre 2 metri.
Risalendo verso il capitolium, si nota fra gli ulivi una bella porta in pietra: era uno dei due accessi alla città, riservata ai viaggiatori provenienti dalla Libia; dalla parte opposta si trovava invece l’ingresso per coloro che arrivavano da Cartagine. Qui è facile incontrare un vecchio contadino che ancora vive nei pressi dell’antica Dougga: vestito degli abiti tradizionali (d’inverno, stagione della nostra visita, il burnus in pelle di montone), vi racconterà in un buon francese come si vive da queste parti, il rigore delle giornate più fredde, la bellezza della ventosa stagione estiva, lo scorrere di un’esistenza che è molto più simile a quella degli antichi abitanti di Dougga che alla frenetica vita dell’odierna Tunisia. E se dopo il colloquio lascerete cadere nella sua tasca qualche dinaro, allontanandovi potrete sentire a lungo, sincero e commovente, il suo ringraziamento, pian piano sovrastato soltanto dal sussurro del vento tra i rami degli ulivi.

Testo di Pier Vincenzo Zoli
Foto di Mauro Camorani

PleinAir 459 – ottobre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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